MEDIO ORIENTE: NEMICI - AMICI

In
quell'intreccio di eventi politici e militari in Medio Oriente
oggi è veramente difficile capire da che parte stanno amici e
nemici. Questo succede perché, a fronte di una situazione in
continua evoluzione, gli interessi in gioco sono tanti, alcuni in
contrasto tra loro. E anche perché, di volta in volta, cambiano le
priorità, in un gioco delle parti nella tragedia che vede nel
ruolo delle vittime una popolazione civile inerme che talvolta
muore o soffre senza sapere per mano di chi. Non esiste più una
politica legata ad alleanze cosiddette tradizionali. Tutto si
regola sulla base di situazioni sempre più volatili e in base ai
correlati interessi contingenti. Non esiste più un Medio Oriente a
parti contrapposte. Nemici ed amici sono intercambiabili.
Russia
La Russia è intervenuta direttamente e con le proprie truppe a
sostegno del regime di Damasco dal settembre 2015. Mosca colpisce,
soprattutto con raid aerei, le forze ribelli che combattono Bashar
al Assad. Saltuariamente fa altrettanto contro l'ISIS. Con
l'intervento militare diretto in Siria la Russia cautela i propri
interessi geo-strategici, rappresentati dalla base navale a
Tartous, ma si pone anche come broker principale dei futuri
assetti in Medio Oriente. Il problema se Assad possa o meno
rimanere al potere in Siria è un aspetto secondario ed è
sicuramente una questione che si porrà alla fine della guerra
civile. Chi gestirà in futuro il potere a Damasco sarà comunque un
regime vicino agli interessi russi.
La Russia sta inoltre mandando un messaggio agli altri Paesi
mediorientali: “Siamo una nazione affidabile che non si tira
indietro a difesa dei propri amici. A differenza degli Stati Uniti
che, con la loro riluttanza ad infilarsi in altre avventure
militari, hanno determinato un senso di insicurezza nei Paesi
arabi tradizionalmente alleati”.
L’unica nota dolente riguarda l’irrigidimento dei rapporti
bilaterali fra Mosca e Ankara dopo l'abbattimento di un aereo
militare russo da parte dell'aviazione turca il 24 novembre 2015.
Ultimamente i rapporti sono migliorati, sia per le scuse fornite
da Erdogan a Putin, sia perché comunque, nel gioco degli equilibri
mediorientali, il rapporto più vicino a Mosca compensa le
difficoltà relazioni tra Ankara e Washington.
Detto questo, quando la Russia combatte l'ISIS si trova alleata
dei Paesi che combattono anche Assad.
Stati Uniti
Gli Stati Uniti appoggiano le cosiddette Syrian Democratic Forces
(SDF), una coalizione araba a trazione curdo-siriana che combatte
l'ISIS. Lo fa sul territorio siriano dando sostegno con i propri
aerei. Gli americani evitano di colpire obiettivi in mano
all'esercito di Assad pur prendendo di mira le postazioni
dell'ISIS in Siria. Per evitare che incorrano errori o scontri, è
stata istituito un centro di coordinamento russo-americano ad
Amman.
Ultimamente i curdi dello YPG, quelli che guidano SDF, si sono
scontrati con le truppe di Assad ad Hasaka creando una situazione
per cui, a causa degli interessi divergenti di USA e Russia, Mosca
e Washington avrebbero potuto venire a contatto diretto.
Ulteriore ultima evoluzione è stato l'intervento diretto di aerei
e forze speciali turche al fianco del cosiddetto Syrian Free Army
(SFA) -un mix di milizie laiche e islamiche (Ahrar al Sham) - per
combattere l'ISIS in un’area confinaria siro-turca (Jarabulous)
dove è forte la presenza curda. Questa volta c'è stato l'appoggio
aereo americano a fianco di queste milizie con il rischio di uno
scontro con le SDF che, come detto, operano anch’esse con
l'appoggio aereo americano. Le truppe di élite americane che
inizialmente affiancavano le SFA sul terreno sono state
allontanate dagli stessi ribelli.
Questa iniziativa USA a fianco dei turchi è da attribuire ad un
gesto di riconciliazione/distensione da parte di Washington verso
Ankara dopo le varie incomprensioni emerse nei rapporti bilaterali
negli ultimi tempi. Il tutto sancito da una visita del vice
presidente Joe Biden ad Ankara il 24 agosto. Scontri tra YPG e
turchi hanno comunque avuto luogo, seppur in misura limitata.
Su teatro iracheno, gli Stati Uniti sostengono il governo di
Baghdad e i peshmerga curdi nella lotta contro l'ISIS. Lo fanno
con addestramenti, forniture di armi e bombardamenti aerei. Una
convergenza di interessi nella lotta contro il terrorismo islamico
pone gli americani nella scomoda posizione di trovarsi sul campo
di battaglia dalla stessa parte dell'Iran ed, ovviamente, anche
della Russia.
Israele
Anche Israele interviene saltuariamente con attacchi aerei in
Siria, ma lo fa per colpire le milizie Hezbollah che combattono a
fianco dell'esercito di Assad. Anche tra Israele e Russia esiste
un accordo con relativo coordinamento per evitare di incorrere in
scontri diretti. Israele non è direttamente interessato, se non
marginalmente, nelle vicende belliche mediorientali, ma sfrutta i
vantaggi che derivano da questa situazione di instabilità. Il
primo vantaggio deriva dalla disattenzione internazionale sul
problema palestinese. Questo da spazio alla crescita degli
insediamenti nei Territori Occupati senza il progredire di
qualsivoglia negoziato sull'autodeterminazione del popolo
palestinese.
Poi ci sono i vantaggi indiretti: l'arrivo delle truppe russe in
Siria ha prodotto la necessità di un riavvicinamento tra Tel Aviv
e Mosca. Altrettanto sta avvenendo tra israeliani e sauditi,
accomunati dal comune pericolo rappresentato dall'Iran,
soprattutto dopo l'accordo internazionale sul nucleare.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan
Turchia
Con i suoi aerei la Turchia colpisce sia l'ISIS che obiettivi nel
territorio siriano sotto il controllo delle milizie curdo-siriane
dello YPG (inglobate o meno nelle SDF) nell'aera di Jarabulous. Le
sue truppe sono entrate in Siria e sono presenti anche in Iraq. In
quest'ultimo Paese vi stazionano nonostante il parere contrario
del governo di Baghdad.
La Turchia vede nell'evoluzione delle crisi in Siria ed Iraq due
pericoli principali: uno legato alla diffusione, con il sostegno
iraniano, dello sciismo intorno al suo Paese. Tuttavia, Ankara ha
soprattutto paura che se un domani si concretizzasse in Siria
un'area autonoma curda lungo i propri confini, la circostanza
potrebbe alimentare analoghe aspirazioni dei curdi turchi. In
questa operazione militare, denominata "Eufrate" (ed è la prima
volta che aerei militari turchi sono entrati nello spazio aereo
siriano dopo la crisi con Mosca), si è teso a limitare, con il
consenso americano, la presenza curda al di là di questo fiume. Lo
YPG, braccio armato del PYD, è considerato dai turchi affiliato al
PKK, una formazione curda armata inserita nella lista delle
organizzazioni terroristiche e che dalle sue basi nel nord
dell'Iraq sviluppa azioni armate sul territorio turco. Ovviamente
gli aerei turchi bombardano saltuariamente queste basi a Kandil.
Seppur in buoni rapporti con i curdi iracheni, la già ampia
autonomia da Baghdad costituisce un pur sempre un esempio negativo
per la diaspora curda.
Complessivamente, la politica turca in Medio Oriente è oggi
alquanto contraddittoria. E' entrata in collisione diretta con
l'Egitto dopo l'estromissione del Presidente Mohamed Morsi,
espressione dei Fratelli Musulmani, e la restaurazione di un
regime militare. Ha avuto forti contrasti con la Russia, dopo
l'abbattimento di un aereo militare russo che aveva marginalmente
violato lo spazio aereo turco salvo poi riavvicinarsi, dopo il
tentato colpo di Stato a luglio, facendo ammenda dell'errore e a
seguito dell’incontro tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan a
Mosca. Così facendo la Turchia è passata da una ostilità manifesta
contro il regime di Assad ad una posizione più possibilista. Anche
perché è un fatto incontrovertibile che la soluzione della guerra
civile siriana sia nelle mani della Russia. Ed in questo contesto
deve essere inserita la recente visita del direttore dei Servizi
Segreti turchi (MIT), Hakan Fidan, a Damasco.
Con gli Stati Uniti, dopo un iniziale diniego all’utilizzo della
base di Incirlik per i bombardamenti contro l'ISIS, oggi ne è
stato autorizzato per i bombardamenti sul suolo siriano. Le
frizioni con Washington sono proseguite a cavallo del tentato
colpo di Stato del 15 luglio, soprattutto perché il presunto
mandante del golpe, Fethullah Gulen, vive negli Stati Uniti e ad
oggi le autorità americane aspettano delle prove tangibili dai
turchi per valutarne l’estradizione.
Per la Turchia, un indebolimento del regime siriano passava
necessariamente da un sostegno all'ISIS che ha potuto così
beneficiare, e a lungo, del retroterra turco per la propria
sopravvivenza logistica e militare. Quando poi questa "collusione"
ha avuto termine, sia per le pressioni americane che per il
riavvicinamento con Mosca, la Turchia è diventata vittima di
attentati da parte dei miliziani di Abu Bakr al Baghdadi.
Nello scontro fra sciiti e sunniti, la Turchia ha aperto ad una
relazione privilegiata con l’Arabia Saudita anche nell'ottica di
un perseguito ruolo centrale turco nella vicende mediorientali. Al
contempo, i rapporti tra Ankara e Teheran sono contraddistinti da
una convivenza vicendevolmente vigilata anche se recenti segnali
di una possibile visita di Erdogan in Iran potrebbero portare ad
un miglioramento dei rapporti bilaterali.
Meno positivi i rapporti della Turchia con l'Europa, sia per la
latente ostilità che ne ha impedito sinora l'ingresso nell'Unione,
sia per le critiche piovute a seguito del fallito colpo di Stato
per la supposta involuzione del sistema democratico.
Arabia Saudita
I sauditi effettuano raid aerei contro l'ISIS e sostengono le
forze ribelli a forte trazione islamica radicale che combattono
contro Assad. Il grosso problema dei sauditi non è rappresentato
tanto dall'ISIS, ma dall'Iran. E' un confronto che acquista
connotazioni religiose in quanto l'Iran è sciita e l'Arabia
Saudita sunnita. L'appoggio iraniano al regime alawita siriano
determina l'interesse saudita ad appoggiare i ribelli che lo
combattono.
Nel teatro iracheno, il dilemma saudita è più complesso perché il
governo di Baghdad è sciita, è appoggiato dagli iraniani e dagli
americani nella lotta contro l'ISIS. E' una circostanza che
"obbliga" i sauditi a stare dalla stessa parte degli iraniani
nella lotta contro il terrorismo islamico. Ma, ovviamente, questa
forma di contrasto non rappresenta per Riyadh una priorità
militare. Anzi, le accuse ricorrenti che i sauditi abbiano in
passato sostenuto le milizie di al Baghdadi nascono da questo
contesto ed hanno prodotto la guerra in Yemen.
Qui i ribelli zaidi (sciiti) combattono contro il regime
appoggiato militarmente dai sauditi, riproponendo così la guerra
di prossimità con l'Iran.
Curdi siriani
I curdi siriani, le milizie dello YPG (Unità di Protezione
Popolare) collegate al partito PYD (Partito dell'Unione
Democratica), combattono contro l'ISIS ed hanno sinora evitato di
scontrarsi con le truppe di Bashar al Assad. Solo ultimamente sono
incorsi degli incidenti ad Hasaka dove, per la prima volta, le
truppe di Assad hanno bombardato le milizie curde. Non è ancora
chiaro se, in prospettiva, questo potrà aprire un nuovo fronte di
scontro diretto.
I curdi siriani aspirano ad una propria autonomia nei futuri
assetti della Siria, con o senza Assad. I rapporti tra curdi
siriani ed iracheni non sono buoni e questo pregiudica una
sinergia fra le aspirazioni indipendentistiche o autonomistiche
della comunità curda nella regione. I curdi siriani hanno sinora
goduto del sostegno e dell'assistenza militare americana e sperano
che le benemerenze acquisite nella lotta contro l'ISIS possano
favorire una qualsivoglia forma di autodeterminazione nei futuri
assetti della regione in quell'area da loro occupata e liberata
dall'ISIS e che loro chiamano "Rojava". La presa di posizione
americana che ha agevolato l'operazione turca "Eufrate" tende a
ridimensionare queste aspirazioni. E bisogna anche tener conto che
gli USA non vedono di buon occhio uno smembramento della Siria.
Curdi iracheni
I curdi iracheni combattono con truppe terrestri le milizie
dell'ISIS, ma lo fanno in modo autonomo dall'esercito iracheno. E'
interesse dei curdi iracheni mantenere una propria autonomia
regionale rispetto al potere centrale di Baghdad. E' una
circostanza che perdura dalla caduta di Saddam Hussein. Sono
armati ed addestrati dagli americani, italiani e da altre forze
occidentali. Dopo che l'ISIS sarà definitivamente sconfitto
militarmente, si presenterà il problema del controllo di alcune
aree che erano state arabizzate (con trasferimento di popolazioni)
da Saddam Hussein proprio per colpire le velleità autonomistiche
dei curdi. E' altrettanto nell’interesse dei curdi iracheni
accedere al controllo e ai relativi benefici finanziari dei pozzi
petroliferi nell'area contestata di Kirkuk.
I rapporti tra il Kurdish Regional Governement ed Ankara sono
ottimi, mentre altrettanto non si può dire con lo YPG siriano.

Il presidente dell'Iran Hassan Rouhani
Iran
L'Iran, dopo la sua riabilitazione internazionale a seguito
dell'accordo sul nucleare, è oggi, accanto alla Russia, uno dei
principali protagonisti degli eventi politici e militari in Medio
Oriente. E' presente sui teatri siriani e iracheni con proprie
truppe e attraverso l'utilizzo di volontari o milizie paramilitari
sciite. Utilizza questo suo duplice impegno (sostegno al regime di
Assad e lotta contro il terrorismo islamico dell'ISIS appoggiando
il governo di Baghdad) per affermare il suo ruolo egemonico nella
regione in contrasto con le analoghe aspirazioni saudite. La
chiave di lettura corre anche sul filo del confronto tra sunniti e
sciiti.
Iran e Russia sono nei fatti alleati, ma tra i due paesi rimangono
comunque alcuni contrasti, come dimostrato dal fatto che era stato
concesso e poi subito ritirato il permesso ai caccia russi di
utilizzare basi aeree iraniane.
Egitto
La restaurazione di un regime militare a seguito
dell'estromissione di un presidente islamico ha inizialmente
creato alcune difficoltà all'avvento al potere del generale Abdel
Fattah al Sisi. Tuttavia, il crescente pericolo rappresentato dal
terrorismo islamico hanno favorito la riabilitazione
internazionale del generale. L'Egitto ha una presenza terroristica
sul proprio territorio nella penisola del Sinai ed ha un un
pericolo latente sul fronte occidentale al confine con la Libia.
Nel Sinai conduce la sua lotta anche con il sostegno di Israele e
questa sinergia di interessi ha fatto sì che la Striscia di Gaza
sia oggi isolata, con i palestinesi che non possono più usufruire
di un retroterra logistico. Hamas è stata accusata di collusione
con i terroristi del Sinai.Sul fronte libico, la sicurezza viene
assicurata dal sostegno diretto al Generale libico Khalifa Haftar.
Nella regione mediorientale, l’Egitto fa asse politico-militare
con l'Arabia Saudita. Fornisce truppe anche in Yemen e ne riceve
in contropartita sostegno finanziario.
Anche se le vicissitudini interne penalizzano un maggior
coinvolgimento egiziano nelle vicende mediorientali, l'Egitto, per
il suo peso demografico e per il retaggio culturale nel mondo
arabo, sarà comunque parte di una definizione delle crisi della
regione.