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LIBIA: SOLO DUE SOLUZIONI E TANTI PROBLEMI


libya war


Non ci sono molte alternative per risolvere il caos libico: o si trova una soluzione negoziata con la formazione di un governo di unità nazionale o bisognerà ricorrere ad un ennesimo intervento militare internazionale senza l’autorizzazione delle autorità locali. Questo perché, comunque vada, un intervento armato a sostegno delle truppe libiche o in forma autonoma dovrà essere attuato. E’ tale il livello di disintegrazione sociale e caos nel Paese che la diplomazia , da sola, non basterà.

Nonostante l’impegno del mediatore ONU Martin Kobler, le varie trattative di pace in corso incontrano due ordini di problemi:

- Il fattore tempo, perché l’avanzata dell’ISIS sta diventando particolarmente pericolosa e non si può continuare a negoziare e a mediare all’infinito;

- Il fattore consenso, ovvero l’accordo sottoscritto deve ottenere l’adesione sostanziale (non formale) di tutte le parti in causa. Altrimenti è carta straccia.

Se ciò non dovesse avvenire, è automatico passare all'opzione militare, un intervento armato sulla falsariga di quello che ha estromesso Muammar Gheddafi nel 2011. Anche in questo secondo caso è sempre l’Onu a fornire il quadro giuridico di riferimento. Esiste infatti una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, la 2259 votata il 23 dicembre scorso, in cui si prefigura un eventuale intervento armato internazionale su richiesta del governo unitario (quello che ancora stenta a formarsi) con funzioni di antiterrorismo. Quale governo se non si trova un accordo nazionale? Quello che l’Onu riterrà utile definire rappresentativo della volontà popolare libica. Comunque , anche se non menzionata nella risoluzione sulla Libia, nel Capitolo VII dello statuto dell'Onu si contempla la possibilità di un'azione di forza se resa indispensabile dalle circostanze.

Venti di guerra

Più il tempo passa e più la soluzione militare diventa preponderante, anche perché, come detto, l’ISIS si sta rafforzando ed espandendo in Libia. Lo ha detto la Ministro della Difesa italiana, Roberta Pinotti, aerei militari italiani sono posizionati in Sicilia, sorvoli di ricognizione avvengono giornalmente, alcuni bombardamenti mirati sulle milizie islamiche sono già stati effettuati da non note forze aeree (probabilmente francesi), si parla già di forze speciali americane ed inglesi presenti nel Paese.
Piano piano la diplomazia sta lasciando spazio all’intervento armato.

Per l’Italia, che si trova in prima linea, il problema è doppio: evitare che il terrorismo si insedi in un Paese vicino alle proprie coste, evitare che continui l’afflusso, oramai senza controllo, di clandestini da una nazione allo sbando. Questo spiega perché l’Italia, qualunque sia l'opzione intrapresa, giocherà, per forza di cose, un ruolo primario.

E’ chiaro che un intervento militare sul suolo libico, qualora non stato fosse autorizzato/richiesto da un governo nazionale libico, avrebbe grosse controindicazioni, non solo sul piano della legittimazione (ma questo è solo un aspetto formale perché magari potrebbe essere avvalorato da una risoluzione ONU), ma soprattutto perché, in tale ipotesi, bisognerebbe avere, nel dopoguerra, una soluzione politica già prefigurata. Se non la si riuscisse ad avere prima dell’intervento, nonostante i vari negoziati e le mediazioni, sarà ancora più difficile ottenerla dopo.



fayez sarraj
Fayez Sarraj


Cui prodest?

In altre parole, bisognerebbe capire per chi si combatte e a chi si consegnerà il Paese dopo l’azione militare straniera. E non è sicuramente una soluzione facile perché oggi la Libia è un non Paese dove tutti combattono tutti. L'unico collante ancora funzionante è la Banca Centrale che da Tripoli paga regolarmente tutte le milizie del Paese. Inoltre, intervenire senza un accordo locale significherebbe combattere contro una parte dei libici e non solo contro l’ISIS. In definitiva, quindi, l'opzione migliore sarebbe quella di lasciare la guerra contro il terrorismo ai libici (truppe di terra) con l'assistenza militare internazionale (bombardamenti, assistenza tecnica o altro).

Il secondo problema è il coordinamento di un intervento armato. Ancora una volta la Francia è particolarmente attiva e, come peraltro già avvenuto durante la guerra per estromettere dal potere Gheddafi, si muove senza aspettare il compimento del percorso negoziale. Il recente bombardamento aereo delle milizie islamiche li ha visti protagonisti del sostegno logistico fornito ai Rafale egiziani. Anche altri attori internazionali come la Russia si stanno muovendo autonomamente. Se mancherà uno stretto coordinamento internazionale, anche l'efficacia degli interventi rischierà di essere penalizzata, come peraltro sta avvenendo in Siria e Iraq.

Ogni soluzione in Libia, che sia politica o militare, è oggi contrastata da varie diatribe interne. Il Consiglio di Presidenza, preludio di un governo di unità nazionale, presieduto dal premier designato Fayez Sarraj, è bloccato da veti incrociati in un mercanteggiamento continuo. Ad oggi non riesce nemmeno ad insediarsi a Tripoli per problemi di sicurezza. Una situazione che si sta trascinando dalla firma degli accordi di dicembre in Marocco e che ancora oggi sono oggetto di negoziati infiniti. Tutti sono teoricamente d'accordo sulla necessità di ricostituire uno stato unitario, ma poi ognuno vincola tale circostanza ai propri interessi o ambizioni personale. Ma, come detto, il fattore tempo ha una rilevanza essenziale.

Il nemico avanza

L'esercito dell'ISIS in Libia viene oggi valutato sui 5/6.000 uomini, in maggioranza (circa il 70%) sono “foreign fighters” (soprattutto maghrebini, con in testa i tunisini), mentre la componente libica gode anche dell'appoggio di alcuni fedelissimi del deposto Gheddafi sulla falsariga di quello che è avvenuto in Iraq con gli ex uomini di Saddam Hussein. I miliziani islamici stanno allargando le aree sotto il loro controllo avvicinandosi pericolosamente ai campi petroliferi, probabilmente per distruggerli. Hanno armamenti pesanti e controllano anche un'ampia fascia costiera e quindi sono in grado di fare affluire via mare uomini e armi. Più le varie fazioni libiche litigano e si combattono tra loro, più l'ISIS riesce a rafforzarsi.

L'ISIS libico è una diretta diramazione di quello di Abu Bakr al Baghdadi in Siria ed Iraq. A costituire la branca in Libia è stato dapprima inviato un iracheno: Abu Nabil al Anbari alias Abu Mughirah al Qahtani. Ex ufficiale di polizia sotto Saddam Hussein, poi diventato un terrorista di lungo corso combattendo per al Zarqawi, è stato ospitato nelle carceri americane di Camp Bucca nel 2004 dove ha incontrato e fatto amicizia con lo stesso al Baghdadi. Nei ranghi dell'ISIS al Anbari era diventato Wali (Governatore) della provincia di Salaheddin. Ammazzato da un raid americano nel novembre scorso nei pressi di Derna, è stato sostituito da un altro iracheno quasi suo omonimo: Abu Ali al Anbari. Anche quest'ultimo milita nel terrorismo islamico fin dal 2002 con funzioni di comando nel teatro siriano sotto il Califfo (gli vengono anche attribuite qualità “diplomatiche” per aver convinto altre fazioni ad aderire all'ISIS). La presenza di due personaggi di spessore sottolinea l'importanza che al Baghadi attribuisce alla Libia e, in prospettiva, qualifica quanto sia pericolosa questa presenza. Ne fanno fede anche le dichiarazioni recenti del Capo di Stato Maggiore interforze americano, Joseph Dunford, e del capo di Centcom, il generale Joseph Votel.

La principale base operativa dell'ISIS è a Nawfaliyah, nei pressi di Ben Jawad, mentre il comando sembra essere a Sirte che, con i suoi 50.000 abitanti, è il maggiore insediamento urbano sotto il loro controllo. Come fatto altrove, i militanti dello Stato Islamico arrivano in un posto, stringono accordi con le popolazioni locali, impongono le loro leggi e regole e chi vi si oppone viene ammazzato. Dove si insediano creano subito le basi di uno stato. In questo caso, a Sirte gli estremisti hanno tramutato una banca libica in una banca islamica. Al fianco dell'ISIS vi sono Ansar al Sharia con i suoi 3/4.000 uomini, lo Shura Council dei Rivoluzionari di Benghazi, lo Shura Council dei Mujaheddin di Derna e tante altre milizie di fanatici islamici.



ahmed gheddafi
Ahmed Gaddafi


Il pericolo chimico

Sullo sfondo della questione terroristica vi è il problema della presenza di aggressivi chimici sul territorio libico e sulla eventualità che possano essere utilizzati dall'ISIS, come prefigurato da alcune notizie stampa. Quel che più da credito a queste notizie sono le recenti dichiarazioni di un personaggio di spessore del vecchio regime, il cugino del defunto raìs, Ahmed Gheddafi. Come già segnalato a suo tempo (“Invisible Dog ­#15” del marzo 2013), queste giacenze esistono in quanto, a suo tempo, non furono segnalate dal dittatore libico mentre negoziava con la comunità internazionale. Oggi gli ex fedeli del dittatore potrebbero passare queste armi chimiche all'ISIS.

Inoltre, personaggi legati alla centrale di fabbricazione di Rabta stanno mettendo in atto dei contatti con l'estero presumibilmente per dare nuovo impulso alla produzione. Non è ancora noto per conto di chi agiscano e cosa vogliano. Tra essi spicca Ahmed Hesnawi, l'uomo del programma chimico libico ai tempi di Gheddafi, è sempre stato contrario alla possibilità che questo materiale potesse essere distrutto sulla base di un accordo internazionale. Accanto a lui opererebbe adesso un personaggio di nazionalità serba.

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