LA QUESTIONE CURDA NEL FUTURO MEDIO ORIENTE
C’è
uno spettro che aleggia nei conflitti in Medio Oriente e che
riaffiorerà una volta conclusi i conflitti in Siria ed in Iraq: la
questione curda. E’ già presente in Turchia, dove la sollevazione
curda continua imperterrita ed ha trovato rinnovato vigore; lo
sarà in Siria, dove le milizie filo-curde stanno giocando un ruolo
fondamentale nella lotta contro l’ISIS; lo è da una decade in
Iraq, dove il Kurdistan iracheno è, nei fatti, uno Stato nello
Stato.
Le origini del problema
I curdi sono una comunità etnica con cultura, tradizioni e lingua
propria. Sono in maggioranza sunniti ma anche sciiti (come in Iran
e Azerbaijan). E' una popolazione autoctona della regione
mediorientale.
Nel mondo sono circa 30/35 milioni, di cui circa 15/16 milioni in
Turchia (18/20% della popolazione), 5/6 milioni in Iraq, 6/7
milioni in Iran, 2/2,5 milioni in Siria (circa 10% della
popolazione), il resto in alcune nazioni caucasiche o diaspora nel
mondo. Complessivamente non esistono statistiche precise in
quanto, proprio per non alimentare le loro rivendicazioni, il loro
peso demografico non viene quantificato, anche se è talvolta
mistificato. Il vero problema risiede nel fatto che questo popolo
non ha una patria. Gli è stato negata nel tempo anche ogni forma
di autonomia.
Con la dissoluzione e relativa spartizione dell'impero ottomano
dopo la prima guerra mondiale, l'accordo segreto di Sykes Picot
(1916), poi formalizzato nel trattato di Sèvres del 1920, sancì la
suddivisione del Medio Oriente in aree di influenza tra Francia e
Inghilterra. Questo prefigurava l'ipotesi che i curdi potessero
avere una loro patria. Nel trattato successivo di Losanna del
1923, tale suggestione venne poi accantonata anche in virtù della
forte opposizione dei nazionalisti turchi che avevano ostacolato
il progetto e trasferito nelle aree a maggioranza curda del loro
Paese popolazione non-curda. Da allora i curdi sono diventati
oggetto di discriminazioni e persecuzioni nei rispettivi Paesi
mediorientali dove vivevano, alimentando il risentimento e, al
contempo, accentuando la loro specificità etnica.
Sono stati perseguitati dal regime di Assad in Siria dove non
avevano diritto al voto; da quello di Saddam Hussein in Iraq dove
la persecuzione ha assunto caratteristiche di genocidio; sono
sotto stretto controllo ed emarginazione in Iran; sono da sempre
oggetto di restrizioni e persecuzioni da parte del governo turco
che dopo i falliti tentativi di dialogo, ha dichiarato le zone
curde off-limits ed arresta e perseguita i sostenitori delle
istanze della minoranza nel nome della “lotta al terrorismo”, da
parlamentari, a giornalisti a semplici attivisti.
I curdi in Turchia
La repressione del governo turco nei confronti dei curdi ha spinto
la minoranza ad abbracciare la lotta armata che, nel corso degli
anni e fino ad oggi, ha assunto connotazioni terroristiche contro
le autorità di Ankara colpendo soprattutto obiettivi militari o
forze di sicurezza.
Il principale gruppo è il Partito dei Lavoratori Curdi (Partiya
Karkeren Kurdistan, PKK), una formazione paramilitare di
ispirazione, almeno fino al 1999, marxista-leninista e creata alla
fine degli anni '70. Fino al 1984 il PKK ha portato avanti una
lotta politica, era anche riuscito ad avere rappresentanti in
Parlamento, salvo poi abbracciare le armi. Negli ultimi 30 anni la
lotta armata del PKK in Turchia si è sviluppata in maniera
intermittente, passando da periodi di guerra civile a momenti di
tregua. Un conflitto che finora ha causato oltre 40.000 morti.
Il leader del PKK, Abdullah Ocalan, è stato arrestato nel 1999 a
Nairobi, poi estradato in Turchia dove è tuttora detenuto in
isolamento sull’isola di Imrali. Tramite la sua intermediazione,
nel 2008 sono cominciati dei colloqui segreti con il governo di
Ankara che hanno portato alla tregua annunciata dal PKK nel 2013.
L'iniziativa lasciava presagire la possibilità di trovare una
formula per una maggiore autonomia dei curdi in Turchia.
Tuttavia, i negoziati e la tregua sono stati violati
unilateralmente da Recep Tayyip Erdogan nel luglio 2015. I
bombardamenti della basi militari del PKK nel nord dell’Iraq erano
dovuti a questioni di politica interna: l’AKP di Erdogan non aveva
ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi nelle elezioni
politiche del giugno 2015 che, anzi, avevano visto l’ingresso del
partito filo-curdo del HDP in Parlamento. Il riattizzare del
conflitto curdo e del nazionalismo è servito a far ottenere la
maggioranza al AKP nelle elezioni anticipate del novembre 2015.
Poco importa se lo si è fatto a spese di una componente delle
popolazione turca e proiettato la Turchia verso un’involuzione
democratica sfociata nel tentato golpe del luglio 2016.
Oggi Ankara addita come terroristi ogni forma di opposizione,
democratica e non, al regime. La rimozione dell’immunità
parlamentare ha dato la possibilità al sistema giudiziario –
sempre più sotto controllo governativo dal fallito colpo di Stato
– di incriminare e arrestare diversi deputati dell’HDP. Lo stesso
avviene per quegli esponenti della società civile che denunciano
la deriva autoritaria o il permanente stato di emergenza nelle
aree a maggioranza curda che consente al governo di Ankara di
rimuovere le amministrazioni locali tacitate di sostenere i
“terroristi”. Tuttavia, non è mai emersa una contiguità tra l'HDP
ed il PKK se non nel perseguire, con mezzi diversi, le aspirazioni
della popolazione curda.
La riapertura delle ostilità ha portato il PKK ad inscenare una
serie di attentati sul suolo turco colpendo, il più delle volte,
obiettivi militari o governativi. Le basi del gruppo sono in Iraq:
a Qandil, dove è dislocato il quartier generale, e nell’area
yazida di Sinjar. Qandil vede la presenza anche delle milizie del
partito filo-curdo iraniano del PJAK ed è spesso oggetto di
bombardamenti da parte dell’aviazione turca e/o iraniana. La
presenza del PKK in Iraq è frutto dell’accordo con i turchi del
2013 e della disponibilità di Masoud Barzani, presidente del
Kurdistan iracheno, ad ospitarli. A Sinjar la presenza del PKK è
invece il risultato del sostegno fornito contro lo sterminio
perpetrato dall'ISIS nei confronti della comunità di fede yazida.
Milizie curdo-yazide operano adesso congiuntamente. Il leader del
PKK, Murat Karayilan, ha recentemente espresso la disponibilità a
ritirarsi dal Sinjar a seguito delle pressioni americane, le
minacce turche e l'ostilità dei curdi iracheni.
La recrudescenza della lotta contro la Turchia ha alimentato la
crescita anche di un’altra fazione ancora più estremista: il TAK
(I falchi per un Kurdistan Libero). Già nel 2004 il gruppo si era
rifiutato di accettare l'inizio delle trattative con il governo
turco. Il TAK ha rivendicato i recenti e maggiori attentati
avvenuti al di fuori delle aree a minoranza curda in Turchia.
I curdi in Siria
La guerra civile in Siria ha nei fatti permesso ai curdi siriani
di affrancarsi dalle persecuzioni del regime e di ottenere una
propria autonomia territoriale. Sono rappresentati dalle
formazioni militari dell'YPG (Unità di Protezione Popolare),
braccio armato del PYD (Partito dell'Unione Democratica). Nata nel
2003, fino al 2011 il PYD svolgeva attività clandestina contro il
regime siriano.
Con l'insorgere della guerra civile si sono distinti nella lotta
contro l'ISIS mantenendosi fuori dalla lotta contro Assad. Così
facendo hanno esteso il loro controllo su una fascia di territorio
nel nord della Siria al confine con la Turchia denominata Rojava,
occidente, anche in virtù del sostegno militare degli USA. Oggi i
combattenti curdi, con circa 20.000 uomini, guidano le Syrian
Democratic Forces, attualmente impegnate nei combattimenti per
conquistare la "capitale" del califfato, Raqqa. Al loro fianco
lottano anche formazioni militari di donne curde siriane, le IPJ
(Forze di Protezione Femminile).
Il PYD, essendo una formazione politica di sinistra, curda e
implicata nella lotta armata, è ritenuta contigua al PKK dalla
Turchia. La retorica di Ankara è quella di accomunare la
formazione siriana ai ribelli turchi e vorrebbe estendere
l’iscrizione nelle liste del terrorismo internazionale anche allo
PYD, tesi non condivisa dagli Stati Uniti.
I curdi in Iraq
Dalla caduta del regime di Saddam Hussein, i curdi iracheni hanno
ottenuto una loro autonomia territoriale. Hanno mantenuto anche le
loro forze militari, non integrando i loro peshmerga (circa 90.000
uomini) nell'esercito iracheno. E come i curdi siriani hanno avuto
l'appoggio americano e si sono dimostrati tra le milizie,
militarmente più efficaci nella lotta contro l'ISIS. Questo fa sì
che, nel caos iracheno, il Kurdistan rappresenti l'area più
stabile del Paese.
I curdi iracheni sono politicamente divisi al loro interno tra il
KDP (Kurdistan Democratic Party) di Masoud Barzani, che guida la
regione semi-autonoma, e il PUK (Patriotic Union of Kurdistan) di
Jalal Talabani, presidente iracheno dal 2005 al 2014 . E' una
divisione legata anche a delle divisioni tribali e che nel
passato, sopratutto negli anni ‘94-’98, hanno portato a degli
scontri armati. Politicamente, Barzani coltiva buoni rapporti con
la Turchia, mentre Talabani con l’Iran. La vicinanza con Ankara –
che postula l’ostracismo nei confronti del PKK e, di riflesso, lo
PYD – deriva dal fatto che il Kurdistan iracheno ha già una
propria autonomia, un suo governo ed un suo "esercito". Non ha
quindi motivi per alienarsi la Turchia con cui invece sviluppa
stretti rapporti ed interscambi commerciali, ha un oleodotto
diretto per la vendita del petrolio e coltiva stretti contatti
politici.
L'unico obiettivo dei curdi iracheni è quello di allargare i
territori sotto il loro controllo e quindi poter meglio sfruttare
le risorse petrolifere dell'area. E' una strategia che li pone in
antagonismo con le autorità di Baghdad. Soprattutto a Kirkuk,
città rivendicata dai curdi essendo stata a suo tempo forzatamente
arabizzata da Saddam Hussein proprio per emarginarli. Oggi i curdi
rappresentano circa il 20% della popolazione di Kirkuk da dove
provengono i circa 600.000 b/g esportati in Turchia.
Uno dei problemi del Kurdistan iracheno è l’instabilità economica
ed un grosso debito pubblico, oltre 22 miliardi di dollari,
contratto in buona parte con la Turchia. A metà dicembre 2016 il
primo ministro Nechervan Barzani ha presieduto a Dahuk una
conferenza sull’indipendenza del Kurdistan che ha visto la
presenza di delegazioni delle comunità curde dei paesi limitrofi.
In quell'occasione ha sollevato ben chiaro il problema della
propria indipendenza, seppur collegandola a prossime trattative
con Baghdad e Ankara. Sempre nella stessa occasione il premier
curdo ha offerto la sua disponibilità a mediare tra Turchia e PKK,
come già fatto in passato durante le trattative di Oslo.
I curdi in Iran
I curdi iraniani hanno anche loro una lunga storia di rivolte
volte a ottenere indipendenza o autonomia. Anche in questo caso
un'insurrezione armata è condotta in maniera discontinua fin dal
2004 da una formazione politico-militare di ispirazione marxista
come il PJAK (Partito per la Vita di un Kurdistan Libero).
Operante ai confini con l'Iraq, è considerato affiliato al PKK e
come tale messo su una lista di organizzazioni terroristiche anche
dagli USA. Il suo braccio armato è l'YRK (Unità di Difesa del
Kurdistan Orientale).
Come avvenuto nei Paesi limitrofi, il regime iraniano ha anch'esso
debellato ogni tentativo insurrezionale, ma non con la stessa
brutalità. Questo ha fatto sì che tra Teheran ed i curdi vi sia
una forma di convivenza. Teheran resta comunque contraria ad ogni
forma di autonomia curda. In alcune circostanze i curdi iraniani
sono stati colpiti dalle rappresaglie turche in virtù dei legami
con il PKK.
Il futuro
A diverso titolo, le varie comunità curde hanno oggi maggiori
opportunità affinché le loro aspirazioni autonomistiche, se non
indipendentistiche, possano avere udienza (non necessariamente
soluzione) internazionale. Il problema curdo, se non adeguatamente
risolto, potrebbe costituire ulteriore elemento di tensione in
Medio Oriente.
Il maggior ostacolo verso una soluzione della questione è
l'intransigenza turca, che non solo osteggia le aspirazioni della
componente curda della propria popolazione, ma anche quelle dei
curdi negli altri Paesi della regione. E' una circostanza che
blocca qualsiasi iniziativa o negoziato visto che la Turchia è la
vera potenza militare nella regione. Ed ha quindi voce in capitolo
nella definizione degli assetti futuri del Medio Oriente. Ankara
teme l'effetto contagio che potrebbe ingenerarsi se un'autonomia
curda venisse concessa in altri Paesi della regione.
Un altro problema è la divisione in seno alla comunità curda.
L'atteggiamento filo-turco dei curdi iracheni è in contrasto con
l'ostilità dei curdi siriani e turchi nei confronti di Ankara. Nei
fatti, la raggiunta autonomia territoriale dei primi cozza con le
analoghe aspirazioni dei secondi. Si rende così impossibile
un’eventuale soluzione globale del problema curdo. Per saperlo con
certezza è necessario attendere la scomparsa del califfato e i
prossimi assetti geo-politici in Siria e Iraq. Troppi interessi si
intrecciano nel futuro del Medio Oriente ed è probabile che ancora
una volta non siano i curdi a decidere del loro destino, ma altri
attori della regione.