IL NAUFRAGIO E L'OFFESA
"RIDARE IL MALI AI MALIANI"
...
Aminata D.
Traore'

Aminata D. Traore'
"Ogni societa'
imperialista vede nell'Altro la negazione dell'ideale
che essa stessa di sforza di raggiungere. Essa cerca
di addomesticarlo attirandolo nel campo di
applicazione del proprio idealo e situandolo ad un
livello piu' basso"
Wolfgang Sachs*
COSA SIAMO DIVENTATI IN MALI?
" A chi dobbiamo ridare le chiavi ? " e' la domanda posta da Pierre Lellouche, deputato dell'UMP all'Assemble'e Nationale francese, a proposito del Mali. Era il 22 Aprile 2013 durante il dibattito parlamentare che ha preceduto il voto sul prolungamento dell'Operazione Serval. Gli rispondeva Herve' Morin, ex ministro (UMP) della Difesa," Non c'e' nessuno a cui passare la mano ". Come per una lettera alla posta, il prolungamento richiesto e' stato adottato all'unanimita'. Le elezioni presidenziali sono state invece fissate al Luglio 2013. La Francia ufficiale non e' soltanto unanime, ma anche intransigente.
Sarei" intrattabile " ha anticipato il Presidente François Hollande. Questa parola e' nelle nostre teste e ci ferisce. Il Ministro della Difesa, Jean Yves Le Drian, ritiene a tal proposito che" si debba fare le cose con forza " (RFI). I maliani che hanno accolto il Presidente Hollande come un liberatore immaginavano che l'operazione Serval servisse a sbarazzarsi velocemente di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e dei suoi affiliati di Ansar Dine e del MUJAO e che la vita sarebbe tornata come prima. L'intervento militare ha incontestabilmente ridotto le capacita' di nuocere dei jihadisti, uccidendone alcune centinaia e distruggendo i loro stock di armi e carburante. Ma le citta' di Gao e Timbuktu sono libere senza esserlo veramente visto che alcuni gruppi che la retorica ufficiale bolla come "residuali" continuano ad operare in queste localita' commettendo attentati. Fatto ancora piu' preoccupante, Kidal e' ancora nelle mani del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad (MNLA) che vieta all'esercito maliano l'ingresso in citta'.
Per paura di impantanarsi, la Francia riduce il numero dei suoi effettivi sul terreno, ma senza ritirarsi. La sua cooperazione con la Comunita' Economica degli Stati dell'Africa Occidentale (CEDEAO/ECOWAS) per la mobilitazione delle truppe africane nell'ambito della Missione Internazionale di Sostegno al Mali (MISMA) e' lungi dall'essere soddisfacente. La Missione Multidimensionale Integrata della Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) entrera' in azione a Luglio 2013.
La Francia non si fara' incastrare. Ma in quale avventura ha coinvolto il nostro Paese senza che ne fossimo pronti? E che Mali lasceranno alle generazioni future? Quello in cui la partenza dell'ultimo soldato francese e' uno dei momenti forti della sua decolonizzazione e che oggi perde quello che restava della propria sovranita'?
Convinto del suo ruolo di liberatore, il Presidente Hollande ci ha promesso durante il suo passaggio a Bamako una nuova indipendenza" non contro il colonialismo, ma contro il terrorismo ". Come se spettasse alla Francia salvarci da un pericolo a loro non sconosciuto, come dimostra il loro recente intervento in Libia.
L'Uomo del Mali e' entrato sufficientemente nella storia? E' egli artefice del proprio avvenire al punto tale da poter usufruire del proprio diritto a dire "no" alle scelte ed alle decisioni che riguardano il proprio destino?
La militarizzazione come risposta al fallimento del modello neo-liberista nel mio Paese e' la scelta che qui contesto. Interdetta dal soggiorno nei paesi dell'area Schengen, guardo con ammirazione e rispetto alle mobilitazioni e alla determinazione dei popoli d'Europa nel lottare contro quello stesso sistema che in Africa ci distrugge nel silenzio.
IL COLLASSO DEL CAPITALISMO MALIANO "VINCENTE"
Il Mali non soffre di una crisi umanitaria e di sicurezza nel nord del Paese a causa di una ribellione e dell'Islam radicale e di una crisi politica e istituzionale al sud a causa del colpo di Stato del 22 Marzo 2012. Questo approccio riduttivo e' il primo vero ostacolo alla pace e alla ricostruzione nazionale. Noi abbiamo assistito soprattutto al fallimento di un capitalismo maliano pretenziosamente vincente, ma ad altissimo costo sociale ed umano.
Aggiustamento strutturale, disoccupazione, poverta' e poverta' estrema, sono il nostro premio a partire dagli anni '80. La Francia e gli altri Paesi europei hanno soltanto una trentina d'anni di ritardo sul Mali ed i suoi compagni di sventura africani, sottomessi da decenni alla medicina da cavallo del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
Secondo l'UNCTAD (Rapporto 2001), l'Africa e' il continente dove la messa in opera dei Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS) durante i decenni '80 e '90 e' stata piu' massiccia, piu' spinta e piu' distruttiva e durante i quali le istituzioni internazionali non si sono preoccupate di correggere gli squilibri macro-economici e le distorsioni dei mercati, esigendo invece dagli Stati dei documenti con strategie per la riduzione della poverta' (DSRP).
Il credo di Margaret Thatcher "There is no Alternative" (TINA) marcia a meraviglia sotto i nostri cieli. Tradotto sul piano economico significa "liberalizzate le vostre economie a tutti i costi", su quello politico "democratizzatevi secondo le nostre norme e criteri" e, nel caso del Mali, "votate a Luglio". A questa agenda, gia' di per se' rischiosa, si aggiunge il cote' militare "mettete in sicurezza il vostro Paese secondo i nostri metodi e conformemente ai nostri interessi".
Sacrificato sull'altare del commercio detto libero e concorrenziale, ma perfettamente scorretto come illustrano le filiere del cotone e dell'oro, e su quello della democrazia formale, il Mali sta per esserlo anche nel quadro della lotta contro il terrorismo.
La ribellione del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad (MNLA), il colpo di Stato e il reclutamento di giovani disoccupati e affamati nel nord come al sud del Paese nelle file di AQMI, Ansar Dine e MUJAO si inseriscono in un quadro nazionale esplosivo. Questo e' stato segnato a fine 2011 e inizio 2012 da delle manifestazioni contro il caro-vita, la disoccupazione, la precarieta', il referendum costituzionale, la questione della terra, la corruzione e l'impunita'.
A parte una piccola minoranza di nuovi ricchi, il popolo del Mali e' il grande perdente dell'apertura con i forcipi dell'economia nazionale. E' divertito per i discorsi menzogneri e soporiferi sull'esemplarita' della nostra democrazia e sulle performance economiche ritenute le migliori dell'ECOWAS. Le voci discordanti sono tacitate.
DINIEGO DELLA DEMOCRAZIA
Democratica all'interno delle sue frontiere, se prendiamo ad esempio la vivacita' del dibattito nell'Emiciclo e per le strade sulla questione del matrimonio per tutti, ma intrattabile nelle sue relazioni con il Mali. La Francia non vede niente di male nel suo ritorno in auge con la forza. Non ne vuole sapere dei suoi disegni o fa finta di non averne. Bisogna lodare e danzare alla sua gloria se si vuole restare nelle sue grazie, esistere politicamente e circolare liberamente in Europa. Rifiutare tutto cio' significherebbe non stare con la Francia e quindi contro di essa. Sembra di essere tornati indietro all'indomani degli attentati contro le Torri Gemelle negli Stati Uniti nel 2001, quando il Presidente americano George W. Bush dichiarava: "O siete con noi o con i terroristi". Nel mio caso sono le idee di sinistra sugli scempi della globalizzazione neo-liberista in Africa ad essere divenute sovversive. Eppure mi erano valse un invito del Partito Socialista francese alla sua universita' a la Rochelle nel 2010.
Per offuscare il senso del mio discorso e della mia lotta sono stata qualificata prima come pro-golpista e anti-ECOWAS ed oggi costretta nella mia abitazione. Sono in debito con Karamoko Bamba del movimento N'KO per questo pensiero africano secondo il quale "colui che ha il fucile non se ne serve per prendere il potere. E colui che detiene il potere lo esercita nell'interesse del popolo e sotto il suo controllo".
Perche' dovrei essere interamente responsabile del naufragio dello Stato nelle mani di un esercito di disperati incancreniti, come il resto delle istituzioni della Repubblica, dal morbo della corruzione, del nepotismo e dell'impunita'?
Non si puo' dare la colpa ai militari di non avere saputo difendere un Paese le cui e'lite politiche ed economiche non solo accettano di aprire il mercato alle peggiori condizioni, ma ne approfittano per arricchirsene. Il naufragio e' prima di tutto il loro per aver rivendicato un modello economico che rima con l'arretramento e l'uccisione dello Stato, con la rovina dei contadini, l'impoverimento delle truppe e la disoccupazione endemica. Se non vi erano i mezzi per arrestare i disastri del sistema negli anni '80, i nostri dirigenti politici non possono piu' ignorarli alla luce dell'impasse nel quale il sistema ha condotto la Grecia, la Spagna, il Portogallo, Cipro e... la Francia, loro punto di riferimento.
DALL'OSTRACISMO ALLA CRIMINALIZZAZIONE
E' il 12 Aprile 2012, nel momento in cui mi accingo ad andare a Berlino su invito della sinistra tedesca (Die Linke) e a Parigi su quello del Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA), che vengo a sapere di essere divenuta persona non grata in Europa su richiesta della Francia. Lo stesso vale per Oumar Mariko, Segretario Generale del partito SADI (Solidarite' Africaine pour la De'mocratie et l’Inde'pendance). L'ambasciata tedesca mi ha concesso un visto che mi ha permesso di andare a Berlino passando per Istanbul (Turchia), invece che per Amsterdam (Paesi Bassi), come inizialmente previsto. La tappa a Parigi e' stata invece semplicemente annullata.
Sono venuta a conoscenza del mio status di persona non grata grazie al seguente messaggio inviatomi dalla Fondazione Rosa Luxembourg:
" L'Ambasciata tedesca a Bamako ci ha informato stamattina che la condizione indispensabile per ottenere il visto per la Germania e' quella di non viaggiare per un Paese dell'area Schengen. E' per questo che le abbiamo comprato un nuovo biglietto (di volo via Istanbul/Turchia) che trovate in allegato. Ci dispiace che a causa di questo diniego non possiate restare tre giorni a Parigi. Ma l'Ambasciata di Germania ci ha informato che la Francia ha impedito che vi fosse dato un visto per tutti i Paesi di area Schengen. Vi verremo a prendere a l'aeroporto di Berlino lunedi'".
L'Associazione" Afrique Avenir ", co-organizzatrice di una delle conferenze a Berlino, ha protestato, cosi' come gli altri partecipanti. Ringrazio tutti coloro i quali hanno testimoniato la loro solidarieta' e qui ricordo il senso della mia lotta, per coloro che credono che la Francia non abbia il diritto di attentare alla mia liberta' di circolazione in ragione del mio disaccordo con Parigi quando non fanno altro che la politica dei propri interessi.
Chi puo' accusarmi di qualcosa che gli autori del rapporto di informazione del Senato francese dicono cosi' chiaramente: "La Francia non puo' disinteressarsi dell'Africa, la quale e', da decenni, profondamente strategica e sara' domani piu' popolosa dell'India e della Cina (nel 2050 l'Africa avra' 1,8 miliardi di abitanti contro i 250 milioni del 1950), dove sono stipate la maggior parte delle risorse naturali, oramai sempre piu' rare, e che conosce una crescita economica, sicuramente diseguale, ma senza precedenti e che non e' piu' solamente il frutto dell'aumento del prezzo delle materie prime, ma anche dell'emergere di una vera classe media".
Se i dati sugli sviluppi demografici ed economici sono fondati, la "crescita economica" al quale il rapporto fa allusione e' incerta, fonte di conflitti perche' diseguale, a vantaggio soltanto delle imprese straniere e di una parte dell'e'lite politica ed economica.
Le poste in ballo dell'intervento militare in corso sono: economiche (l'uranio, quindi il nucleare e l'indipendenza energetica), di sicurezza (la minaccia di attentati terroristici contro gli interessi delle multinazionali, in particolare della francese AREVA, la presa di ostaggi, la grande criminalita', ovvero il narcotraffico e la vendita di armi), geopolitiche (la concorrenza cinese) e migratorie.
Quale pace, quale riconciliazione e quale ricostruzione possiamo sperare di avere quando le poste sono cosi' accuratamente nascoste al popolo?

LA STRUMENTALIZZAZIONE DELLE DONNE
Il divieto di accedere allo spazio Schengen non mi colpisce in quanto donna, ma dimostra che coloro i quali si rifiutano di essere strumentalizzati nella difesa degli interessi dominanti possono essere combattuti. Ne faccio la dolorosa esperienza a livello nazionale ormai da molto tempo, ma non mi aspettavo di essere ostracizzata da parte del Paese dei diritti dell'uomo e precisamente nel momento in cui il mio di Paese e' in guerra. Questo vi'ola anche la risoluzione 1325 dell'Onu, relativa alla partecipazione delle donne nei processi decisionali a tutti i livelli ed alla prevenzione e risoluzione dei conflitti, cosi' come nella ricostruzione.
Devo forse ricordare che l'8 Marzo 2013, Giornata Mondiale delle Donne, il Presidente francese François Hollande rispondeva cosi' al suo predecessore, Nicolas Sarkozy, che si chiedeva il perche' della presenza dell'esercito francese in Mali: "Perche' c'erano delle donne vittime dell'oppressione e delle barbarie! Delle donne a cui e' stato imposto di portare il velo! Delle donne che non osavano piu' uscire di casa. Delle donne picchiate!".
A proposito del velo, sono una delle fuoriuscite maliane e saheliana dall'analfabetismo e tento di sradicare quello, piu' pernicioso, dell'ignoranza economica che mantiene gli africani nel buio piu' totale sulle politiche neoliberiste e che fa di loro bestiame elettorale. Sarebbe stato altrettanto intrattabile il Presidente Hollande sulla data delle elezioni presidenziali in Mali se si fosse trovato davanti un elettorato che poneva la sovranita' economica, monetaria, politica e militare al centro del dibattito politico?
A proposito di donne che "non osavano piu' uscire di casa", io uscivo fin qui liberamente dal mio Paese e percorrevo altrettanto liberamente l'Europa ed il mondo. Quale che sia il motivo per il quale io mi trovo in questa situazione al momento, questo non puo' scoraggiare le altre donne maliane e africane con la voglia di capire il mondo globale e di lottare per non subirlo al fine di diventare cittadine consapevoli e attive.

AIUTO ALLO SVILUPPO O MILITARIZZAZIONE
Al jihadismo armato deve corrispondere, a quanto pare, una soluzione armata. La strada e' cosi' aperta per un Paese come il nostro all'acquisto di armamenti, invece di analizzare e curare il radicalismo religioso che prospera laddove lo Stato, aggiustato e privatizzato, e' gioco forza carente o semplicemente assente.
Fare l'asino per avere del fieno e' il comportamento che prevale in questo contesto di poverta' diffusa, sia a livello di Stati che di certe organizzazioni non governative. E la guerra -peggiore fra i mali- e' anche l'occasione per iniettare del denaro fresco nella nostra esangue economia.
Delusa dalle esitazioni e lentezze dell'Europa, la cui solidarieta' si e' tradotta fin qui nella formazione dell'esercito maliano e di alcuni sostegni a livello bilaterale, la Francia invita alla condivisione dello sforzo finanziario fra europei per la difesa dei suoi interessi strategici in Africa occidentale. A questo si aggiungono anche altri donatori.
Il 15 Maggio 2013 a Bruxelles i donatori esamineranno il piano di azioni prioritarie e di urgenza (per il 2013 ed il 2014). Le risorse messe a disposizione (o annunciate) andranno a beneficio del popolo del Mali, che non sa piu' dove sbattere la testa, o irrigheranno nuovamente quegli stessi circuiti economici secondo le stesse pratiche che hanno aggravato la poverta' e la disuguaglianza?
Nel quadro della ripresa della cooperazione, il ministro francese delegato presso il Ministero Affari esteri incaricato dello Sviluppo ha annunciato che 240 milioni di euro saranno destinati a finanziare l'agricoltura, i servizi di base come acqua ed elettricita' nelle regioni del nord del Mali e il rientro della popolazione sfollata.
Vale la pena ricordare che Tripoli, capitale libica, ha ospitato il 29 e 30 Novembre 2010 il Terzo Summit Africa-UE e la guida libica Muammar Geddafi ha accolto in pompa magna i dirigenti di 80 Paesi africani ed europei.
La creazione di posti di lavoro, gli investimenti e la crescita economica, la pace, la stabilita', le migrazioni e il cambiamento climatico erano tutti all'ordine del giorno del summit. I partecipanti si erano messi d'accordo su di un "piano d'azione" per un partenariato Africa-UE dal 2011 al 2013.
L'UE, in quella occasione, riaffermo' il suo impegno a consacrare lo 0,7% del PIL all'aiuto pubblico allo sviluppo entro il 2015 e di destinare 50 miliardi di euro agli obiettivi generali del suddetto partenariato fra il 2011 ed il 2013. Siamo nel 2013 e ancora molto distanti dagli obiettivi di sviluppo del Millenario, cosi' come sono carenti le strade ed i mezzi per raggiungerli entro il 2020. Come il verme nella frutta.
La pace, la riconciliazione e la ricostruzione in Mali non hanno alcuna possibilita' di successo se poggeranno su degli accordi politici mirati all'accaparramento degli "aiuti esterni".
Lo Stato, o quello che ne resta visto che i ribelli si battono e negoziano nel quadro dello stesso paradigma che ha aggravato la disoccupazione, la poverta' e le tensioni. Le differenze si regolano in termini di investimenti, nelle infrastrutture, luogo per eccellenza di arricchimento rapido e di corruzione. La lista di lavori infrastrutturali mal eseguiti o mai realizzati e' lunga. Spiega almeno in parte il malcontento della popolazione settentrionale che soffre mentre alcune case di individui ben specifici si spandono a destra e a manca sotto gli occhi di tutti grazie alla sottrazione di fondi e ai denari del narcotraffico.
OSIAMO UN'ALTRA ECONOMIA
Niente sara' piu' come prima. Quello che era difficile lo diventera' ancora di piu' con la militarizzazione che assorbira' delle risorse di cui abbiamo maledettamente bisogno per l'agricoltura, l'acqua, la sanita', le case, l'ambiente e il lavoro.
Operazione Serval, Missione Internazionale di Sostegno al Mali (MISMA), Missione Integrata di Stabilizzazione Multidimensionale delle Nazioni Unite, la difesa del nostro Paese e della nostra sicurezza, prima di essere militare, e' innanzitutto una sfida intellettuale, morale e politica.
Mi sono ritrovata nei pensieri del candidato François Hollande quando affermava che "e' il momento di scegliere un'altra via. E' tempo di scegliere un'altra politica". Questo momento e' sicuramente arrivato sia per la Francia che per le sue vecchie colonie d'Africa. E' quello delle transizioni economiche, sociali, politiche, ecologiche e di civilta' che nulla hanno a che vedere con i percorsi tracciati dalla "comunita' internazionale". Esse rimandano ad un cambio di paradigma.
Non si illudano quei dirigenti africani che hanno interiorizzato il discorso menzognero sull'ineluttabilita' della guerra per porre fine al pericolo jihadista: l'effetto del contagio che tanto temono ha poco a che vedere con la mobilita' dei jihadisti, quanto alla similitudine delle realta' economiche, sociali e politiche indotte dal modello neoliberista.
Se i capi dei terroristi vengono da altrove, la maggioranza dei combattenti sono dei giovani del Mali senza impiego, senza interlocutori e senza prospettive di futuro. Anche i narcotrafficanti possono assoldare dei corrieri o spacciatori di droga fra quella stessa gioventu' disillusa.
La miseria morale e materiale di giovani diplomati, di contadini, di allevatori e di altri gruppi vulnerabili costituisce il vero fermento di rivolte e ribellioni che, mal interpretate, alimentano i sollevamenti. La lotta, senza effusione di sangue, contro il terrorismo ed il crimine organizzato in Mali e in Africa occidentale deve passare per un'analisi onesta ed un rigoroso bilancio degli ultimi tre decenni di liberalismo selvaggio, di distruzione del tessuto economico e sociale, cosi' come degli ecosistemi. Niente impedira' che centinaia di migliaia di giovani dal Mali, Niger, Ciad, Senegal, Mauritania e da altrove che ogni anno ingrossano il numero dei disoccupanti e dei richiedenti di visto finiscano per entrare nei ranghi dei terroristi se gli Stati ed i loro partner tecnici e finanziari non sono capaci di mettere in dubbio il modello neoliberista.
L’INDISPENSABILE CONVERGENZA DELLE LOTTE
Chiediamo uno slancio di solidarieta' per prendere in contropiede la militarizzazione, restituirci la dignita' e preservare la vita e gli ecosistemi.
Tutto andrebbe nel verso giusto se i 15mila soldati fossero degli insegnanti, dei medici, degli ingegneri e se i miliardi di euro che saranno spesi fossero destinati a coloro che ne hanno piu' bisogno. I nostri figli non avrebbero bisogno di andare a farsi ammazzare in veste di soldati sotto-pagati, narcotrafficanti o fanatici di Dio.
Dovremmo tutti, noi per primi, metterci al lavoro per un compito primordiale come la trasformazione del nostro io profondo, oramai indebolito, e del nostro morente Paese. Il vantaggio considerevole di un approccio sistemico e' la detribalizzazione del conflitto a favore di una coscienza politica che riconcili e riunisca tutti i dannati dell'economia globale. Tuareg, Peul, Arabi, Bamanan, Sonrhaï, Bellah, Se'noufos cesserebbero di prendersela gli uni con gli altri e si batterebbero uniti.
Questo approccio altromondialista ci restituisce la nostra "dignita'" in un contesto in cui abbiamo la tendenza a colpevolizzarci e di rimetterci, mani e piedi legati, alla merce' di una "comunita' internazionale" parte e giudice della questione.
Chiediamo la convergenza di tutte le lotte all'interno delle frontiere e fra tutte quelle componenti della societa' martoriate dalla barbarie del sistema capitalista che non vogliono, non si rassegnano e non si sottomettono. Devono esplorare insieme le alternative alla guerra.
Gli Stati liberisti hanno privilegiato la guerra e investito nelle armi di distruzione di vite umane, dei legami sociali e degli ecosistemi. Innoviamo attraverso la battaglia delle idee e convochiamo una conferenza della cittadinanza per un altro sviluppo del Mali per allentare il cappio della globalizzazione capitalista. Si tratta di aprire un dibattito sulla relazione fra le politiche neoliberiste e ciascun aspetto della crisi: disoccupazione endemica dei giovani, ribellioni, ammutinamenti, colpi di Stato, violenza contro le donne, radicalismo religioso.
Un lavoro inedito ed intenso di informazione e di istruzione cittadina nelle lingue nazionali che consenta ai maliani di parlare fra loro sul futuro del proprio Paese.
Siccome tutti gli Uomini nascono liberi e uguali nei diritti, noi rivendichiamo il nostro diritto a:
un'altra economia, in maniera tale di poter disporre delle ricchezze del nostro Paese e di scegliere liberamente le politiche per mettere fine alla disoccupazione, la poverta', le migrazioni e la guerra;
un sistema politico veramente democratico, perche' intelligibile dall'interezza dei Maliani, declinato e dibattuto nelle lingue nazionali, fondato su valori di cultura e di societa' largamente condivisi;
alla liberta' di espressione e di movimento.
RIDATECI LE CHIAVI DEL NOSTRO PAESE!
La Francia ufficiale che dichiara urbi et orbi che non abbiamo piu' "uno Stato degno di questo nome", ne' "un esercito degno di questo nome" crede certamente che non abbiamo nemmeno piu' un'esistenza in quanto popolo se arriva a chiedersi "a chi vanno ridate le chiavi" ed esige l'organizzazione delle nostre elezioni nel Luglio 2013. Inoltre, si adagia sull'annullamento della concertazione nazionale, che doveva servire per far riprendere ai Maliani tutti le redini del proprio Paese. E si accomoda soprattutto sullo stato di urgenza instaurato, prolungato una prima volta, e poi una seconda in modo tale da mettere "in sicurezza" la transizione.
Non credo che la "guerra al terrorismo" abbia portato la pace in Iraq, Afghanistan e Libia o che i Caschi Blu abbiano saputo proteggere le popolazioni della Repubblica Democratica del Congo e di Haiti come ci si sarebbe aspettato da loro.
Ma sono convinta che vi sia in ogni Maliano e Maliana un(a) soldato/soldatessa, un/a patriota che possa partecipare alla difesa dei propri interessi e di quelli del Mali a partire da una buona conoscenza del suo stato reale nell'economia globale.
La risposta all'insopportabile domanda di Claude Lellouche e' chiara: il Mali va ridato ai Maliani. Solo noi possiamo prendercene cura perche', come ha ricordato Bouna Boukary Dioura, noi sappiamo, noi i popoli del Sahel, che le pietre finiscono per fiorire a forza di amore e perseveranza.
Rendez les cle's du Mali au peuple malien !
Aminata D. Traore', Bamako le 03 mai 2013
* Wolfgang Sachs et Gustavo Esteva : Des ruines du
developpement. Les Editions Ecosociete' 1996.