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LIBANO: PROSSIMA AREA DI CRISI?

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Nel marzo 2015, il Generale americano Martin Dempsey, Capo di Stato Maggiore Congiunto, ha dichiarato che l’ISIS minaccerà “sicuramente” il Libano nel breve termine. Lo stesso avverrà con la Giordania nel medio termine. Data l’alta qualifica del dichiarante ed il suo accesso ad informazioni militari e di intelligence riservate, quanto affermato assume caratteristiche non di ipotesi, bensì di previsioni evidentemente suffragate da fatti.

Il Libano , e su questo non c’è bisogno di attingere a canali riservati, è dalla sua fondazione un Paese instabile. Parte dell’impero ottomano, poi sotto mandato francese nel cosiddetto “Grande Libano”, che includeva anche la Siria, fino ad arrivare all’indipendenza nel 1943, il Paese ha vissuto sulla sua pelle una lunga guerra civile durata dal 1975 al 1990. L’instabilità è una costante perenne di una nazione costituzionalmente basata su una ripartizione del potere secondo un criterio confessionale, peraltro mai modificata nonostante i successivi sviluppi demografici.

Ogni vicenda regionale trova una ripercussione ed un impatto, quasi sempre negativo, sulla stabilità interna del Libano. Lo ha avuto, a lungo, il dissidio israelo-palestinese con relative guerre ed invasioni israeliane del 1978 e 1982, gli scontri tra esercito di Tel Aviv e Hezbollah, la presenza di rifugiati palestinesi, l’invadenza e prepotenza della Siria che ha interferito nelle vicende interne del Paese, con una propria presenza militare durata oltre 29 anni e terminata nell’aprile 2005 e, non ultima, l’attuale guerra civile siriana.

Il Libano ha sul proprio territorio 12 campi profughi palestinesi per oltre 450.000 rifugiati. La cifra comprende soltanto quelli registrati in sede ONU, ma bisogna considerarne almeno il doppio in forma illegale. Questo retaggio è frutto delle vicissitudini del popolo palestinese dopo la loro cacciata dalla Giordania nel 1970 – il famoso Settembre Nero – e delle varie ondate di guerre arabo-israeliane e dell'Intifada. I campi sono aree dove la giurisdizione dello stato libanese è fortemente limitata.

Con la guerra civile a Damasco si sono aggiunti circa un milione e mezzo di rifugiati siriani con tutte le conseguenze in termini di disagi sociali ed instabilità che tale circostanza comporta. Un dato da tenere in evidenza è che la popolazione libanese è di circa 4,5 milioni di abitanti. Bisogna pure tenere conto che tutti questi profughi sono in maggioranza sunniti e quindi sbilanciano sul piano politico-istituzionale il già precario equilibrio confessionale del Libano. Non è un caso che non si effettui un censimento nel Paese dagli anni '30 del secolo scorso.

Tutto quello che avviene oggi in Siria ha ripercussioni in Libano sia sul piano sociale che politico o militare. E questo non solo è il risultato di un confine comune, ma anche del coinvolgimento degli Hezbollah nella guerra al fianco di Bashar al Assad. Nel contesto del Libano, i miliziani del Partito di Dio costituiscono uno Stato nello Stato.

Ritorsioni saudite

La contrarietà saudita al sostegno armato degli Hezbollah a favore di Assad si è trasformata in una rappresaglia finanziaria contro il Libano, Paese che sopravvive grazie al sostegno economico proveniente dai Paesi della regione, con ovviamente in testa Arabia Saudita e Paesi del Golfo. Sono stati bloccati oltre 3 miliardi di dollari di aiuti militari per l'acquisto di armamenti francesi. E' stato anche emesso un divieto di viaggio per impedire ai cittadini da Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar di recarsi a Beirut in vacanza. Sono stati altresì espulsi i lavoratori libanesi operanti nel Golfo.

Nelle intenzioni saudite sarebbero previste ulteriori ritorsioni economiche come il ritiro dei depositi dalla Banca Centrale libanese, il blocco degli investimenti e delle importazioni di prodotti libanesi, l’imposizione di visti per i cittadini libanesi che entrano in Arabia Saudita, la chiusura forzata delle ditte libanesi operanti sul proprio territorio. Riyadh vorrebbe far estendere queste misura anche alle altre nazioni del Golfo.

Per chiudere il cerchio, gli Hezbollah sono stati recentemente dichiarati organizzazione terroristica dal Gulf Cooperation Council. La decisione postula ulteriori sanzioni che colpiranno le autorità libanesi, accusate, nel loro insieme, di colpe a loro non attribuibili visto che, come detto, il gruppo sciita opera in modo del tutto autonomo ed indipendente dal governo di Beirut. Il Segretario Generale del movimento sciita, Hassan Nasrallah, ha sfidato pubblicamente i sauditi a confrontarsi con gli Hezbollah e non a punire trasversalmente i cittadini libanesi.

Il 10 marzo 2016, l’Arabia Saudita ha convinto anche i Ministri degli esteri della Lega Araba ad etichettare gli Hezbollah come gruppo terroristico nonostante le obiezioni non solo del Libano, ma anche dell’Iraq. Tunisia e Algeria hanno acconsentito nonostante siano state fino all'ultimo riluttanti. Il prossimo passo potrebbe essere quello di riformulare la proposta in sede Onu, visto che già alcune nazioni, tra cui gli Stati Uniti dall’agosto 1997, hanno già sanzionato il gruppo. Tuttavia, l’iniziativa appare difficile da realizzare considerando che ben 40 Paesi contribuiscono al contingente UNIFIL in Libano. Di fatto, la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite opera con il consenso degli Hezbollah.

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Hassan Nasrallah


Una nuova guerra per procura?


Gli Hezbollah, a parte l’impegno in Siria, godono di ampio sostegno nel mondo arabo di in virtù dei loro trascorsi contro Israele. Osteggiarli non fa altro che indebolire ulteriormente il Libano, con tutto ciò che la circostanza comporta nel quadro generale del Medio Oriente. Ancora una volta la politica estera saudita appare più dettata dal risentimento che dalla valutazione degli effetti che le proprie iniziative potranno produrre.

Gli Stati Uniti hanno espresso le loro preoccupazioni nei confronti dell'irrigidimento saudita verso Beirut nella consapevolezza che la regione non necessita di ulteriori aree di instabilità. Inoltre, e questo è ben chiaro agli americani, il processo di pace in Siria passa necessariamente anche per il contributo degli Hezbollah. Le ritorsioni saudite non fanno altro che creare delle inutili difficoltà. L'approccio improvvisamente pragmatico americano contraddice un provvedimento emesso nel luglio del 2015 dal Dipartimento del Tesoro USA che aveva sanzionato dei personaggi militari di Hezbollah per il loro coinvolgimento nelle vicende militari siriane. Ma nel Medio Oriente di oggi convenienze ed interessi cambiano in continuazione.

Infatti, il Libano gode oggi del sostegno americano, francese ed inglese. Londra ha promesso armamenti ed addestramenti per l’esercito libanese. Quel che più preoccupa è una potenziale espansione dell’ISIS in terra libanese in virtù dell’instabilità cronica del paese dei cedri. Gli Hezbollah, pur alleati con Iran e Russia, pur autoreferenziali nel contesto libanese, oggi combattono l’ISIS e garantiscono la sicurezza del Libano. Con le sue rappresaglie politiche e finanziarie, l'Arabia Saudita va, ancora una volta, nella direzione opposta.

Utilizzare il Libano per una guerra per procura con l'Iran non è nell'interesse di nessuno e non ha quindi alcuna finalità logica. Pensare che osteggiando o contrastando gli Hezbollah la dirigenza saudita possa ottenere produrre degli effetti sulla guerra in Siria, sull’alleanza fra Nasrallah e Teheran o portare ad una destabilizzazione del Libano nell'ottica del contrasto all’egemonia iraniana nella regione è, a dir poco, folle.

Lo stallo libanese

Il Libano è oggi in una fase di stallo interno. Dal maggio 2014 non ha un presidente. Il mandato di Michel Suleiman è scaduto ed il parlamento non sembra in grado, dopo 36 votazioni, di eleggere con due terzi dei voti un successore tra i leader cristiani. Secondo la Costituzione libanese, infatti, l'incarico è riservato ai cristiano-maroniti.

Un quarto dei 128 deputati in parlamento appartiene agli Hezbollah. Ma non sono gli unici contendenti. Saad Hariri, figli del premier Rafik assassinato nel 2005, guida l'Alleanza 14 Marzo ed il suo partito sunnita, Movimento per il Futuro. Hariri, con doppia nazionalità libanese e saudita, si è sempre caratterizzato per le sue istanze anti-siriane e, di conseguenza, anti-Hezbollah. Sul fronte opposto vi è l'Alleanza 8 Marzo, che comprende il Libero Movimento Patriottico del maronita Gebran Bassil, il Movimento Amal sciita, il Partito Socialista Progressista del leader druso Walid Jumblatt.

La paralisi istituzionale, con un governo che gestisce solo gli affari correnti, rende ancora più libera da contestazioni l’attività degli Hezbollah, sia sul fronte interno – il Partito di Dio controlla quasi tutta la parte meridionale del Paese – sia per quanto concerne l’impegno militare in Siria, dove sono schierati circa 7.000 uomini.


saad hariri
Saad Hariri


L'ombra del Califfo

Su questo marasma istituzionale interno e sulla faida Hezbollah-Arabia Saudita incombe anche il pericolo dell’ISIS. Già nel gennaio del 2014 , un video annunciava la creazione di una branca libanese dello Stato Islamico. Nel contempo, veniva fatta circolare la notizia di un accordo fra Abu Bakr al Baghdadi e Abu Mohammed al Golani di Jabhat al Nusra per infiltrare militarmente il Libano al fine di creare un nuovo Wilayat (una provincia) da aggiungere alla conquiste in Siria e Iraq. Nello stesso mese veniva rivendicato un attacco kamikaze nei sobborghi meridionali di Beirut, area sotto controllo Hezbollah. Gli attentati in territorio libanese ricorrono fin dal luglio 2013 e sempre in aree sciite.

Ai confini del Libano, nelle aree di Arsal e Qalamoun, c’è una presenza militare dell’ISIS. Questa specifica minaccia è contrastata dalle milizie Hezbollah nella Valle della Bekaa e, nel nord, dall’esercito libanese. Piccole parti del territorio libanese sono controllate dai jihadisti. Al riguardo basta anche ricordare il tentativo dell’ISIS, nel giugno 2015, di occupare il villaggio cristiano di Baalbek in Libano.

Altre fazioni meno note affiliate ai gruppi terroristici – la Brigata Farouq, la Brigata Verde, la Brigata Fajr al Islam, la Brigata Ghuraba – operano nelle aree confinarie ed è immaginabile che, se la guerra volgerà a sfavore di questi gruppi, il Libano diventerà necessariamente rotta di fuga e di rifugio per questi combattenti, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. L’ideologia dell’ISIS ha avuto un certo seguito nella popolazione sunnita del Libano, soprattutto nella zona di Tripoli e questo ha portato decine di volontari ad arruolarsi nei suoi ranghi.

La condizione di perenne precarietà del Libano rende il Paese, entro certi limiti, parzialmente immune da eventi traumatici. Tuttavia, è altrettanto vero che la debolezza militare e demografica lo rende facile preda di eventuali forze ostili. Perché il Libano è uno dei pochi Paesi dove la politica interna è sistematicamente condizionata dalle pressioni di potenze esterne.

Comunque vada la guerra in Siria, le prospettive future per il Libano non appaiono molto rosee. Se Assad rimarrà al potere, si riproporrà la mai celata voglia di annessione da parte di Damasco, questa volta ancora più favorita dal crescente peso degli Hezbollah e dei loro sponsor iraniani. Se invece la Siria si disintegrerà nelle mani dell’estremismo islamico, il pericolo diventerà ancora più grande in virtù di quelle condizioni sociali, religiose e settarie interne al Libano che potrebbero innescare una nuova guerra civile. Una circostanza, quest'ultima, agevolata da un confine di 375 km con la Siria. Infine, vi è sempre lo spettro israeliano, visto che, come insegna la storia recente, Tel Aviv ritiene oramai un suo diritto interferire militarmente nelle vicende libanesi.

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