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LA LIBIA DI GHEDDAFI E QUELLA DI OGGI 


bedouin




Il potere di Gheddafi dopo il colpo di Stato del primo settembre 1969 era stato strutturato su una serie di iniziative tese ad assicurarsi il controllo del territorio e soprattutto di una popolazione, peraltro numericamente limitata, su un territorio alquanto esteso.

LE KABILE

La prima mossa di Gheddafi era stata quella di assicurarsi il sostegno delle kabile, cosi' come vengono chiamate in Libia le tribu' di origine beduina che popolano il Paese. Lui stesso beduino, aveva saputo muoversi in questo contesto con particolare destrezza.

Aveva elargito prebende, favorito matrimoni di interesse, conferito cariche sempre con l'unico scopo di assicurarsi il sostegno dei capi kabila e delle loro tribu'. Provenendo da una kabila del Fezzan centrale (il Fezzan rappresenta arealmente il 33% del Paese), era piu' facile a Gheddafi operare anche nel contesto della storica rivalita' tra le popolazioni della Cirenaica (51% del Paese) e quelle della Tripolitania (16% del Paese). Chi non aderiva a questo mercimonio, veniva poi emarginato (nel caso migliore) o eliminato (caso piu' ricorrente).

Le kabile della Cirenaica erano quelle potenzialmente piu' ostili al regime perche' legate alla Confraternita della Senussia e alla precedente monarchia, per cui erano subito diventate oggetto di discriminazione e persecuzione. La stessa Cirenaica veniva - per punizione - sistematicamente  esclusa da ogni investimento o beneficio finanziario e non sara' quindi un caso che nel 2011 la rivolta contro il regime partira' proprio da questa regione.

Le kabile libiche sono circa una cinquantina a cui poi vanno aggiunte le sottokabile, le federazioni di kabile e vari sottogruppi. L'abilita' relazionale di Gheddafi faceva si' che ognuna di queste entita' avesse poi a livello centrale un rappresentante di prestigio.

A parte la kabila di appartenenza - la "Qadadfa" stanziale nell'area della Sirte che ovviamente godeva di una posizione di privilegio - che aveva un maggior numero di personaggi nei posti chiave (i cugini Ahmed e Said Gheddafeddam, Ahmed Mohammed Ibrahim, Mohammed Masoud Al Majdud etc.), altre kabile che risultavano particolarmente schierate nel sostegno al regime erano :

I "Warfalla" di Bani Walid, la piu' grande kabila nel centro nord del Paese che forniva l'ossatura dell'esercito e della sicurezza del dittatore ;

I "Magarha", la piu' grande kabila del sud ovest della Libia (nord Fezzan) e peraltro la piu' numerosa del Paese (circa il 10% della popolazione) a cui apparteneva Abdel Salam Jalloud (ex numero due del regime) ed il cognato del dittatore, Abdallah Senussi (marito della sorella della seconda moglie di Gheddafi);

I "Barasa", una kabila stanziale nella Cirenaica (intorno a Al Baida), inizialmente ostile al regime ma poi affiancata al potere dopo il matrimonio di Gheddafi con Safia Sarkash, sua seconda moglie;

Parte degli "Obeidat", una kabila stanziale intorno a Benghazi e Tobruk, il cui maggiore rappresentante era il Ministro degli esteri Abdullati al Obeidi;

I "Jawari" della Tripolitania, da dove provenivano due altri membri del Consiglio Rivoluzionario: Kweldi al Humaidi e Mustafa al Kharroubi.

Come gia' enunciato, le altre entita' tribali che non sostenevano Gheddafi erano nei fatti escluse da ogni spartizione di potere e/o denaro (vedasi i "Magharba" e gli " Awlad Suleimann" in Cirenaica, i "M'nifa" nel Huan Waddan).

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GLI STRUMENTI DI REPRESSIONE

La seconda leva che utilizzava a piene mani il dittatore per controllare il Paese era la repressione. Opposizioni, anche se pacifiche, non avevano spazio nell'immaginario di Gheddafi. Chi si permetteva di contestare il suo potere veniva eliminato o incarcerato. Per rendere efficace questo sistema di repressione venivano utilizzati i Servizi di sicurezza : l'Internal Security Service ( Jihaz al Aman al Dakili) ultimamente guidato da  Khaled Tuhami, l'External Security Service ( Jihaz Al Aman al Kharigi) negli ultimi anni gestito da Abu Zied Durda, il Military Security Service (Jihaz Al Aman Akaria), ultimamente ritornato sotto il controllo assoluto di Abdallah Senussi.

Il primo organismo operava incontrastato sul territorio nazionale raccogliendo informazioni sui cittadini libici e gli stranieri, svolgeva attivita' di controspionaggio e controterrorismo.

Il secondo organismo era invece dedicato al contrasto alle minacce esterne, ma soprattutto - specie nei primi periodi della dittatura - alla ricerca ed eliminazione degli oppositori all'estero. Questa seconda attivita' era prevalentemente fiorente quando l'E.S.S. era diretto da Mussa Kusa tra il 1994 al 2008, ora defezionato in Inghilterra. La data di inizio della caccia agli oppositori viene indicata nell'11 giugno 1980, in occasione del decimo anniversario della cacciata degli americani dalla base aerea di  Whelus Field, data ultimativa indicata dal regime per il rientro dei dissidenti in Libia.

L'Intelligence militare era invece dedicato a controllare le Forze Armate che, comunque, Gheddafi aveva scientemente mantenuto sempre a un basso livello operativo memore del fatto che lui stesso, a suo tempo, aveva ordito il colpo di Stato nel suo ambito.

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Muammar Gheddafi

IL CONTROLLO DELLE MOSCHEE

Gheddafi temeva un'opposizione che potesse prendere connotazioni religiose soprattutto perche' la precedente monarchia, da lui defenestrata con il colpo di Stato, si identificava con la Confraternita della Senussia, molto diffusa in Cirenaica, portatrice di un Islam ortodosso (il suo fondatore, Mohammed bin Ali al Senussi, aveva avuto contatti con il wahabismo saudita) e di un sistema sociale articolato su fattorie di lavoro (generalmente agricolo) denominate "zawiya". Dopo  aver espropriato tutti i beni della Chiesa cattolica (ad eccezione di due modeste chiese in Tripoli e Benghazi - l'attuale grande moschea della capitale e' una trasformazione della precedente cattedrale) perche' religione ritenuta collusa con il pregresso regime coloniale, il leader libico aveva fatto altrettanto con le proprieta' della Confraternita.

Le strutture religiose di quest'ultima erano poi confluite in una neo-creata organizzazione, il "Dawa al Islamiya" ( "Appello Islamico") che controllava l'attivita' delle moschee, presiedeva alla formazione degli ulema, controllava la stampa islamica, ma soprattutto era cintura di trasmissione del consenso tra il regime e la comunita' religiosa del Paese. Questa organizzazione, creata nel 1970 come emanazione libica del Consiglio mondiale dell'Appello Islamico che a sua volta e' una branca dell'O.C.I. (Organizzazione della Conferenza Islamica), aveva anche lo scopo della diffusione dell'Islam e dei dettami del Libro verde nel mondo, di creare rapporti di collaborazione con altri organismi similari stranieri e, soprattutto, costituire elemento di penetrazione politico-religiosa del regime verso l'estero. Nei primi anni della sua attivita', il Dawa Islamiya era anche strumento di destabilizzazione verso quei Paesi ritenuti ostili alla Libia ed era risultata coinvolta anche nell'individuazione ed eliminazione dei dissidenti all'estero.

Come un po' tutti gli organismi emanati dal regime, nella variegata formula di compiti e funzioni anche questa struttura assicurava al regime sostegno interno ed estero. Non casualmente il Dawa Islamiya era coadiuvato nelle sue attivita' da un "Ufficio dei Movimenti Rivoluzionari Islamici" e coordinava le sue iniziative con altri organismi di supporto al regime (Servizi di Sicurezza, Comitati rivoluzionari, Centro studi e ricerche sul Libro Verde, Segretariato permanente del Congresso del Popolo, Mathaba).

libia cannon

LE FORZE MILITARI DI SICUREZZA

Avendo preso il potere attraverso un colpo di Stato in ambito militare, Gheddafi aveva sempre temuto che un esercito forte ed efficiente potesse non essere un elemento di stabilizzazione del suo potere ma, al contrario, un elemento di potenziale pericolo per la sopravvivenza del regime. Per tale motivo, dopo il 1969, le FF.AA. libiche sono sempre state tenute ad un basso livello di operativita'. La catena di Comando faceva comunque sempre riferimento al Rais attraverso un Comitato Generale provvisorio per la Difesa (equivalente di un omonimo Ministero) guidato da un Segretario generale del Comitato Provvisorio della Difesa (Ministro) nella persona di un suo fedelissimo della prima ora, il Generale Abu Bakr Younes Jaber, membro del Consiglio del Comando Rivoluzionario.

Dal punto di vista militare chi presiedeva alla difesa del regime erano le cosiddette "Forze di Sicurezza", cioe' reparti di e'lite, ben armati ed addestrati ma soprattutto composti da uomini di specchiata fedelta' al regime (quindi con un reclutamento incentrato su base tribale) che ovviamente, bypassando ogni eventuale dipendenza gerarchica, rispondevano del loro operato direttamente a Gheddafi.

Nel particolare, c'era la Guardia Repubblicana (circa 3000 uomini equipaggiati con carri armati, sistemi missilistici e semoventi, articolati su 2 brigate, una a Tripoli e una a Benghazi), le Forze di deterrenza (dedicate alla difesa delle installazioni sensibili, soprattutto nell'area della capitale), il 9^ reggimento (dislocato a Tripoli e dotato di sistemi d'arma meccanizzati e di controcarri), le unita' di sicurezza (battaglioni di fanteria leggera incaricati di garantire la sicurezza durante gli eventi in cui partecipava Gheddafi),  la 32^ Brigata (di circa 10.000 uomini) comandata dal figlio di Gheddafi, il capitano Khamis Muammar al Gheddafi (poi presumibilmente morto in combattimento il 29 agosto 2011). Un totale di  15.000/18.000 uomini, tutti volontari, su un Esercito a coscrizione obbligatoria (denominato "popolo in armi") di circa 60/70.000 effettivi a cui aggiungere circa 6/8.000 uomini della Marina, 6/8.000 dell'Aeronautica e 12/15.000 della Difesa Aerea. A queste forze in armi bisognava comunque aggiungere circa 12.000 della Polizia, le guardie confinarie, la guardia costiera (poi inglobata nella Marina). Quindi altri 25/30.000 uomini che comunque, a diverso grado di fedelta', potevano sostenere il regime.

IL SISTEMA ISTITUZIONALE

Nel dicembre del 1969, a tre mesi dalla rivoluzione, la Libia emanava una nuova Costituzione basata su 37 articoli che delineavano i nuovi principi ispiratori del nuovo regime (panarabismo, anti-imperialismo, nazionalismo). Si introduceva il principio generale del potere al popolo, si indicava l'Islam come religione di Stato, la solidarieta' sociale, l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, il diritto al lavoro, l'istruzione obbligatoria gratuita, la famiglia come elemento fondante della societa', il diritto all'assistenza sanitaria, la liberta' di opinione (naturalmente nei "limiti" del pubblico interesse e dei principi rivoluzionari), un sistema economico di tipo socialista (preminente proprieta' pubblica, proprieta' privata tollerata solo se non configurante un sistema di sfruttamento e intervento diretto dello Stato con pianificazione centralizzata ed  espropri per pubblica utilita'). Si introduceva anche l'idea di una riunione delle masse arabe, ora divise dalle artificiose frontiere post- colonialiste, in quella visione utopica che negli anni ha sempre contraddistinto le iniziative internazionali di Gheddafi.

Il 2 marzo del 1977 venne invece promulgata una Dichiarazione sulla "Istituzione dell'autorita' al popolo" che introduceva due principi fondamentali : l'autorita' spetta al popolo (quindi potere alle masse), la democrazia diretta e' considerata l'unica forma di gestione della cosa pubblica. Da entrambe queste due premesse venne poi articolato il sistema dei Congressi e dei Comitati che gia' era stato delineato nel Libro Verde di Gheddafi del 1973 come unica soluzione del problema della democrazia.

La Dichiarazione del 1977 specificava (art. 3) che il potere del popolo doveva essere esercitato attraverso i Congressi Popolari, sindacati, federazioni, le unioni, le associazioni professionali ed il Congresso generale del Popolo. Nella pratica si creava un sistema piramidale di aggregazione e di partecipazione popolare a vari livelli partendo da Congressi popolari di base (con una loro segreteria e un comitato popolare di base come organi esecutivi) fino ad arrivare, attraverso organismi territoriali similari, al Congresso Generale del Popolo (alias Parlamento, organismo unicamerale composto da 760 persone con mandato annuale), un Segretario del Congresso Generale del Popolo (alias Presidente del Parlamento) ed a un Comitato Generale del Popolo (alias Governo) presieduto da un Segretario del Comitato generale (alias Primo Ministro) e composto da tanti Comitati generali del popolo (quanti i ministeri di volta in volta designati).

Una struttura piramidale che partiva dai quartieri ("mehallat", circa1.500), ai Comuni (oltre 400), ai distretti (Sha'biyah, 32 in totale) per arrivare al vertice politico del Paese. Quindi un coinvolgimento, sia spontaneo che forzato, di un'enorme massa di persone a fronte di una popolazione alquanto limitata (6.173.579 secondo i dati del 2008) e di un territorio enorme (1.759.540 kmq).

Con questa struttura capillarmente presente su tutto il territorio Gheddafi aveva l'opportunita' non solo di rendere operante la trasmissione del consenso, ma soprattutto di monitorare eventuali apparizioni di dissenso. Nessun partito era autorizzato ad operare nel Paese.

Il sistema istituzionale della Libia (la Grande Jamahiriya Araba Popolare Socialista come andra' chiamarsi ufficialmente dal 1977) non prevedeva la carica di Capo dello Stato, incarico comunque assolto "indirettamente" da Gheddafi nel suo ruolo di "Leader Supremo della Rivoluzione del Grande Fatah".

Dopo il tentato colpo di Stato dell'ottobre 1993 ed in occasione del 25ennale della Rivoluzione (1 settembre 1994), Gheddafi aveva inoltre annunciato la creazione delle "Guide sociali popolari libiche". Guidate da un generale, formate da elementi influenti di varie kabile fortemente fedeli al Colonnello, in ogni distretto (sha'biyah) svolgevano la funzione di "controllo" del tessuto sociale. Si trattava in pratica di una ennesima misura messa in opera dal regime per controllare la popolazione attraverso l'inserimento del sistema tribale nel complesso sistema amministrativo libico.

LA MATHABA

Nel  1982 Gheddafi aveva deciso la costituzione di un nuovo organismo denominato "Mathaba" (in arabo "Ritrovo" o "Riunione") con lo scopo di creare un collegamento diretto tra la Jamahiriya e vari movimenti rivoluzionari mondiali, nonche' provvedere al loro sostentamento ideologico e finanziario. La Mathaba era anche etichettato come "Centro mondiale contro l'imperialismo, il sionismo, il razzismo ed il fascismo". Non casualmente, la fondazione della Mathaba era avvenuta in simultaneita' con altri Paesi co-fondatori : la Siria e l'Iran.

Questa struttura operava autonomamente all'interno del Ministero degli Affari esteri con un legame diretto con l'External Security Service (sul piano operativo) e con "l'Ufficio per l'esportazione  della Rivoluzione" (preposto alla diffusione del Libro Verde) sul piano ideologico. I suoi uomini erano dislocati nelle sedi diplomatiche estere con funzioni di "commissari politici". Erano dedicati anche alla ricerca ed eliminazione degli oppositori all'estero.

Emanazione della Mathaba era stata la costituzione di una "Forza combattente rivoluzionaria" da cui poi prendera' corpo l'idea della "Legione Islamica". Nel settembre del 1989, in occasione del ventennale della Rivoluzione libica, era stato creato un reparto paramilitare denominato "Guardia della Mathaba" composto da 4/500 individui appartenenti a movimenti stranieri, ma affiliati all'organizzazione libica. La Mathaba poi era diventata nel tempo strumento essenziale  di finanziamento dei movimenti rivoluzionari stranieri in tutto il mondo (E.T.A. spagnola; I.R.A. irlandese; Poder Popular in Argentina; la sinistra rivoluzionaria in tutta l'America latina in chiave anti-statunitense; le minoranze musulmane in Guyana, Suriname e Trinidad Tobago; la A.N.C. sudafricana, l'M.P.L.A. angolano ; la SWAPO namibiana ; il FRELIMO  mozambicano etc). Era quindi un veicolo di penetrazione e di ingerenza ideologica a livello mondiale, ma anche strumento di repressione e controllo del regime.

I COMITATI RIVOLUZIONARI

Una nuova serie di strutture di supporto al regime furono create nel 1977 con la denominazione di "Comitati Rivoluzionari" che, almeno nell'idea originaria, dovevano servire a diffondere le idee del Libro Verde realizzando la rivoluzione prefigurata da Gheddafi monitorando organismi statali, scuole, istituzioni, gli stessi congressi e comitati popolari, le Forze Armate e facendo, nel contempo, opera di proselitismo.

I Comitati erano i cultori dell'ortodossia del regime, contro forme di tribalismo, ideologie reazionarie o straniere, opposizione. Composti in prevalenza da giovani, su aggregazione piu' o meno spontanea , nel tempo si sono evoluti da strumento di sostegno e proselitismo politico in strumento di intimidazione e repressione. Braccio armato del regime, implicati anche nell'eliminazione degli oppositori all'estero, il loro potere e' diventato sempre piu' esteso e sempre meno controllato parallelamente ad una escalation di abusi e soprusi.

Negli anni '80 la loro consistenza numerica era sull'ordine di qualche migliaio di uomini; ultimamente - dati ufficiali del regime al riguardo - erano circa 30.000. I Comitati Rivoluzionari rispondevano del loro operato direttamente a Gheddafi e nel tempo si erano inseriti anche nel sistema giudiziario, creando i cosiddetti Tribunali Rivoluzionari.

Fra il 1987 ed il 1988 il loro approccio troppo invasivo nel sistema sociale libico aveva consigliato il Rais a ridimensionarne il potere facendo transitare parte della  loro attivita' sotto il controllo di un neo-organismo denominato "Segretariato per la mobilitazione di massa e la leadership rivoluzionaria". Anche il loro attivismo all'interno delle strutture di sicurezza e polizia veniva ridimensionato. Ma comunque, nonostante alti o bassi del loro potere, i Comitati Rivoluzionari rimanevano uno strumento in mano al regime da attivare in caso di necessita'. Nella ultima guerra civile hanno combattuto fino all'ultimo a fianco dei reparti lealisti, come entita' paramilitari macchiandosi spesso di episodi brutali.

IL RUOLO DELLA FAMIGLIA

Oltre agli storici compagni del Comando del Consiglio Rivoluzionario (Kweldi al Hameidi, Mustafa al Kharroubi, Abu Bakr Youni) che garantivano a Gheddafi un sostegno fattivo nell'esercizio del potere (ovviamente in regime di reciprocita' e complicita'), il Rais, che ufficialmente non rivestiva alcun potere istituzionale, poteva contare sui membri della sua famiglia come strumenti operativi delle sue volonta'. I suoi familiari erano quindi parte integrante del sistema e del suo potere personale.

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(senso orario dall'alto a sx) Saif al-Islam, Saif al-Arab, Saadi, Ayesha,
Hannibal, Khamis, Mu'tassim e Muhammad

Gheddafi aveva 8 figli di cui 7 maschi e 1 femmina.

Il piu' vecchio era Mohammed, figlio della prima moglie di Gheddafi (Khaled Nuri Fateya) da cui il leader aveva divorziato e per questo non aveva ruoli politici di prestigio. Ingegnere, considerato un ottimo uomo d'affari, esercitava la sua attivita' principale nel settore delle telecomunicazioni. Oltre allo strategico ruolo delle telecomunicazioni e dei collegamenti internet , il personaggio era comunque elemento di contatto tra il regime e la classe imprenditoriale libica. Lui stesso aveva sposato una ex compagna di universita', figlia di commercianti.

Seif al Islam era il primo figlio maschio della seconda (ed ultima) moglie di Gheddafi e quindi, nella tradizione araba, era in pectore l'erede diretto del potere del padre. Su di lui si erano accentrati piu' volte gli interessi degli analisti internazionali per individuarne il potere, le idee, le iniziative. Presidente della "Gheddafi Charity Organization and Development Foundation" si era distinto per iniziative di carattere umanitario nel mondo al fine di accentuarne la statura internazionale e, nel contempo, con analoghe iniziative in ambito nazionale operava per disinnescare malumori sociali (vedasi i contatti con i parenti delle vittime di Abu Salim, i contatti con le N.G.O. internazionali per la questione dei diritti umani, le trattative con i ex terroristi detenuti del gruppo Islamico Combattente Libico). Nel campo politico professava idee alquanto riformiste ed  innovative (Costituzione, democrazia, diritti umani), ma "pericolose" incontrando spesso l'opposizione piu' o meno latente  da parte di altri personaggi del regime. Laureato in Architettura, un master a Vienna in International Management, ha recitato nella parte finale del regime fino alla morte del padre il ruolo che gli competeva come primo figlio maschio. Da politico (negli ultimi tempi, per dargli maggiori ruoli politici, era stato creato giuridicamente un nuovo organismo denominato "Consiglio per la Guida Sociale e Popolare" che lui doveva presiedere e che avrebbe dovuto presiedere a tutte le iniziative politiche del Paese) e' dovuto diventare militare ed e' stato poi - forse ingiustamente - indiziato per crimini contro l'umanita' presso il Tribunale Internazionale de L'Aia. Sicuramente, in questo tipo di accuse, paga piu' per il suo ruolo di delfino che non per i suoi presunti misfatti.

Mutassim al Billah per anzianita' anagrafica veniva dopo Seif Al Islam ed al fratello aveva cercato anche di contendere il ruolo di erede principale del padre. Presiedeva il Consiglio per la Sicurezza Nazionale ed in tale veste recitava un incarico di spessore nell'ambito della sicurezza. Quindi, rispetto al fratello "politico", lui era il fratello "operativo". Forse anche per questo, dopo la cattura, e' stato subito eliminato.

I due fratelli maschi meno anziani, Saadi e Hannibal, erano quelli che piu' che un sostegno al regime, creavano problemi alla famiglia. Saadi aveva il grado di Colonnello e un qualche non meglio specificato incarico militare (veniva accreditato del comando di una "Joint Special Force" composta da militari dell'Esercito/Marina/Aviazione di cui non era nota l'operativita'). La sua notorieta' era legata soprattutto alla sue velleita' calcistiche. Aveva pero' il "pregio", ai fini della sostenibilita' del regime, di aver sposato la figlia di Kweldi al Hameidi, membro del Comando del Consiglio Rivoluzionario. Un matrimonio (peraltro abbastanza tribolato), ma che garantiva una saldatura fra i personaggi di potere del regime. Hannibal, al contrario, era famoso solo per le intemperanze di cui rendeva si protagonista in patria e all'estero. Al riguardo basta ricordare la storia degli ostaggi svizzeri, iniziativa di ritorsione del regime per il suo arresto in Svizzera. (*)

Aisha Muammar era l'unica figlia femmina del Rais ed era molto legata al padre. Come avvocato aveva partecipato al collegio difensivo di Saddam Hussein. Personaggio dal carattere forte e combattivo, emancipata, dedita anche a iniziative umanitarie, assicurava al regime un sostegno indiretto nel mondo femminile.

Seif Al Arab era un figlio dal ruolo alquanto defilato nell'ambito della famiglia. Non gli si accreditava alcun ruolo nel sistema di potere della famiglia. E' stato il primo dei figli a morire nella guerra civile, in silenzio e nell'ombra come praticamente aveva sempre vissuto.

Khamis era invece il figlio "militare" per eccellenza nell'ambito della famiglia. Il piu' importante sotto questo aspetto. Comandava una Brigata di fedelissimi, la piu' efficiente dell'Esercito, che garantiva la sicurezza del regime. Come peraltro prevedibile, Khamis morira' (almeno finche' questa notizia non trovera' elementi sostanziali di smentita) nel corso di una operazione militare.

LA NEMESI DI UN REGIME

Il potere di Gheddafi aveva i suoi punti di forza in questo insieme di elementi e strutture che ne assicuravano la solidita' e la continuita'. Tale potere non avrebbe potuto durare oltre 42 anni se non fosse stato cosi'. Dopo la morte del dittatore nord-coreano Kim II Sung e di Omar Bongo del Gabon, nelle statistiche del settore Gheddafi era il dittatore piu' longevo in servizio attivo.

Nella cosiddetta "primavera araba" che ha travolto alcuni Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, la Libia avrebbe sicuramente mantenuto il suo regime se non fossero avvenute circostanze negative nei Paesi limitrofi (e quindi con le conseguenze di un effetto domino di natura esogena), ma soprattutto se non fossero intervenute forze militari straniere a supporto dei rivoltosi. L'andamento della guerra ha ampiamente dimostrato che Gheddafi aveva comunque sostegno popolare (anche attraverso le kabile) e una conseguente forza militare.

Il limite del regime, per quanto sanguinario come quello di Gheddafi, e' stato nella difficolta' di essere flessibile, di accettare nuove situazioni e/o di saperle affrontare. Un parametro ricorrente a tutte le dittature dove prevale la logica della forza e della repressione a scapito del consenso. 

Nel caso libico questa circostanza era aggravata dal fatto che Gheddafi aveva per se' e per il suo ruolo un approccio messianico. Non poteva accettare che il suo popolo non si riconoscesse in lui. E questo e' anche dimostrato dal fatto che Gheddafi non e' scappato davanti ad una sconfitta certa, e' stato tra la sua gente fino alla fine, ha preferito il martirio al disonore, ha mostrato stupore di fronte al rancore dei suoi aggressori che lo catturavano e lo stavano uccidendo.

Gheddafi si sentiva latore di un messaggio e un ruolo universale anche nel contesto internazionale. Il suo filo-nasserismo iniziale, il panarabismo di molti anni, fino all'africanismo finale e al suo  procurato titolo di "Re dei Re" da parte di vari capi tribu' africani, viaggiavano sulla stessa considerazione di se' stesso e conseguente  approccio.

Gheddafi non era un personaggio da operetta come talvolta veniva descritto per le sue stravaganze comportamentali o l'eccentricita' dei suoi abbigliamenti.

Aveva l'acume del beduino, sapeva fiutare situazioni e pericoli. Per questo, nella sua gestione del potere, e' passato attraverso posizioni diverse, talvolta etichettate come imprevedibili o istrioniche, ma sempre motivate dalla sopravvivenza del regime. E' stato terrorista e rivoluzionario, ma ha anche combattuto il terrorismo. E' stato  anti-americano a corrente alternata, laico e poi fondamentalista islamico e poi islamico moderato. Ha accarezzato il sogno di una bomba nucleare e poi se ne e' dissociato, ha fatto ammazzare  i suoi oppositori all'estero e poi - nella parte finale del suo regno - li ha perdonati. Ha combattuto i Fratelli Musulmani e poi li ha amnistiati, ha combattuto contro il Gruppo Islamico Combattente libico e poi li ha graziati e liberati. E' stato tutto ed il contrario di tutto. E' stato un dittatore, ma anche un fine politico. Sicuramente un personaggio scomodo, anche per l'Italia, che si e' dovuta spesso confrontare tra preminenti interessi economici e relazioni bilaterali difficili.

La sua scomparsa non pone, il linea di principio, problemi etici di rilievo. Un dittatore che scompare puo' teoricamente migliorare il mondo. Affermazione di per se' ancora piu' valida se fosse in essere un sistema internazionale di giustizia sociale che intervenisse con equita' di fronte ai vari dittatori del mondo (il caso della Siria dimostra che cosi' non e').

LA LIBIA DI OGGI

Un Gheddafi morto lascia pero' dietro di se' un Paese ancora dilaniato da divisioni e prevaricazioni. La Libia di oggi ha gli stessi limiti della dittatura precedente (violazione dei diritti umani, soprusi, abusi) con l'aggiunta di un altro valore negativo: la mancata stabilita' sociale che, anche in modo forzato, Gheddafi assicurava. Nella pratica, la Libia di oggi non sta meglio di quella di ieri. Nell'ultimo periodo del regime di Gheddafi, i detenuti politici erano circa 600. Oggi le persone incarcerate dopo la guerra risulterebbero essere molte di piu'.

Si puo' arguire sul valore aggiunto di una dittatura che non c'e' piu', ma in una popolazione che non ha mai goduto nella sua storia di un periodo democratico, questo valore potrebbe risultare ininfluente. Il rischio e' che la Libia possa adesso transitare da una dittatura ad un altro regime autoritario. Ed e' una circostanza fortemente probabile.

Inoltre, una Libia socialmente instabile, come oggi lo e', crea spazi operativi al terrorismo che si  giustifica nel fondamentalismo islamico. L'uccisione dell'ambasciatore americano, Chris Stevens, l'11 settembre a Benghazi da parte di membri di "'Ansar al Sharia" lo dimostra ampiamente.

Ad oltre un anno dalla morte di Gheddafi, le milizie armate che hanno combattuto il regime continuano ad operare indisturbate senza aderire, come richiesto dal governo, alla smobilitazione. Ogni milizia, inoltre, tende a rappresentare gli interessi delle kabile di riferimento e quindi ad inficiare la coesione sociale che ai tempi di Gheddafi, magari in modo magari irrituale, era comunque garantita. Nel gioco delle vendette incrociate ed in applicazione di quella legge del taglione tanto diffusa nelle popolazioni beduine della regione, continuano ad essere perpetrati abusi e spargimenti di sangue incrociati.

Questo fa si' che le kabile piu' esposte nel difendere il regime del Rais siano adesso ancora ostili al cambiamento non trovando spazio per una riconciliazione nazionale. Il caso recente di Bani Walid, abitata prevalentemente dai Warfalla ed ancora fuori del controllo governativo e oggetto di un attacco militare negli ultimi giorni, lo dimostra.

La corruzione - elemento sfruttato ad hoc da Gheddafi come elemento aggiuntivo di coesione sociale - rimane oggi un fenomeno ampiamente diffuso per arricchimenti illeciti. Dei beni della Libyan Investiments Authority, ente dedicato agli investimenti esteri del regime con un capitale stimato di oltre 60 miliardi di dollari, si e' persa ampia traccia ora che la gestione e' passata in mano alle nuove autorita'. Si litiga sulla creazione di un sistema federale, ma soprattutto sulla spartizione dei proventi petroliferi tra regioni. In ultima analisi, nella Libia di oggi prevale il caos sociale e finanziario, la diffusione del fondamentalismo militante e sovversivo, mancanza di sicurezza, una societa' divisa e contrapposta.

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(*) 15 luglio 2008 : Hannibal e la moglie Alina risiedono in un albergo di Ginevra. Due domestici alle loro dipendenze si recano alla Polizia per denunciare maltrattamenti. Quando i poliziotti si recano in albergo vengono aggrediti dai coniugi Gheddafi e dalle loro guardie del corpo (queste ultime armate con armi non denunciate all'arrivo in Svizzera). Dopo alcune collutazioni, Hannibal e moglie vengono arrestati. Il giorno dopo verranno rilasciati su cauzione. Per Gheddafi padre l'evento e' considerato un affronto. Ne sortira' una crisi tra Tripoli e Berna che durera' oltre 2 anni.