SOLUZIONE DEL PROBLEMA PALESTINESE : UNA PROSSIMA INTIFADA ?

Per
valutare il problema palestinese, i suoi eventuali sviluppi o
soluzioni basterebbe dare un’occhiata ad alcune rilevazioni
demoscopiche effettuate nei due campi avversi. Subito dopo le
elezioni israeliane del 17 marzo 2015, il Palestinian Center for
Policy and Survey Research ha raccolto le opinioni dei
palestinesi: il 47% ritiene che i rapporti con Israele si
inaspriranno, mentre un 32% non si aspetta variazioni. Un 36% è
contrario ai negoziati ed un 68% è favorevole al lancio di razzi
contro Israele fintanto che non verrà tolto l’assedio alla
Striscia di Gaza.
Un'analoga ricerca è stata condotta da un team americano subito
dopo le elezioni israeliane ed ha raccolto le seguenti opinioni:
gli israeliani sono sostanzialmente contenti dello status quo,
Benjamin Netanyahu è percepito come un leader “forte”, il problema
della sicurezza è stato il principale argomento a guidare la
scelta degli elettori. In altre parole, lo scetticismo palestinese
si scontra con l’intransigenza israeliana.
Se questo è il sentimento prevalente nelle due comunità, sorge
lecito domandarsi quale sbocco futuro potrà avere la questione
palestinese ora che non si intravedono soluzioni negoziate. Una
nuova Intifada? Un nuovo scontro armato coi soliti morti dovuti a
razzi, bombardamenti ed invasioni di Gaza?
Purtroppo, se le situazioni non cambieranno e, da parte
israeliana, continueranno ad espandersi gli insediamenti, se
Netanyahu continuerà a ribadire quello che ha già dichiarato
durante la campagna elettorale, ovvero che mai concederà la
creazione di uno Stato palestinese, se, dal lato opposto, Hamas
continuerà a coltivare opzioni militari, non rimarranno molte
alternative. Nel Medio Oriente odierno ogni pretesto è buono per
dare ulteriore spazio all'instabilità e non mancano i focolai di
tensione. E se si dovesse riaccendere il confronto armato tra
palestinesi e israeliani, tanti altri attori regionali, in modo
più o meno diretto, ne rimarranno coinvolti.
In realtà ci sono già dei segnali inequivocabili di come i
maggiori contendenti di questo insoluto dramma sociale che si
trascina da oltre 50 anni si stiano già preparando alla prossima
guerra. E se in passato lo scontro ha visto solo Hamas ,
affiancata dalla Jihad Islamica Palestinese, combattere contro
Israele, nel prossimo scenario potrebbero trovarsi coinvolti anche
altri settori della diaspora palestinese e l’incendio potrebbe
estendersi anche negli altri territori occupati. Se ciò dovesse
avvenire cadremmo nella ennesima Intifada.

La questione dei rifornimenti
Hamas, la componente palestinese più oltranzista, non ha più, a
differenza del passato, il sostegno o la compiacente connivenza
delle autorità egiziane. La defenestrazione del Presidente Mohamed
Morsi ha interrotto quel legame politico-religioso, ma anche
operativo, che offriva ai palestinesi di Gaza la logistica per
poter alimentare il proprio impegno militare. Il Generale Abdel
Fattah Al Sisi ha arrestato tutti i vertici dei Fratelli Musulmani
con cui Hamas dialogava e dai quali riceveva appoggio, inserendo
nella lista delle organizzazioni terroristiche sia la
confraternita che la stessa Hamas.
Così facendo, il Sinai ha terminato la sua funzione operativa
nella lotta contro Israele. Ma questo è lo stesso Sinai dove però
adesso spadroneggiano le milizie terroristiche di Ansar Beit al
Maqdis, ora affiliata all’ISIS, e questo porta inevitabilmente
Hamas ad avvicinarsi a queste frange radicali perché rappresentano
l’unica opzione rimasta ai palestinesi di Gaza per poter
continuare a ricevere armamenti. Al Sisi ritiene che Hamas appoggi
il Beit al Maqdis, ma il terrorismo nella penisola del Sinai non è
la causa di questo connubio, ma solo l’effetto collaterale.
Ma prima che possa scoppiare una nuova guerra è importante che
arrivino delle armi a Gaza. Ed è su questi approvvigionamenti che
si sta adesso concentrando la sfida fra Hamas da un lato ed Egitto
ed Israele dall’altro. Abdel Fattah Al Sisi ha recentemente
emanato delle nuove norme che aumentano le pene massime detentive
fino a 25 anni, che corrisponde al massimo previsto nel sistema
giudiziario egiziano, per chi costruisce dei tunnel che
dall’esterno entrano nel Paese. Le pene si estendono anche a chi è
a conoscenza di queste costruzioni e non le denuncia. Il generale
egiziano ha anche poi deciso, nell'ottobre 2014, di creare una
zona cuscinetto tra Gaza ed il Sinai. Inizialmente larga 500
metri, è estensibile fino a un chilometro. Tutti i manufatti e le
abitazioni presenti in quest'area sono stati o saranno distrutti.
Altre restrizioni riguardano le società di costruzione che operano
nel Sinai alle quali è stato applicato una specie di embargo sui
materiali edili. L’iniziativa di Al Sisi mira ad eliminare tutti
quei tunnel che servono sia per fare arrivare armi ad Hamas, ma
anche a far scappare eventuali terroristi dal Sinai.
Ultimamente le autorità egiziane hanno scoperto un tunnel lungo
circa 2,8 km, in assoluto il più lungo finora individuato,
costruito non in maniera artigianale, ma con mezzi moderni e con
dispendio di risorse finanziarie. Questa circostanza suona come un
campanello di allarme nella difficile repressione dello specifico
fenomeno, tanto più che il confine tra Striscia e Egitto è lungo
circa 20 km. In deroga agli accordi di Camp David che pongono
limiti alla presenza di militari egiziani nelle aree prossime ai
confini per un’area di circa 20 km, Israele, in modo informale,
acconsente adesso che questa limitazione sia disattesa.
Che dal Sinai arrivino o arrivassero armi a Gaza è dimostrato
indirettamente dal raid israeliano che nel luglio 2014 ha colpito
un deposito di armi vicino a Khartoum. Armamenti di probabile
provenienza iraniana e presumibilmente dedicati alla causa
palestinese. Anche l’intelligence israeliano ha recentemente
diffuso la notizia che Teheran starebbe riarmando in modo
consistente Hezbollah ed Hamas e, per quanto riguarda il gruppo
palestinese, le armi sarebbero convogliate non solo a Gaza, ma
anche in Cisgiordania.
Un altro sistema per fare arrivare a Gaza le armi ed i materiali
per costruire i tunnel è via mare. Anche lì è in atto una guerra
silenziosa che vede Israele, insieme all'Egitto, applicare dei
rigidi controlli sui pescherecci palestinesi che, da dopo gli
scontri del 2014 ed i relativi accordi di tregua, sono autorizzati
ad effettuare la pesca in un’area di 6 miglia dalla costa. Negli
ultimi mesi ci sono stati una trentina di attacchi di motovedette
israeliane contro pescherecci palestinesi con arresti, ferimenti e
confische.
Oltre al rifornimento di armi, sono in atto anche altri
preparativi per un nuovo scontro. Dal lato palestinese sembra sia
stata data priorità all’addestramento di cecchini. Questa è
un’ipotesi che trova riscontro sia nel fatto che molti fucili di
precisione di produzione austriaca venduti all’Iran tra il 2006 e
2009 siano stati rinvenuti nei depositi di Hamas durante l’ultima
invasione che per una serie di incidenti confinari. La Brigata
Ezzedin al Qassam, braccio armato di Hamas, ha creato tutta una
serie di campi di addestramento militare in delle aree prossime al
confine con Israele. Chiaramente, sul fronte opposto, Israele si è
attrezzato con un sistema elettrico-ottico che ha la capacità di
individuare con estrema precisione il tiro di un cecchino che può
essere così eliminato se non si sposta subito dopo il tiro.
C'è poi la questione dei tunnel che, come quelli scoperti durante
l’ultimo conflitto, vengono costruiti da Hamas per entrare in
Israele nell’idea di compiere atti terroristici o di sequestrare
persone. Se da una parte si continua scavare, dall’altra si
cercano soluzioni per scoprire i tunnel e distruggerli. L’esercito
israeliano ha addestrato una squadra speciale che con dei sensori
è in grado di individuare dove sono in atto attività di scavo.

Benjamin Netanyahu
Guerra per mancanza di alternative
Tutte queste predisposizioni per un conflitto futuro che
evidentemente le parti in causa ritengono ancora una volta
ineluttabile, rendono alquanto credibile l’ipotesi di un nuovo
scontro tra Hamas e Israele. L’opzione militare potrebbe avere
meno possibilità di realizzarsi qualora vi fossero le condizioni
per una soluzione diplomatica e negoziata del problema palestinese
che la riconferma di Netanyahu alla guida di Israele sembra, al
contrario, allontanare.
Nel contempo, la tensione tra Hamas e Israele si sta riverberando
nei rapporti tra Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese nei
territori occupati. Ultimamente sono circolate delle voci relative
ad un complotto di Hamas per uccidere Mahmoud Abbas, sono seguiti
tutta una serie di arresti massivi in Cisgiordania di militanti
islamici palestinesi. E’ chiaro che, qualora la linea negoziale
del Presidente palestinese non portasse a risultati apprezzabili,
questo fornirebbe maggiore spazio di crescita alle fazioni
radicali palestinesi. E se Abu Mazen non fosse più in grado di
gestire il risentimento e la frustrazione popolare, allora la
guerra potrebbe non essere più tra Hamas, che rappresenta circa
1,8 milioni di palestinesi residenti nella Striscia, e Israele, ma
tra tutto il popolo palestinese e Tel Aviv. Questo sarebbe un
fatto molto grave che alimenterebbe ulteriori tensioni in Medio
Oriente e che potrebbe portare ad una probabile saldatura tra il
terrorismo palestinese e quello di altre frange radicali che
oramai spadroneggiano nella regione.
Tuttavia, e questa è l’unica notizia in positivo, sembra siano
stati messi in atto dei tentativi per cercare di scongiurare una
nuova Intifada. La Turchia ed il Qatar si sarebbero offerti per
portare avanti un negoziato tra Israele e Hamas al fine di
sottoscrivere un accordo di cessate il fuoco, magari di durata
quinquennale, nel quale sarebbero inclusi aiuti per la costruzione
di un porto a Gaza. Nel frattempo però stanno esponenzialmente
aumentando gli incidenti in Israele e le manifestazioni dei
palestinesi con centinaia di arresti, di cui circa la metà di
ragazzi sotto i 18 anni.
Oltre all’iniziativa turco-qatariota, circolano anche voci che
Hamas, in modo diretto, abbia in corso dei contatti con le
autorità israeliane. L'iniziativa era in atto prima delle elezioni
israeliane, ma con la riconferma di Netanyahu a Primo Ministro
potrebbe non trovare più spazio negoziale. Bisogna poi vedere
quali siano le intenzioni o gli obiettivi che si prefiggono le due
parti: Hamas potrebbe cercare di guadagnare tempo per meglio
prepararsi al conflitto armato. Israele potrebbe essere
interessato ad indebolire ulteriormente la leadership di Abu Mazen
in modo da costringere l’Autorità Nazionale Palestinese, che è poi
l’istituzione palestinese internazionalmente più credibile, a più
miti consigli in un futuro assetto della annosa questione
palestinese.
Comunque, questo è quello che appare, entrambi i contendenti della
guerra del 2014 denominata “Protective Edge” sembrano essersi
dimenticati della sequela di lutti e dolori che ha seminato: 3.360
razzi sparati da Gaza, 4.762 obiettivi bombardati da Israele,
oltre 2.200 palestinesi morti (di cui l’89% civili, tra cui anche
500 minori), 71 morti da parte israeliana, migliaia di feriti,
18.000 case della Striscia danneggiate, oltre 100.000 palestinesi
senza più un'abitazione in vivere. Evidentemente tutto questo non
è stato sufficiente a convincere le parti che una ulteriore guerra
non porterebbe da nessuna parte.