IL GIOCO SPORCO SULLA LIBIA
I leader libici dopo la firma dell'accordo di Skhirat
Il
17 dicembre 2015 a Skhirat, in Marocco, veniva firmato in pompa
magna un accordo politico per la pacificazione della Libia.
Nell’occasione furono utilizzate dal rappresentante ONU presente
alla cerimonia, Martin Kobler, e da altri esponenti politici frasi
ad effetto della serie "giorno storico per la Libia", "porte
aperte a tutti i libici", "inizio di un lungo percorso verso la
pace", " punto decisivo per la stabilità della Libia". Alla
cerimonia erano presenti anche i firmatari dell'accordo: 80
deputati del Parlamento di Tobruk (Casa della Rappresentanza) su
un totale di 188, 50 deputati del Parlamento (Congresso Generale
Nazionale) di Tripoli su un totale di 136.
L'accordo arrivava dopo estenuanti trattative all’estero perché le
differenze e le divergenze da superare erano tante. Diverse
proposte di risoluzione della crisi erano state di volta in volta
ostacolate dai due Parlamenti e/o dai rispettivi governi a Tobruk
e Tripoli. Per superare la diffidenza reciproca erano scesi in
campo per mediare diversi Paesi arabi, il Segretario Generale
delle Nazioni Unite Ban Ki Moon. La firma era quindi avvenuta
sotto l’egida dell’ONU e con il beneplacito dei cinque membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza. Molto ottimismo, molta
enfasi, molte promesse: assistenza militare per la lotta al
terrorismo, eventuale eliminazione dell'embargo sulle armi al
momento della creazione di un governo di unità nazionale, aiuti in
altri settori chiave.
Da allora, niente è stato fatto in direzione di quell'auspicato
processo di unificazione nazionale. Dall'euforia si è passati alla
frustrazione. Da due governi che guidavano il Paese adesso ce ne
sono tre. Al Governo di Accordo Nazionale concordato con la
sponsorizzazione internazionale e guidato da Fayez Mustafa al
Sarraj, sopravvivono i governi di Tobruk e Tripoli. E dal 30 marzo
2016 lo stesso al Sarraj vive confinato nella base navale di Abu
Sitta, è sopravvissuto ad un tentativo di colpo di Stato ed è
rimasto senza alcun potere impositivo nelle vicende politiche,
economiche o militari della Libia. Anche la Banca Centrale libica
e la National Oil Company sembrano essersi defialte dopo un
iniziale appoggio al premier. E senza soldi, petrolio ed esercito
alle spalle l'emarginazione è inevitabile. Nel frattempo la
situazione nel Paese peggiora.
Il Segretario Generale dell'ONU, Ban Ki-Moon, a Tripoli
Colpe diffuse
Colpa dei libici? Sicuramente sì, perché oramai dopo cinque anni
di guerra civile e dissidi interni il Paese è diventato
ingovernabile. Si è sfaldato il tessuto sociale su cui si basava
la società tribale libica e beduina autoctona. Le kabile o tribù
(quelle che Muammar Gheddafi utilizzava nella gestione del suo
potere e per il controllo del territorio) hanno perso il loro peso
specifico. Sono sopravanzate dalle milizie armate che rispondono a
logiche diverse. La forza delle armi è adesso l'unico strumento
del consenso. Si è anche sfaldato il tessuto economico. Non esiste
più una diversità tra lecito ed illecito, tra commercio o
contrabbando. Molte milizie operano con caratteristiche criminali.
Si sono creati dei sistemi di arricchimento o sussistenza che
rischierebbero di sparire se la Libia tornasse ad essere uno stato
di diritto.
Colpa dell'ONU? L'ONU paga il prezzo dei suoi limiti operativi.
Molto attiva nell'elaborare negoziati, molto passiva quando questi
negoziati e conseguenti accordi devono essere applicati. Manca
sempre la forza coercitiva, l'imposizione di quanto concordato. Lo
strumento dell'ONU in Libia è UNSMIL (United Nations Support
Mission in Libya), una missione politica ma non militare. Tanti
buoni propositi (ripristino della pubblica sicurezza e della
legge, promozione della riconciliazione nazionale, favorimento del
dialogo politico, agevolazione del processo elettorale, protezione
dei diritti umani etc.), ma nessuno strumento per realizzarli. In
un Paese come la Libia, dove oggi solo le armi dettano legge, non
si capisce cosa possono ottenere le buone intenzioni dell'ONU. C'è
stato però anche un errore di fondo nella conduzione delle
trattative di Skhirat. Si è mediato, poi nuovamente trattato, ma
solo con coloro che avevano deciso di partecipare ai negoziati
internazionali hanno, alla fine, firmato l'accordo. Gli altri,
quelli che avevano ostacolato la mediazione, sono i adesso i suoi
principali sabotatori.
Ma i maggiori colpevoli di quello che sta succedendo in Libia sono
tutti quei Paesi – soprattutto i membri del Consiglio di Sicurezza
dell'ONU – che a vario titolo hanno sponsorizzato l'accordo
sottoscritto sotto l'egida delle Nazioni Unite, salvo poi
posizionarsi con l’alleato libico di turno. Ad eccezione della
Cina, che scarsamente si dedica alle vicende mediorientali e/o
nordafricane perché considerate aree di minore priorità strategica
per i propri interessi, gli altri rappresentanti permanenti del
Consiglio di Sicurezza hanno dato priorità ai loro interessi
nazionali. Così facendo hanno di fatto invalidato l’esito dei
negoziati da loro stessi promossi e sostenuti.
Manovre russe
La Russia sta giocando la sua partita puntando le sue fiche sul
generale Khalifa Haftar, padrone della Cirenaica e principale
avversario della riconciliazione nazionale e del governo al
Sarraj. Haftar è stato ricevuto a Mosca ad alto livello nel
novembre scorso – a dicembre anche un altro oppositore degli
accordi di Skhirat, il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila
Saleh Issa, ha avuto un caldo benvenuto in Russia – ha permesso
esercitazioni della flotta russa in acque territoriali libiche
finendo ospite sulla portaerei Kuznetsov, ha ricevuto a Tobruk la
visita del Capo di Stato Maggiore delle forze armate russe Valerj
Gerasimov e sempre da Tobruk ha parlato in videoconferenza con il
Ministro della Difesa Sergey Kuzhugetovich Shoigu. Tutto fatto
alla luce del sole, in modo ostentato proprio per evidenziare una
presa di parte. Anche se Mosca ha smentito ufficialmente la
fornitura di armi ad Haftar – e non poteva fare altrimenti visto
che sul Paese vigono delle sanzioni – Aguila Saleh ha tenuto a
precisare che la Russia è pronta a sostenere ed addestrare
l'esercito libico, leggi l’Esercito Nazionale Libico capeggiato da
Haftar, ipotizzando anche l'invio di armi.
La scelta russa in Libia è parte integrante della strategia di
posizionamento di Putin in Medio Oriente secondo un principio
utilitaristico. Haftar è l'uomo forte della Libia, ai tempi di
Gheddafi ha frequentato corsi militari a Mosca, è quindi
sostanzialmente una pedina utile in un gioco di egemonia nel
Mediterraneo. In un Paese come la Libia la politica si fa con la
forza delle armi e Khalifa Haftar è militarmente forte. E lo può
diventare ancora di più con il sostegno russo. Oltre a Tartous e
Latakia in Siria, un regime favorevole agli interessi russi in
Libia avrebbe anche il potenziale vantaggio di fornire ulteriori
approdi e scali alla flotta russa nel Mediterraneo. Inoltre, con
il sostegno ad Haftar la Russia si ritrova in sintonia con il
generale egiziano Abdel Fattah al Sisi, altro sponsor del generale
ribelle libico. L’Egitto sostiene la lotta di Haftar contro le
milizie islamiche che operano nella Libia orientale ed ai confini
egiziano. Ed anche in questo caso, il sostegno militare e le
forniture d'armi del Cairo sono parte di un’ulteriore deroga alle
sanzioni ONU.
Può la Russia sponsorizzare gli accordi di Skhirat e poi sostenere
militarmente uno dei maggiori oppositori del governo unitario?
Comportamenti etici, scorrettezze internazionali non sono motivi
di preoccupazione per la politica estera di Vladimir Putin che,
mai come adesso, ha tanto peso egemonico in Medio Oriente. Il
gioco russo trova spazio anche in virtù del disimpegno americano
nella regione. L'arrivo di Donald Trump alla presidenza americana
potrebbe poi favorire un riavvicinamento tra Mosca e Washington.
Da quello che emerge delle intenzioni più o meno manifeste dal
neo-presidente americano, la Libia non rappresenterebbe un
obiettivo prioritario per gli USA. Sarebbe per Trump un problema
squisitamente europeo. E se tale tendenza troverà conferma Mosca
avrà ancora più peso decisionale nelle vicende libiche.

Khalifa Haftar
Gli
altri giocatori
Ma non è solo la Russia a giocare sporco in Libia. Lo fa anche la
Francia, che ha dislocato truppe speciali nell'aeroporto di
Benina, a Benghazi, e che, anche se meno vistosamente, appoggia
Khalifa Haftar. Stesso comportamento anche da parte inglese,
stessa contraddizione tra appoggio a Skhirat e prese di posizione
di parte nelle vicende interne libiche. Per entrambi i Paesi
l'obiettivo è il petrolio libico e non casualmente i pozzi
principali (circa il 70% della totale produzione nazionale)
operano in Cirenaica sotto la giurisdizione di Haftar, che
controlla adesso anche i terminali petroliferi e vende il petrolio
ed il gas per conto suo.
Gli USA, almeno sotto l'amministrazione di Barack Obama, non hanno
svolto un ruolo così intrusivo in Libia. Hanno sostenuto
militarmente e con bombardamenti aerei le milizie di Misurata
(quelle che appoggiano al Sarraj) nella lotta contro le basi
dell'ISIS a Sirte. In virtù di questa circostanza gli USA
sarebbero quindi gli unici a portare avanti, nell'ambito del
Consiglio di Sicurezza, le istanze di Fayez Mustafa al Sarraj e
dell'accordo politico sottoscritto in Marocco. La posizione
americana risente però di due circostanze: l'intervento aereo
(oltre 500 missioni) era mirato a sconfiggere l'ISIS e non ad
appoggiare al Sarraj (e in tal senso deve essere interpretato);
nuove iniziative saranno probabilmente prese quando la nuova
amministrazione americana sarà nel pieno della sua funzionalità.
Gli USA possono però permettersi questo atteggiamento
politicamente corretto perché possono decidere in ogni momento di
interloquire con Haftar e farlo con sufficiente potere
contrattuale: il generale ha la nazionalità americana ed è stato
(o probabilmente lo è ancora) sul libro paga della CIA quando si
cercava di fomentare l'opposizione armata contro Gheddafi. Haftar
è infatti ricomparso improvvisamente sulla scena libica nel 2011,
con buona disponibilità finanziaria, sicuramente con il
beneplacito e sostegno dei Servizi americani. Se a questa
circostanza si unisce il fatto che Trump ha scarsa considerazione
dell'ONU, abbandonare il sostegno ad al Sarraj (deciso in ambito
Nazioni Unite) per poi passare dalla parte di Haftar sarebbe
facilmente attuabile.
Altri Paesi, invece, piuttosto che aderire agli accordi
internazionali hanno deciso di parteggiare per uno dei vari
contendenti. Qatar e Turchia sostengono l’ex premier del governo
islamico di Khalifa Ghwell a Tripoli, fautore di due tentati golpe
contro al Sarraj ad ottobre 2016 e nel gennaio 2017. Gli Emirati
Arabi Uniti sostengono invece il governo di Tobruk e hanno anche
degli aerei dislocati in una base aerea nell'area di Marji, in
Cirenaica. La Giordania si è invece dedicata all'addestramento
militare dei quadri dell'esercito di Khalifa Haftar. Ad alcuni
corsi ad Amman hanno partecipato anche i figli di Haftar, Saddam e
Khalid, che inopinatamente rivestono gradi militari e che così,
nella consolidata tradizione dei regimi arabi, si pongono
sull'asse ereditario del potere del padre.
Il Paese che più si è esposto a favore di al Sarraj è stato sinora
l'Italia, che ha più volte espresos il proprio appoggio
ufficialmente, ha inviato un ospedale militare a sostegno delle
milizie di Misurata durante l'offensiva contro l'ISIS, ha riaperto
– prima tra tutti i Paesi europei – la propria ambasciata a
Tripoli, ha sottoscritto un accordo di cooperazione ed assistenza
con al Sarraj per la lotta contro la criminalità e l'immigrazione
clandestina. La posizione italiana ha ovviamente incontrato
l'ostilità di tutti gli avversari di al Sarraj. Khalifa Ghwell ha
etichettato la scelta italiana come una forma di neo-colonialismo,
Haftar ha invece invitato l'Italia a restare fuori dalle vicende
interne libiche.
Comunque, nel suo piccolo anche l'Italia tiene i piedi in più
staffe. Haftar ha contatti diretti e ricorrenti con i vertici
dell'AISE, tenendo così aperta l'opzione che al Sarraj possa un
domani fallire e che Haftar diventi l'uomo forte del Paese.
Prospettive
E' chiaro che in un Paese come la Libia, che storicamente non ha
mai avuto l'opportunità di godere dei privilegi o dei limiti di
una democrazia, un accordo di pacificazione nazionale basato sul
consenso popolare non risulta facilmente praticabile. E' una
caratteristica che si riscontra anche nei vari personaggi che si
contendono il potere. Il "consenso" viene infatti ricercato
attraverso la forza delle armi. E siccome tra le tre entità
politico/istituzionali/militari in cui è diviso il Paese, al
Sarraj è oggi quello militarmente più debole. Ne consegue che il
sostegno internazionale di cui dovrebbe godere è sempre più
esiguo. E’ questa circostanza che genera il gioco sporco delle
varie nazioni che, a diverso titolo e secondo i propri obiettivi,
si sono adesso posizionate nella diatriba interna della Libia.
Se dalle parole si passasse alle armi, al Sarraj sarà doppiamente
doppiamente sconfitto. Sia perché le milizie di Misurata che lo
appoggiano sono oggi meno forti di quelle di Haftar, e si sono
ancor più indebolite con le perdite di circa tremila uomini
combattendo l'ISIS a Sirte, sia perché quel processo di pace che
lui impersona è praticamente fallito. Una sia debacle tirerebbe
giù anche l’ONU ed il suo “modello” di risoluzione dei conflitti.
Fallirebbe nel contempo anche la possibilità che di una
transizione democratica in Libia.
Del resto, Khalifa Haftar può contare su un "esercito" (termine
vagamente abusivo perché si riferisce a milizie non qualificate e
di varia estrazione) di circa 30.000 uomini (lui ne millanta il
doppio). Gode anche del consenso di alcuni ex gheddafiani.
Invitando l'Italia a starsene fuori dalle vicende libiche, cerca
lo spazio tecnico per agire indisturbato. Gli appoggi
internazionali più o meno palesi da Paesi importanti come la
Russia e l'Egitto aumentano esponenzialmente la sua prepotenza.
Recentemente la sua aviazione ha bombardato un aeroporto nel sud
del Paese dove stazionavano aerei delle milizie di Misurata. Ci
sono adesso tutti prodromi per passare ad uno scontro militare
diretto tra Haftar e le altre milizie che gli si contrappongono.
Sul fronte opposto, dietro a Fayez al Sarraj c'è il suo vice,
Ahmed Maitiq, l'uomo forte che porta al Consiglio presidenziale il
sostegno delle milizie di Misurata. Solo loro possono avere la
possibilità di contrastare la prevalenza militare di Haftar. Sulla
carta raggrupperebbero circa 35.000 uomini, suddivisi però in
oltre 200 milizie che perseguono anche interessi di parte. La
Libia ha complessivamente oggi in ordine sparso sul terreno oltre
200.000 miliziani armati.
La lotta fra la Cirenaica di Haftar e la Tripolitania di al Sarraj
è solo uno dei focolai di tensione. E' già due volte che negli
ultimi mesi Khalifa Ghwell fa prove di colpo di Stato. Benché non
abbiano avuto successo, il personaggio continua a muoversi tra
Tripoli e Misurata grazie all'impunità che la debolezza del
Governo di Accordo Nazionale di al Sarraj gli concede. Un tutti
contro tutti con tanta pace per la diplomazia, i negoziati, gli
appoggi internazionali, il consenso popolare.
Un nuovo Skhirat?
La diplomazia sembra averne abbastanza del Governo di Accordo
Nazionale e sono ripresi i tentativi di mediazione ed i negoziati.
Ad ottobre 2016 c'è stata una conferenza a Parigi sulla Libia
senza che fosse invitato alcun rappresentante del governo di al
Sarraj. Le trattative dell’ONU proseguono ad Hammamet, mentre
anche gli USA sembrano orientati – Trump permettendo – a discutere
il caso libico. Nelle settimane scorse si è riunita anche
l'African Union a Brazzaville, in Congo. In quell’occasione Fayez
al Sarraj ha richiesto, tra l'altro, la cancellazione dell'embargo
sulle armi. Erano presenti anche rappresentanti della Lega Araba e
l'inviato ONU Martin Kobler. A Brazzaville si è detto una cosa
giusta benché ovvia: bisogna rinegoziare l'accordo politico di
Skhirat, trovare un nuovo "compromesso".
L'unico che garantirebbe una transizione senza spargimento di
sangue dal caos alla normalità sarebbe riuscire a mettere
d'accordo tutte e tre le organizzazioni statuali che attualmente
si contendono il potere. Basterebbe che la Russia facesse
pressioni su Tobruk, gli USA su al Sarraj e la Turchia sul Governo
di Salvezza Nazionale di Gwell. Quindi un nuovo governo, benedetto
a livello internazionale, inclusivo di tutte le anime del paese.
Fayez al Sarraj potrebbe mantenere il primato politico, Khalifa
Haftar supervisionare la ricostruzione delle forze armate, facendo
rientrare nella legalità le milizie islamiche moderate che fanno
capo a Misurata. Più facile a dirsi che a farsi, ma se il gioco
sporco di quei paesi che adesso fomentano divisioni per propri
interessi nazionali diventasse un gioco pulito, il risultato
potrebbe essere ottenuto.
Se non verrà trovato un accordo il bagno di sangue è assicurato ed
è inevitabile che il Paese scivoli ancor di più alla deriva, a
prescindere da chi ne esca vincitore. Perché i bagni di sangue, le
guerre civili, i morti ammazzati alimentano sempre rancori e
divisioni. La guerra civile libica ha causato oltre 1.500 vittime
nel 2016. Stesso dato anche nel 2015 e quasi il doppio nel 2014.
Uno stillicidio che rende ogni giorno più difficile la
riconciliazione nazionale.