MA L'ARSENALE CHIMICO LIBICO CHE FINE HA FATTO?

stabilimento di al-rabtah
Oggi tutto il mondo occidentale e' giustamente preoccupato per l'arsenale chimico in mano al regime di Bashar al Assad che potrebbe domani entrare, nel caos della dissoluzione dello Stato siriano, nella presumibile disponibilita' degli Hezbollah o - peggio ancora - nelle mani di quelle milizie estremiste legate al radicalismo islamico che con efficacia combattono nelle fila dei ribelli.
Ma c'e' anche un altro arsenale chimico di cui molti si sono dimenticati ed e' quello libico che era in parte sotto monitoraggio internazionale per la sua distruzione, ma in maggioranza tenuto nascosto da Muammar Gheddafi. Nel marasma della guerra civile di quest'ultimo si e' persa quasi ogni traccia.
L'evoluzione
del settore specifico
Muammar Gheddafi, nelle sue innumerevoli giravolte politiche adottate a cavallo di contingenti necessita' internazionali, decide nel 2003 di porre fine al suo programma nucleare (che comunque non aveva mai prodotto risultati apprezzabili) e di distruggere gli aggressivi chimici di cui era in possesso.
Nella pratica si da seguito allo smantellamento di due strutture: il centro di ricerche nucleari di Tajura (dove i progressi tecnico-scientifici sono stati particolarmente modesti) e quello per la produzione di aggressivi di Rabta.
Bisogna anche dire che in quello stesso periodo si verifica lo svuotamento di un container contenente materiali per le centrifughe durante il trans-shipment in un porto italiano rendendo palesi le velleita' nucleari del Rais. Ma nello stesso momento in cui si attacca Saddam Hussein per il suo presunto sviluppo di armi di distruzione di massa, la decisione di Gheddafi di sospendere il settore della proliferazione e degli aggressivi chimici costituisce il frutto di una mossa pragmatica e prudenziale piu' che meditata o desiderata.
Il 19 dicembre 2003 Muammar Gheddafi annuncia pubblicamente di voler eliminare tutti i programmi in essere nelle armi di distruzione di massa (quindi nucleare, aggressivi chimici e settore missilistico) e, per quanto riguardava il settore degli aggressivi chimici, sottoscrive il 5 febbraio del 2004 la Convenzione sulle Armi chimiche dando poi mandato, almeno ufficialmente, per la distruzione degli aggressivi entro la fine dello stesso anno.
Secondo questo accordo, la Libia rifiuta di sviluppare, produrre, immagazzinare o usare aggressivi chimici in futuro e di distruggere quanto in suo possesso. E per quanto riguarda questo ultimo punto, per l'eliminazione degli arsenali Tripoli si pone sotto il controllo dell'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW) con sede a L'Aia.
Nel 2004, in base all'accordo sottoscritto, la Libia dichiara - di sua iniziativa - e pone sotto la verifica dell'OPCW il proprio arsenale chimico nella misura di :
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24,7 tonnellate metriche di gas mostarda (iprite- agente vescicante)
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1390 tonnellate metriche di precursori chimici
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3543 munizioni aeree (non ancora caricate di aggressivi chimici)
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3 strutture dedicate alla produzione di aggressivi

bruciature da gas mostarda
Quindi agenti vescicanti come (l'iprite), precursori per gas nervini (Tabun, Sarin e Soman), ma niente agenti asfissianti (Fosgene, Difosgene, Cloro , Cloropicrina). E questa gia' di per se rappresenta un'anomalia, perche' se un Paese entra nella logica di produrre aggressivi chimici - settore peraltro di facile produzione e quindi alla portata di Paesi anche a basso livello tecnologico - generalmente si dedica a immagazzinare quelli piu' efficaci (come i nervini), ma non tralascia , anche per problemi di ordine pubblico, la produzione di agenti asfissianti e magari da' sviluppo anche agli agenti biologici.
Ma quello Gheddafi dichiara e quello e' posto sotto la sorveglianza internazionale. Le munizioni aeree sono subito distrutte con l'impiego di bulldozer .
La parte principale dello smantellamento della produzione di aggressivi chimici libici riguarda l'impianto di Rabta. Un progetto internazionale prevedeva che tale struttura fosse riconvertita per la produzione di medicinali. Allo specifico compito veniva dato l'appalto, da parte del governo libico (rappresentato dal "Pharmaceutical and Medical Supply Company" diretta dal Dr. Fathi Asseid e dipendente dal Ministero della Sanita'), ad una ditta italiana: la "Pharmachim" di Milano. Il contratto prevedeva che fossero costituite all'interno del compound due fabbriche: una per la produzione di materie prime, l'altra per la confezione di prodotti finiti (sempre nel settore dei medicinali).
Questo progetto va avanti negli anni con ricorrenti difficolta' anche perche' rimaneva sempre prioritario, nelle intenzioni libiche, sfruttare la riconversione di Rabta per mercanteggiamenti internazionali a favore del regime. In altre parole , Muammar Gheddafi voleva monetizzare la sua rinuncia ai programmi delle armi di distruzione di massa con vantaggi finanziari e riconoscimenti politici. Di tutto questo ne rimane vittima la Pharmachim che riesce a costruire l'unita' di produzione di medicinali (per la quale i libici non assumono personale per farla funzionare), ma non la fabbrica dedicata alle materie prime. Quindi - ed e' questo che fa comodo ai libici - il progetto non puo' completarsi anche perche' l'ipotesi di poter acquisire all'estero materie prime non veniva minimamente preso in considerazione da Tripoli. La nuova struttura di Rabta, secondo il progetto, doveva essere dedicata alla produzione di 4 medicinali a basso costo, senza brevetti, principalmente nel settore della cura dell'AIDS.
Per coprire le proprie reali intenzioni, i libici si avvalgono di vari contenziosi che servono strumentalmente a fare ricadere le colpe dei ritardi sulla ditta italiana. Lamentano ritardi negli stadi di avanzamento, non pagano secondo gli accordi contrattuali, pongono anche difficolta' nella concessione dei visti ai tecnici italiani incaricati di seguire il progetto, sollevano lamentele per difetti di costruzione, bloccano i containers in arrivo ai porti. Nella pratica, la conversione di Rabta diventa un gioco politico del regime al quale sicuramente non interessava l'aspetto pratico di una produzione farmaceutica.
Un altro dei contenziosi e' poi rappresentato dal bastione (fatto di sacchi di terra ed alto 30 metri) che circonda il comprensorio di Rabta e che americani ed inglesi chiedono di distruggere ottenendo il rifiuto di Tripoli. La protezione, a parte altre finalita' ,aveva comunque il pregio di proteggere la struttura dal vento e dalla sabbia. Quindi oltre ai problemi della Pharmachim, vi sono problemi con le autorita' internazionali. Quando tecnici e americani intendono visitare la struttura, i libici rifiutano di concedere l'autorizzazione ed i tempi si allungano. All'occorrenza molte volte anche l'Italia e' stata chiamata a svolgere un ruolo di mediazione tra le "pretese" internazionali e/o anglo-americane e le "buone ragioni" libiche.
Ma gli accordi con l'OPCW non prevedono solo la riconversione di Rabta, ma anche la distruzione degli aggressivi chimici segnalati e che si trovavano stoccati a Ruwagha, a circa 80 km da Rabta. Anche qui inizia un altro gioco libico al ritardo, sempre strumentale ad alzare il prezzo della concessione. Prima si parla della scelta di una ditta italiana, poi, dopo i fatti di Benghazi (febbraio 2006 con l'attacco al consolato italiano e svariati morti nelle manifestazioni), sembra che la ditta prescelta debba essere americana, poi di nuovo, dopo la sottoscrizione del trattato italo-libico, torna in pole position una ditta italiana. La distruzione degli aggressivi prevedeva la costruzione di un forno/inceneritore con particolari caratteristiche di sicurezza ambientale dove bruciare gli aggressivi.
L'appalto, gestito dal procurement militare libico, vede interessata la ditta italo-svizzera "SIPSA Engineering". I libici trattano tramite il Gen. El Ghadi, designato come responsabile del Comitato nazionale per l'eliminazione delle armi chimiche. Gli americani insistevano per dirottare su una ditta americana l'operazione di distruzione (ovviamente con il mal celato obiettivo di controllarne l'esecuzione), ma la scelta italiana e' definitiva.
La questione del terrapieno (la cui eliminazione era parte degli accordi internazionali) che circonda Rabta e quello della distruzione di aggressivi si intersecano con i negoziati tra la Libia e gli USA. La Libia continuava a richiedere all'OPCW di trasformare la parte perimetrale del compound in una struttura permanente, gli americani e gli inglesi volevano impedire ogni qualsivoglia forma di protezione perimetrale che potesse occultare un futuro uso improprio della struttura.
Per giustificare la mancata fretta nella distruzione degli aggressivi chimici, le autorita' di Tripoli si rifanno agli accordi con l'OPCW che stabilivano come termine massimo per l'eliminazione delle armi chimiche il dicembre 2009, poi diventato il 1 maggio 2010 ed infine la fine del 2011. Ma poi aggiungono altre difficolta' che allungano i tempi: la Libia non aveva personale qualificato per la distruzione (anche se talvolta fanno intravedere la possibilita' di usufruire di tecnici italiani) e la legislazione in materia di ambiente andava adeguata a questa nuova esigenza. I libici citavano il caso degli Stati Uniti, il cui arsenale chimico doveva essere eliminato entro il 29 aprile 2012. Limite non rispettato per circa il 10% delle riserve di armi chimiche a causa - guarda la coincidenza - di vincoli ambientali imposti da alcuni Stati dell'Unione (e quindi la completa distruzione dell'arsenale chimico e' stata ipoteticamente procrastinata fino al 2021).
Questo e' lo stato dei fatti prima ancora che scoppi la rivolta in Libia: tattiche dilatorie abbinate a richieste di riconoscimenti internazionali, contrasti con USA e Inghilterra e OPCW, coinvolgimento strumentale dell'Italia in possibili attivita' di mediazione, bloccaggi di lavori, accuse pretestuose di mancato rispetto contrattuale, contratti non firmati e cosi' di seguito.
Muammar Gheddafi sapeva bene che finche' aveva in mano gli aggressivi chimici e non completava la riconversione di Rabta poteva giocare su questo ricatto negoziale. Dietro tutto questo c'era anche l'ostilita' dei vertici militari, con il gen. Ghadi in prima fila, nei confronti delle richieste americane. E poi, anche se non figurava mai nella questione, un altro oscuro personaggio si opponeva alla distruzione degli arsenali ed era un certo Ahmed Hasnawi, ritenuto il padre del settore degli aggressivi chimici libici.
L'impianto di Rabta e' stato costruito con macchinari di una grossa ditta tedesca nel giro delle violazioni di embargo. L'impianto era originariamente destinato, almeno sulla carta, a Hong Kong come sala controllo per la produzione di penicillina. I libici, con la probabile assistenza tedesca, lo hanno riconvertito alla produzione di aggressivi chimici. Vi lavoravano persone sia nella sala di controllo, sia in quella confezionamento. A suo tempo, tutto il personale operava con maschere e tute per evitare intossicazioni. Oltre alla sala controllo, vi era anche una catena di montaggio per caricare le ogive ed un sistema di immagazzinamento. Adesso, anche grazie alla presenza delle nuove strutture italiane di produzione di medicinali (completate nel 2007) e quella ancora in via di realizzazione per le materie prime, la sala controllo di Rabta e' stata si' parzialmente smantellata, ma puo' ancora essere riconvertita - all'occorrenza - alla produzione di aggressivi chimici. E' stata distrutta una ciminiera, la catena di montaggio delle ogive e' stata smantellata (e forse portata o nascosta altrove), la sala confezionamento dismessa (ma il magazzino rimane funzionante), mancano una nuova centrifuga, dei reattori e parte dei serbatoi, ma rimanendo quasi intatta la sala controllo (che i libici hanno voluto preservare) il tempo di eventuale ripristino della produzione militare puo' essere molto breve, sicuramente meno di un anno. Anche questo da la misura del ricatto che Muammar Gheddafi sapeva di poter esercitare sulle controparti.
La quantita' di aggressivi chimici da distruggere e' quella segnalata all'OPCW e si tratta di circa 350 contenitori, ciascuno contenente circa 20/30 litri di agenti chimici. I contenitori davano segni di corrosione ed e' stato necessario sostituirli con altri di metallo. In realta', la quantita' da bruciare era abbastanza limitata e questo non giustificava, almeno nella capienza, la costruzione di un potente inceneritore come quello prefigurato nell'appalto con la SIPSA. Il forno e' costato intorno ai 25/30 milioni di euro e lo hanno pagato i libici, anche se hanno chiesto, come loro tradizione levantina, un contributo italiano di 5 milioni di euro per aver "agevolato" una ditta italiana.
Gia' allora sorgeva il lecito dubbio che la Libia avesse altre cose da distruggere che non aveva voluto rendere note, magari scarti nocivi di ospedali, prodotti scaduti anticrittogamici, diserbanti o insetticidi, ma - ed era l'ipotesi piu' pericolosa - anche altri aggressivi chimici nascosti da qualche altra parte e non resi noti agli organismi internazionali.
Il sospetto era suffragato anche da altri elementi perche' la Libia, oltre all'inceneritore di Rabta (come detto sovra-dimensionato), ne aveva un altro gia' operante nei pressi del cimitero monumentale italiano di Tripoli (costruito per bruciare le ossa dei morti dopo gli atti vandalici perpetrati dagli uomini di Gheddafi negli anni '70 contro le tombe di italiani e dedicato a incenerimenti di minor impatto ambientale) e nel contempo cercava anche di procurarsi (contattando per interposta persona ditte italiane e francesi) sistemi mobili di smaltimento chimico per giacenze (allo stato liquido) in non note localita' desertiche (strutture e attrezzature che dovevano essere rimontate in loco e gestite in forma autonoma e senza assistenza straniera). Circolano voci di giacenze interrate di cloro metanolo (che e' un diserbante, ma anche un prodotto basico intermedio per gas), cloruro di tionile, tricloruro di fosforo e cloruro di vinile. Tutti elementi chimici che possono prefigurare la presenza da qualche parte di giacenze di agenti nervini o asfissianti. Reagenti, solventi, prodotti intermedi idonei alla produzione di agenti o aggressivi chimici.
Mancano
poi
all'appello ogive o missili che sono stati probabilmente
caricati di aggressivi, vista la catena di montaggio presente
a Rabta, ma che non sono stati parte della segnalazione alle
autorita' internazionali. Tripoli si e' limitata alla consegna
di ogive vuote, ma non piene come se queste ultime non fossero
mai esistite. E anche questo genera il dubbio che la Libia
abbia barato nella sua presunta cooperazione con l'OPCW. E che
nel tempo la fabbrica di Rabta sia stata molto attiva nella
produzione di aggressivi, piu' di quanto i libici vogliano
affermare come dimostra l'inquinamento ambientale che circonda
la struttura, confermato anche dal ricorrente ritrovamento di
uccelli morti.

Muhammar Gheddafi
La
rivolta e la situazione attuale
Quando hanno inizio le prime proteste in Libia il 15 febbraio 2011, innescate dalle manifestazioni di protesta a Bengazhi per l'arresto di un avvocato che curava gli interessi dei familiari dei detenuti uccisi a Abu Salim, il problema della riconversione di Rabta e della distruzione degli aggressivi chimici non e' ancora completamento risolto.
La rivolta porta pero' alla scoperta, dopo l'uccisione di Muammar Gheddafi , di altri due depositi, uno nel novembre 2011 ed uno nel febbraio 2012, di munizionamento caricato con aggressivi chimici. Si tratta di centinaia di ogive per artiglieria cariche di iprite, dei contenitori di iprite a cui aggiungere delle ogive e dei contenitori vuoti. E' la prima dimostrazione lampante che Gheddafi ha tenuto nascosti alcuni suoi depositi di aggressivi chimici. A questo va aggiunto il non ancora distrutto deposito di Ruwagha, eliminazione iniziata nell'ottobre del 2010 e poi sospesa per i noti sovvertimenti sociali. Alla fine del novembre 2011 del deposito di Ruwagha e' stato distrutto solo il 55% circa dell'iprite ed il 40% dei precursori chimici a cui vanno aggiunti quelli rinvenuti successivamente. Sulla scoperta di questi nuovi depositi di aggressivi chimici, circa 2 tonnellate in piu' di iprite, gli americani hanno ipotizzato che la fornitura sia arrivata dall'Iran via mare ed hanno dato mandato all'OPCW di indagare. Ma a parte queste congetture, e' molto piu' probabile che Muammar Gheddafi gia' avesse nella sua disponibilita' questo materiale e non lo avesse voluto denunciare all'OPCW. La scoperta e' avvenuta il 22 settembre 2011 in una localita' vicina a Sebha ed anche questo dettaglio combacia con l'ipotesi di pre-esistenti depositi in aree desertiche.
Il Consiglio di Transizione Nazionale (CNT) libico ha comunicato all'OPCW le scoperte successive al suo insediamento, ma ha anche dichiarato la propria incapacita' di distruggere gli arsenali chimici entro la data limite del 1 maggio 2012 ed ha chiesto assistenza internazionale. Un nuovo piano di smaltimento e' stato sottoposto all'OPCW e prevede la ripresa delle distruzioni di aggressivi nel marzo del 2013 per completarle entro dicembre 2016.
Questa e' la situazione attuale: aggressivi chimici ancora da distruggere, le autorita' libiche che si dimostrano cooperative e l'OPCW che, nei limiti del possibile, monitora il problema.
Ma qui bisogna anche fare delle precisazioni. Intanto, l'autorita' del governo centrale libico sul Paese e' alla data odierna ancora piu' virtuale che reale. Non e' assicurata la protezione dei depositi di aggressivi da distruggere e tanto meno risulta confermato che nel Paese non ve ne siano degli altri non denunciati. Dopo la cacciata di Muammar Gheddafi e la fine della guerra civile, le milizie che hanno combattuto il dittatore hanno rifiutato il disarmo. Questo implica che circa 200.000 uomini armati, tra cui anche milizie islamiche oltreche' claniche, girano ancora nel Paese. Una situazione di instabilita' sociale che puo' tramutarsi anche in conflittualita' tra milizie e dove il possesso di armi letali potrebbe costituire elemento di interesse.
Gli indizi che hanno preceduto la caduta di Gheddafi danno l'idea che la quantita' di aggressivi chimici e relativi depositi fosse maggiore di quelli poi scoperti dopo la sua caduta. Se questo assunto fosse confermato, la domanda lecita e': dove sono? Sono stati scoperti? E se si', chi li controlla?
Non dimentichiamoci che nel recente attacco ai pozzi algerini di In Amenas da parte delle milizie di Mokhtar Benmokhtar, i terroristi sono entrati in Algeria dalla Libia utilizzando anche 9 Pick-Up 4x4 con regolari documenti ufficiali libici di cui uno appartenente alle dogane libiche, un altro alla guardia presidenziale libica e altri due all'amministrazione statale libica. A questi vanno aggiunti dei giubbetti anti-proiettile che sono stati forniti da delle milizie libiche. E' un esempio che da' la misura della pericolosita' che la presenza di aggressivi chimici sul territorio libico pone.