LA METAMORFOSI DEI MUJAHEDIN-E-KHALQ
Se
esiste oggi in Medio Oriente un movimento che riassume tutte le
incongruenze, volatilità e imprevedibilità delle vicende regionali
questo è sicuramente quello dei Mujahedin-E-Khalq (MEK -
“Combattenti del Popolo”) in Iran. Dalla sua fondazione nel
settembre del 1965 ad oggi non c'è stata vicenda bellica nella
penisola arabica che non abbia visto un ruolo attivo di questa
formazione paramilitare. Ha iniziato combattendo lo Shah ed
appoggiando Khomeini, poi ha combattuto gli ayatollah affiancando
Saddam Hussein nella guerra contro l'Iran fino alla caduta del
dittatore iracheno. Con l'arrivo degli sciiti al potere a Baghdad
si sono saputi riciclare ottenendo la protezione americana, che ha
imposto il disarmo dei combattenti ma ha anche impedito che la
vendetta dei vincitori li potesse sterminare.
L'ultimo atto è stato la cancellazione, nel settembre del 2012,
dei Mujahedin dalla lista delle organizzazioni terroristiche del
Dipartimento di Stato americano. Iscritti nel 1997, sono stati
rimossi grazie ad un’intensa attività di lobbying al Congresso. I
loro combattenti, confinati e/o rinchiusi nelle prigioni militari
in Iraq, sono stati successivamente evacuati in varie parti del
mondo. Una parte risiede negli USA, dove vive la dirigenza del
gruppo, mentre altri sono stati accolti in altri Paesi,
soprattutto in Francia. Nel marzo 2016, il Segretario di Stato USA
John Kerry, visitando Tirana, ha ringraziato le autorità locali
per aver concesso asilo ed assistenza a oltre mille Mujahedin.
E' questo l'epilogo della storia del MEK? Probabilmente no, perché
potrebbero ancora servire. Molto dipenderà dai rapporti futuri tra
gli Stati Uniti e l'Iran. Anche se adesso militarmente
disattivata, la formazione iraniana è forse la più efficiente in
circolazione e, all’occorrenza, potrebbe riprendere le armi contro
Teheran. Tornare, in sostanza, a svolgere il lavoro sporco come
già faceva in passato. Non è quindi casuale che dietro alla
riabilitazione politica dei Mujahedin vi siano la mano della CIA e
del Mossad. Perché la rete di contatti del MEK sul territorio
iraniano è, oggi come ieri, molto utile. Alcuni scienziati
iraniani implicati nel programma nucleare sarebbero stati
eliminati da cellule del MEK con il sostegno e l'addestramento
israeliano.
Una riabilitazione di comodo
Sarebbe altrimenti difficile capire come mai il MEK, che nei suoi
oltre 40 anni di lotta armata ha ammazzato anche cittadini
americani – circostanza sempre negata, soprattutto per quanto
concerne gli omicidi dei primi anni ‘70, accusando una fazione
estremista interna al movimento denominata Peykar – colpito le sue
società (Pan Am, Pepsi, General Motors) quando combatteva lo Shah,
abbia adesso l'appoggio di Washington. Anche perché il MEK, almeno
nella sua configurazione iniziale, era un movimento marxista, uno
dei tanti che infestavano il Medio Oriente con attentati. E per
lungo tempo si è dedicato alla propaganda contro Israele, incitava
la distruzione della "entità sionista" ed ha parteggiato per
l'Iran quando fu occupata l'ambasciata americana a Teheran
lanciando slogan contro il cosiddetto "imperialismo" yankee.
Tuttavia, oggi il MEK è l'unica opposizione armata alla teocrazia
iraniana e questo ha fatto dimenticare i tanti crimini di cui si è
macchiata l'organizzazione. Nel mondo dello spionaggio prevalgono
sempre gli interessi e c'è quindi poco spazio per etica,
sentimentalismo o rancore. Il merito del MEK è stato sempre quello
di mettersi dalla parte di coloro che avevano bisogno dei suoi
servigi, trasformando l'ostilità del mondo occidentale verso
l'attuale dirigenza iraniana in un vantaggio.
Adesso è molto probabile che con l'arrivo di Donald Trump alla
presidenza americana, e vista la sua avversità al recente accordo
sottoscritto sul programma nucleare di Teheran, si creino nuove
opportunità per quel lavoro sporco che il MEK ha saputo sinora
fare: atti di terrorismo o attentati sul territorio iraniano. Del
resto il MEK aveva messo in piedi una potente lobby per cercare di
bloccare la sottoscrizione dell’accordo ed in negoziati in
Svizzera.
Una storia terroristica
Dopo l'iniziale appoggio alla rivoluzione khomeinista, dal 1981 in
poi il MEK ha lasciato una scia di morti ammazzati arrivando a
colpire personaggi di alto livello della a teocrazia iraniana.
Secondo alcune stime avrebbero causato oltre 15.000 morti sul
territorio iraniano, fra cui alcuni personaggi eccellenti come il
presidente Mohamed Ali Rajaei, il primo Ministro Jawad Bahonar e
27 membri del Parlamento.
Ai tempi di Saddam Hussein il braccio armato del MEK, il
cosiddetto "Esercito di Liberazione Nazionale", era uno strumento
militare particolarmente potente. Il dittatore forniva ai
dissidenti iraniani armi pesanti, soldi, guarnigioni e caserme
dove vivevano e si addestravano. Un piccolo esercito in piena
regola. Una forza paramilitare che non solo combatteva contro
l'esercito iraniano e si dedicava ad attentati contro la
leadership iraniana, ma all'occorrenza combatteva, come nel 1991,
contro i curdi iracheni o contro la ribellione sciita e a sostegno
del regime di Baghdad. Nel 2003 l'esercito del MEK aveva a sua
disposizione oltre duemila armamenti pesanti tra mezzi corazzati
carri armati e artiglieria varia. Sembra che il dittatore
iracheno, benché notoriamente diffidente per natura, si fidasse
più del MEK che del proprio esercito.
Caduto Saddam e confinati nel campo di Ashraf al confine con
l'Iran ed in altri tre campi sul territorio iracheno, gli uomini
del MEK sono riusciti a far dimenticare il lato oscuro dei loro
trascorsi facendo risaltare invece il lato positivo del loro ruolo
di opposizione armata al regime di Teheran. Questo ha permesso la
loro sopravvivenza, non solo politica, ma anche fisica, apparendo
agli americani non più come terroristi prezzolati al servizio di
un dittatore sanguinario, ma come combattenti per la libertà. Un
tardivo ritorno romantico alle origini del movimento quando i
Mujahedin si facevano chiamare “Santi combattenti del popolo
dell'Iran”.
Massoud e Maryam Rajavi
Una leadership familiare
L'artefice di questa metamorfosi è stato il leader del movimento:
Massoud Rajavi e, forse più di lui, la moglie Maryam con la quale
è sposato dal 1985 e con la quale guida in modo paritario il
movimento dal 1993. I Rajavi gestiscono il MEK come fosse una
azienda personale. La loro capacità manageriale si è tramutata nel
tempo in culto della personalità. Basti pensare che Massoud Rajavi
è ufficialmente disperso dal 2003 e la moglie ha mantenuto
inalterato il timore dell’organizzazione nonostante, almeno
apparentemente, esista all'interno del MEK esiste una specie di
parlamento in esilio, il "Consiglio nazionale della resistenza
iraniana". Maryam Rajavi adesso vive negli USA i due figli.
Quando combatteva gli ayatollah Masoud Rajavi si era rifugiato nel
1981 in Francia sperando di poter godere della stessa ospitalità
che a suo tempo era stata fornita a Khomeini. Cacciato via perché
considerato un terrorista – in quel momento Parigi era interessata
a coltivare i rapporti con la teocrazia iraniana giocando
ovviamente sulle benemerenze acquisite per aver ospitato
l'opposizione allo Shah e, nel contempo, dopo aver ricevuto
l'aiuto iraniano nel liberare degli ostaggi francesi in Libano –
aveva subito trovato sponda in Saddam Hussein, allora sostenuto
dagli Stati Uniti in chiave anti-ayatollah.
I Rajavi hanno imparato a circondarsi di un’efficace macchina
propagandistica in grado di diffondere un’immagine positiva del
MEK. A questa hanno affiancato anche una puntuale attività
lobbistica aprendo uffici del MEK in diverse capitali: Londra,
Ottawa, Canberra, Parlamento Europeo e persino in Medio Oriente.
Il MEK, una volta abbandonata l'iniziale ideologia marxista, ha
infatti oggi come unico obiettivo politico-militare il
rovesciamento del regime iraniano. E per enfatizzare questo
obiettivo propagandistico si avvale di varie
strutture/associazioni/comitati in giro per il mondo che possano
dare l'impressione che questa finalità sia condivisa non solo dal
MEK, ma anche da tanti altri.
Chi sostiene il MEK?
Il MEK è riuscito a convincere il Congresso americano a cancellare
il movimento dalla Black List del Dipartimento di Stato e, quando
è stato necessario evacuare i propri combattenti disarmati
dall'Iraq, è riuscito a far prevalere la ragione umanitaria. Nel
2003, il MEK ha sottoscritto con l’esercito americano un
cessate-il-fuoco che gli ha consentito di ritirarsi nel Campo di
Ashraf senza consegnare le armi o arrendersi pur essendo all’epoca
ancora formalmente un’organizzazione terroristica. Gli Stati Uniti
non solo gli hanno riconosciuto lo status di “persone protette”,
ma hanno finanziato le agenzie dell’ONU con 20 milioni di dollari
per le operazioni di rimpatrio o ricollocazione. L’Unione europea
ha invece cancellato il MEK dalla lista delle organizzazioni
terroristiche si dal 2009.
Più di recente il MEK ha cercato di convincere il Congresso
americano – per quanto fosse una tesi alquanto ardita – che per
debellare l'ISIS bisognava prima rovesciare la teocrazia iraniana
lasciando prefigurare una presumibile connivenza tra Abu Bakr al
Baghdadi e Teheran. Affermazioni, per quanto spericolate, che
hanno trovato udienza tra i deputati e senatori americani. In
Europa invece il MEK sottolinea argomenti più appetibili per
l’opinione pubblica: non rispetto dei diritti umani, il ricorso
sistematico alle torture e alla pena di morte, la discriminazione
ed emarginazione delle donne, la libertà religiosa, la non
violenza del movimento dal 2003 in poi.
A parte la capacità di Rajavi e del MEK di essere sempre dalla
parte giusta della storia, di far dimenticare le efferatezza del
passato magnificando la sua utilità nel futuro, è da sottolineare
come tutta questa attività internazionale del movimento abbia un
costo finanziario che, almeno ufficialmente, non potrebbe essere
sostenuto senza il sostegno esterno di poteri più o meno occulti,
ma anche facilmente immaginabili. A poco servono le donazioni di
facoltosi iraniani in esilio o i fondi scongelati dalla banche
americane dopo la cancellazione dalla black list. Una campagna di
informazione e lobbying di questo tipo costa svariati milioni di
dollari, tanto più che l’obiettivo da raggiungere – il
rovesciamento del regime degli ayatollah – è ancora molto lontano.
Sappiamo che dei circa 10.000 combattenti che prima stazionavano
in Iraq non rimane più nulla. La struttura militare del MEK si è
dissolta con lo smantellamento dei campi iracheni ed il successivo
esodo dei combattenti. Esiste però una rete informativa e delle
cellule operative all'interno del territorio iraniano. Questa è,
in estrema sintesi, la forza di convincimento del MEK presso le
nazioni occidentali.
A conferma di questo c'è il fatto che le prime informazioni sulla
fatto che alla centrale nucleare di Natanz gli iraniani stessero
arricchendo uranio per un ordigno militare è stata fornita alla
CIA, e probabilmente anche al Mossad, da informatori del MEK già
nel 2002. Ed in quel momento i Mujahedin erano ancora sotto la
protezione di Saddam Hussein. In altre parole, il MEK lavorava nel
contempo con il dittatore iracheno, con gli imperialisti USA e con
la tanto vituperata "entità sionista". Un doppio/triplo gioco a
dimostrazione che la citata sagacia di Massoud Rajavi anticipava
gli eventi e già si preparava ad un subitaneo cambio di casacca.
Vista la guerra strisciante che incombe in Medio Oriente tra
sciiti e sunniti è probabile che il MEK possa in futuro allargare
la lista dei suoi clienti. In prima fila l'Arabia Saudita e gli
altri paesi del Gulf Cooperation Council che vedono con crescente
preoccupazione l'espansione dell'influenza iraniana nella regione.
Negli ultimi anni il supporto finanziario fornito dai sauditi al
MEK sarebbe addirittura decuplicato. Il possibile impiego del MEK
nel prossimo futuro nella disputa fra Arabia Saudita ed Iran è
confermata dalla presenza, nel luglio 2016, dell’ex capo
dell’intelligence saudita, Turki al Faisal, ad un convegno del MEK
a Parigi che, si vocifera, sia stato finanziato da Riad. In
quell’occasione, Faisal si è fatto sfuggire per due volte che
Massoud Rajavi era morto, con il disappunto della moglie-leader
del movimento e di quanti vogliono ancora coprire un segreto di
Pulcinella.