LA LIBIA ED UN FUTURO INCERTO
A differenza degli altri Paesi del Maghreb e del Medio Oriente, i successi della rivolta libica non sono stati esclusivamente il frutto di una guerra civile combattuta con la sola disperazione dei suoi abitanti e con il conseguente sacrificio del loro sangue. Per cacciare Muammar Gheddafi si e' messa in moto una coalizione militare internazionale doveva teoricamente aiutare i ribelli a vincere la guerra. Nella realta' dei fatti e' stata la coalizione a sconfiggere il Rais ed i ribelli a raccoglierne le spoglie. Questo senza voler togliere niente al valore di chi ha combattuto ed e' morto per cacciare Gheddafi.
Sembra una valutazione irrilevante ai fini del risultato, ma non bisogna dimenticarsi che se non fossero intervenute le forze internazionali, il dittatore libico sarebbe ancora la suo posto. L'andamento della guerra, la pervicacia con cui i lealisti hanno combattuto fino alla fine contro un avversario straordinariamente piu' forte, lo ha ampiamente dimostrato.
Ma allora - ed e' questa la domanda - cosa correla con questa premessa l'attuale situazione interna del Paese?

Gheddafi
Una vittoria senza vincitori
La prima considerazione di ordine generale e' che in una guerra civile dove gli attori sono solo interni, quindi senza interferenze esterne, il risultato finale riflette i valori sul campo. Chi vince, in altre parole, ha sicuramente avuto piu' forza, piu' determinazione e anche piu' consenso popolare. Alla fine della guerra civile, i rapporti di forza sono subito ben chiari ed ai vincitori rimane solo il compito di coagulare il consenso ottenuto, che da militare diventa popolare ed infine politico.
Se invece questa circostanza non si verifica ed i risultati sul campo sono falsati da interventi esterni, alla fine e' anche piu' difficile per gli aventi causa trovare un equilibrio dopo la vittoria. La Libia rientra in questa seconda casistica.
Un'altra considerazione e' legata al fatto che se altri Paesi ti aiutano a vincere la guerra, questi saranno la base del tuo consenso internazionale con evidenti vantaggi sul piano della politica estera, ma, al contempo, con effetti negativi sul piano interno. In primis perche' comunque, almeno in politica internazionale, l'aiuto ricevuto si tramuta forme di condizionamento: un po' per convinzione, molto per riconoscenza, in buona parte a seguito di "pressioni" o per assecondare le "aspettative" di chi ti ha aiutato (il termine "ricatto" nei rapporti internazionali assume una connotazione piu' diplomatica).
Sul fronte interno, questo significa - come insegna l'Afghanistan - l'insediarsi di governi amati all'estero, ma ininfluenti in patria. Un'altra conseguenza del consesso internazionale e' che le nuove autorita' non necessitano di patenti democratiche, o il superamento di quegli esami richiesti ai governanti in circostanze normali. Il risultato e' che i nuovi padroni del Paese possono dedicarsi esclusivamente al consolidamento del proprio potere secondi gli unici schemi conosciuti.
La Libia non ha e' mai stata una democrazia, non ha modelli politici interni su cui poter fondare una propria esperienza democratica e questo porta inevitabilmente a una involuzione di quel nobile gesto sociale che e' una ribellione ad una dittatura.
In altre parole: una dittatura viene cacciata, ma le autorita' che la sostituiscono non sono portatrici di modelli sociali che possano tramutare un regime in qualcosa di diverso. Oggi - ed e' il caso della Libia - il Paese non riesce ad uscire dalle logiche di guerra civile, non trova la forza di costruire percorsi politici alternativi ed e' di fronte ad un bivio che puo' portare a due conseguenze - ancorche' negative - opposte: una ulteriore dissoluzione e frammentazione del Paese, ovvero la rinascita di una autorita' politica coercitiva che ancora una volta, come ai tempi del Rais, imponga la sua volonta' con la forza e non con il consenso.
Le Kabile, ritorno al futuro
Muammar Gheddafi era sicuramente un dittatore sanguinario, non tollerava dissensi, stroncava senza pieta' ogni forma di opposizione, era il padre padrone delle vicende politiche del suo Stato, ma aveva comunque cercato di costruire - anche se con modi poco ortodossi - il suo consenso attraverso la struttura sociale principale del Paese: le kabile (termine locale per identificare clan e tribu' beduine). La guerra civile ha ampiamente dimostrato come alcune kabile lo abbiano appoggiato fino alla fine (basti pensare ai Warfalla di Bani Walid), mentre altre lo hanno osteggiato fine alla fine (come i Magharba della Cirenaica). Ecco che adesso la Libia e' sprofondata di nuovo nel suo passato feudale.
La fotografia della Libia di oggi e' questa: le kabile che detengono - de facto - il potere; le milizie armate, quasi tutte su base tribale, che mantengono le armi a dispetto delle richieste delle autorita' centrali e che rispondono dei loro comportamenti alle kabile di appartenenza; il riemergere della rivalita' storica tra Cirenaica e Tripolitania con pericolosi venti di secessione; un tessuto sociale ancora percorso da vendette claniche e familiari. Persa l'opportunita' di una riconciliazione nazionale, la diretta conseguenza di tutto questo e' che le istituzioni che dirigono il Paese hanno perso la legittimita'. Il risultato ultimo e' un governo che non comanda, un esercito che non ha forza, una polizia che non sa a chi deve rispondere e quindi non interviene.
Ma tra i tanti aspetti negativi, quello che forse presenta maggiori elementi di criticita' e' la dissoluzione del tessuto sociale che sta portando a lotte tra kabile, guerre tra kabile e tribu' nomadi, il riaffiorare delle rivendicazioni tuareg o delle istanze berbere. Sicuramente Gheddafi non puo' essere portato ad esempio di coesione sociale, ma sicuramente era capace di mantenere il controllo delle kabile ed essere arbitro di ogni conflitto sociale interno. Lo faceva a modo suo, alternando prebende a minacce, usando la forza laddove era ritenuto necessario. Comunque garantiva il risultato.
Se si tiene conto che la guerra civile libica ha avuto nei fatti termine con l'uccisione di Muammar Gheddafi nell'ottobre del 2011, e sono oltre due anni che la Libia e' ancora impantanata nel mezzo di un guado istituzionale e di un vuoto di potere che non trova soluzione.

Abdul Hakim Belhadj
Il ritorno dell'Islam politico armato
La Primavera Araba ha contribuito al risorgere, altrove come in Libia, dell'Islam politico. Un Paese che, nella configurazione politica precedente, aveva combattuto il terrorismo islamico impersonato dal Gruppo Islamico Combattente Libico (GICL), adesso si ritrova tra gli eroi della rivolta personaggi come Abdel Hakim Belhadj. Nome di battaglia Abu Abdallah Assadaq, gia' membro del GICL, arrestato in Tailandia (2004), "extraordinary renditioned" a Tripoli, detenuto e poi graziato dal regime nel 2009, Belhadj e' diventato capo del Consiglio Militare della capitale libica.
Sono questo tipo di situazioni a necessitare di essere socialmente metabolizzate prima di divenire elementi fondanti di una nuova stabilita'. Sul piano politico, infatti, c'e' oggi in Libia uno stallo tra le forze di ispirazione islamica, come i Fratelli Musulmani, ed un'alleanza delle Forze Nazionali di ispirazione laica. Come si legge nelle cronache, i morti ammazzati non fanno piu' notizia. L'area intorno a Benghazi, dove e' preminente la presenza di bande islamiche, omicidi, tentati omicidi o attentati sono merce quotidiana.
Allora la domanda finale e': cosa succedera' in Libia? Che fine fara' questo Paese?
La risposta e' figlia di tante opzioni o soluzioni che dipenderanno ovviamente dallo sviluppo degli eventi interni, ma anche da quello che succedera' nelle nazioni limitrofe. Alla luce di quanto successo nei Paesi vicini i percorsi piu' probabili sono due: la restaurazione (non necessariamente di marca gheddafiana) di un potere autoritario che governi il Paese. Un po' come poi e' accaduto in Egitto. Nonostante sia difficile oggi individuare chi potrebbe prendersi il potere. L'alternativa e' che la Libia divenga una seconda Siria, o peggio ricalchi le orme della dissoluzione somala.