MUSA KUSA ED IL PREZZO DEL TRADIMENTO

Musa Kusa
Ai tempi d’oro del suo lungo regno a capo dell’External Security Service libico (Jihaz al Aman al Kharigi) durante i suoi incontri con i colleghi stranieri, Musa Kusa si mostrava arrogante e saccente. Gli piaceva fare il cattedratico e amava farsi indicare con il titolo di “professore”. Quando parlava, lo faceva solo in arabo benché conoscesse bene l’italiano e l’inglese. Era l’alterigia del potente che si riteneva intoccabile. Diventava rancoroso soprattutto quando si parlava di Israele e degli oppositori di Muammar Gheddafi. Musa Kusa era un uomo che sapeva, un detentore di tanti segreti che si era guadagnato la considerazione del suo capo sul campo, sporcandosi le mani di sangue.
La caduta
Negli ultimi tempi anni del regime qualcosa era però cambiato. Il rais sembrava non stimarlo più di tanto e talvolta mostrava insofferenza nei suoi riguardi. Alcuni sostenevano che erano insorti dei contrasti con alcuni dei figli. Musa Kusa aveva una pseudo funzione di “tutore” di due figli di Gheddafi, Seif al Islam (in competizione con il fratello Mutassim nella lotta alla successione del padre) e Khamis, e forse per questo si era trovato, suo malgrado, implicato in una faida familiare. Mutassim infatti, nel 2006, era stato nominato a capo del neo costituito organismo di coordinamento dell'intelligence, il Comitato per la Sicurezza Nazionale. Uno schiaffo non soltanto morale al vecchio amico del padre da parte di Mutassim se erano vere le voci a Tripoli di un diverbio sfociato in aggressione. Un affronto per un personaggio come Kusa che aveva accettato con l’umiltà e il servilismo che si devono ad un potente. Questo era uno spaccato della sua personalità: forte con i deboli, debole con i forti.
A scalfire la posizione di Musa Kusa avevano inciso anche altre circostanze: Gheddafi doveva riabilitare l’immagine del proprio Paese verso il mondo occidentale. Un personaggio come Kusa, legato all’eliminazione dei dissidenti all’estero e alle torture e persecuzioni degli oppositori del regime, non serviva più al dittatore libico, anzi costituiva un intralcio. E' per questo motivo che il 5 marzo 2009 Musa Kusa veniva nominato Ministro degli Esteri ed estromesso dalla guida dell’External Security Service. Nonostante il tentativo disperato di Kusa di accreditarsi come capo dell'ESS – almeno ufficialmente l'organismo era inglobato in quello che allora si chiamava il Comitato Popolare Generale per le relazioni esterne – la nomina di Abu Zied Durda ai servizi esterni sgombrava il campo da qualsiasi dubbio.
Durda era un personaggio di assoluto prestigio all’interno della gerarchia gheddafiana, sodale del dittatore fin dal colpo di Stato del 1969 e con una lunghissima esperienza in incarichi politici a livello centrale o periferico (Governatore di Misurata, sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri, Ministro delle Municipalità, Ministro dell’Economia, Ministro dell’Agricoltura, sindaco di Jabal al Gharbi, Primo Ministro, Vice Presidente del Parlamento, ambasciatore all’ONU e in Canada, Segretario per le ferrovie e successivamente per le Infrastrutture). Durante il periodo dell’embargo americano sulla Libia e fino al 2003 (quando i rapporti bilaterali con Washington vennero normalizzati) Durda, benché ambasciatore all’Onu, era inserito nella black list del Dipartimento del Tesoro Usa.
Anche se il suo successore non aveva esperienza specifica nel campo intelligence, Musa Kusa non poteva certo competere con lui al cospetto di Gheddafi. Peraltro, la scelta di Durda era mirata proprio a mettere a capo di quella struttura un uomo mai implicato nei lavori sporchi del regime. Anche se Musa Kusa aveva un fratello, Issa, che lavorava nella segreteria del raìs, sapeva che il suo regno era al tramonto. Un'ulteriore conferma arriva quando accompagna Muammar Gheddafi nella sua prima visita ufficiale in Italia nell’estate del 2009. Gli viene riservato un ruolo di secondo piano nella delegazione. Musa Kusa sa che la sua kabila di appartenenza, la Ghemanda, è piccola e non gli garantisce il necessario supporto tribale in caso di disgrazia politica.

La fuga
Il declino del suo potere e constatata la bassa considerazione del dittatore, per Kusa il passo verso la fuga ed il tradimento è pressoché inevitabile. Sa che la sua nomina al dicastero degli Esteri è probabilmente una fase intermedia prima della sua definitiva defenestrazione. E’ l’unico riguardo che gli riserva il dittatore. Questa volta percepisce che non può contare sulla sua buona stella come quando era stato condannato, nel novembre 1998, a 7 anni di carcere per non meglio definite “inadempienze” (forse amministrative, leggi appropriazione di soldi) per poi essere graziato e riabilitato dal dittatore che forse a quel tempo aveva ancora bisogno di un fedele, benché disonesto, esecutore di epurazioni.
Quando scoppia la rivolta armata contro il regime il 15 febbraio 2011, Musa Kusa capisce subito che è meglio abbandonare la barca del regime. Lo fa prima di tanti altri. Per lui tradire non è mai stato un problema etico. Né lo è giocare su più tavoli il proprio destino. Con cura cerca la soluzione ai suoi problemi.
Degli italiani non si fida. L’amicizia tra Muammar Gheddafi e Silvio Berlusconi rende l’ipotesi di asilo in Italia impraticabile. Non è chiaro se abbia provato anche con francesi, ma pare abbia ricevuto un rifiuto. I francesi hanno ancora un conto in sospeso con Abdallah Senussi, sodale di Musa Kusa, per l’attentato contro un aereo dell’UTA, saltato in aria in Niger durante un volo da Brazzaville a Parigi il 19 settembre 1989 (morti 156 passeggeri e 14 membri dell’equipaggio). Per Senussi era stato emesso a suo tempo un mandato di cattura internazionale.
Musa Kusa sa invece che con gli americani e gli inglesi ha una linea di credito aperta. Ha negoziato il risarcimento per le vittime dell’attentato al volo PAN AM 103, scoppiato in volo per una bomba il 21 dicembre 1988 (morti 243 passeggeri e 16 membri dell’equipaggio), l’abbandono da parte libica del programma per le armi di distruzione di massa nel 2003, ha collaborato nella liberazione di due ostaggi austriaci in Mali nel 2008 e ha giocato un ruolo nel rilascio delle infermiere bulgare a Benghazi. Inoltre, a seguito della svolta “filo-occidentale” del dittatore, aveva cooperato con molti Servizi stranieri nella lotta al terrorismo islamico. La normalizzazione dei rapporti libici con gli Stati Uniti ed il Regno Unito avevano portato rappresentanti della CIA e del MI6 a Tripoli fin dal 2004. La Libia di Gheddafi era del resto fortemente presente nell’assistenza di intelligence ai Servizi dei Paesi della fascia sub-sahariana. E il Direttore dell’ESS conosceva tutto di quella parte di mondo essendo stato implicato in tutti i negoziati sviluppatisi negli ultimi 20 anni. Non è un caso che Musa Kusa, negli anni precedenti la rivolta, fosse spesso invitato a Langley, in Virginia, quartier generale della CIA.

Catherine Ashton
L'oblio
Al momento dello scoppio della guerra civile in Libia Musa Kusa sa che il suo bagaglio di conoscenze potrebbe essergli estremamente utile. Conosce il dispositivo militare, i rifugi del dittatore e le sue idiosincrasie, le strutture di sicurezza. E' in definitiva portatore di una dote che può essere mercanteggiata in cambio di un lasciapassare per la sua vita futura. E come spesso accade, in questo mercimonio il suo passato fatto di morti ammazzati, torture e persecuzioni viene dimenticato. Cade nell'oblio il fervente membro dei Comitati Rivoluzionari che grazie alle sue idee estreme era riuscito ad entrare nelle simpatie di Gheddafi. Uno dei fondatori, nel 1985, della Mathaba ( noto anche come “Centro” per la lotta all’imperialismo, al sionismo, al razzismo ed al fascismo”) attraverso la quale la Libia finanziava il terrorismo internazionale e che è stato guidato da Musa Kusa fino al 1994, quando era stato nominato a Direttore dell’ESS. Il direttore della Mathaba Kusa era responsabile anche delle attività estere e cioè del sostegno al terrorismo e dell'eliminazione degli oppositori. Il compito di Musa Kusa era quello di sguinzagliare i propri sicari in giro per il mondo per fare fuori chi si opponeva al raìs. Lui stesso era rimasto implicato in un attentato in Gran Bretagna nel 1985. E chi meglio di lui poteva prendere il posto del Capo dei Servizi per continuare lungo questo excursus ad honorem?
Gli inglesi tutto questo lo dimenticano. Non rammentano di averlo espulso dal proprio Paese nel giugno del 1980 perché dall'interno della sede diplomatica libica aveva complottato per eliminare due esuli libici e intrapreso contatti con l'IRA in Irlanda del Nord. In quella circostanza Musa Kusa aveva rivendicato al Times il diritto all'uso della violenza contro gli oppositori. Cancellato anche il ricordo di Yvonne Fletcher, una poliziotta inglese uccisa da un colpo di fuoco sparato dall'ambasciata libica a Londra contro una folla di manifestanti anti-Gheddafi. E in qualità di responsabile estero della Mathaba, Kusa aveva titolo in questi tipo di reazioni.
Del resto Londra non si era posta il problema di negoziare con Musa Kusa la liberazione per motivi umanitari di Ali Mohamed Megrahi, l'uomo dei Servizi libici condannato per l'attentato di Lockerbie. Malato di cancro e dato prossimo alla morte, Megrahi è rientrato a Tripoli il 20 agosto del 2009 ed è stato accolto da eroe. Il suo trapasso “imminente” è arrivato soltanto tre anni più tardi. E sempre per Lockerbie era stato Kusa a trattare con gli americani il risarcimento alle vittime. Gli Stati Uniti non si erano chiesti che ruolo avesse svolto lo stesso Musa Kusa in quell'attentato.
Sta di fatto che il 28 marzo 2011 Kusa fugge, passa il confine con la Tunisia e fa una sosta a Djerba. Il 30 marzo prende un volo per l’Inghilterra dove vivono i suoi nipoti. Il regime cerca inizialmente di mascherare la sua defezione con una missione diplomatica, ma la verità alle fine emerge. Il 5 aprile gli americani decidono di scongelare i suoi conti finanziari e dandogli quindi la possibilità di appropriarsi di tutti i soldi accumulati all’estero (e nessuno si domanda mai come) che gli permettono di vivere agiatamente. Anche l’Unione Europea, nella persona dell’Alto rappresentante per la politica estera, l’inglese Catherine Ashton, dichiara che sul personaggio, in quanto disertore, non verranno applicate alcun tipo di sanzioni. Funzionari del governo inglese affermano che Musa Kusa è libero di andare e venire dall’Inghilterra quando vuole.
Al momento della sua fuga la moglie, Naima Mohammed al Zarroug, viene arrestata in Tripoli. Stessa sorte tocca ai suoi 4 figli (i maschi Sager e Jamal e le femmine Belkis e al Kansa ) dei quali non si hanno notizie. Dopo qualche giorno passato da ospite in qualche casa sicura del MI6 (dove avrà avuto il tempo di vuotare il sacco ), Musa Kusa riparte per Doha, in Qatar, dove risiede tuttora. Prima in un hotel di lusso, adesso sembra in un appartamento. E’ abbastanza giovane (è nato a Tajura nella periferia di Tripoli il 15.12.1947) ed avrà tutto il tempo per godersi la vecchiaia con il prezzo del suo tradimento.
Abdel Salam Mohammed Musa Kusa, mandante o forse anche esecutore di delitti, cacciatore di oppositori all’estero per eliminarli o torturali, finanziatore del terrorismo internazionale in qualunque parte del mondo, personaggio connivente con tutte le efferatezze del regime per oltre 40 anni, non esiste più. Il ricordo rimarrà vivo forse solo nella memoria di quelle famiglie che hanno avuto morti in casa in seguito a dei suoi ordini.
Sul banco degli imputati dove oggi siedono tutti gli attori protagonisti della dittatura di Gheddafi che stanno affrontando un processo che li vedrà condannati, molti anche alla pena capitale, la sedia di Musa Kusa è vuota. E anche la nuova dirigenza emersa dalla guerra civile, per un'inspiegabile dimenticanza (o forse per qualche accordo leonino nel mondo grigio dello spionaggio), si è dimenticata di chiedere l'estrazione di Kusa come fatto per altri alti papaveri del regime. Nessuno a Tripoli ha sollevato il suo caso dinanzi alla Corte Criminale Internazionale. Il silenzio e l’oblio sono il prezzo pagato al tradimento.
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