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PERCHE' NESSUNO AIUTA LA PRIMAVERA ARABA IN SIRIA?


La domanda e' lecita soprattutto se si raffronta il recente interventismo militare internazionale contro la Libia di Gheddafi e la riluttanza a fare altrettanto con il regime di Bashar Assad. Dittatura sanguinaria la prima ed altrettanto violenta la seconda. Due pesi e due misure. Ma l’intervento militare internazionale e' frutto della politica estera delle nazioni e – come e' facile intuire – solo teoricamente viene caratterizzato da questioni di principio ma nella realta' viene esclusivamente condizionato da interessi siano essi strategici o economici. E questo assunto vale soprattutto per quei Paesi che ambiscono ad esercitare un ruolo primario nel mondo.
    C’e' una giustizia internazionale che si fa apparentemente carico delle sofferenze del popolo libico ma nel contempo non ritiene di dover intervenire a Damasco o Sana’a.Si spendono parole contro le dittature e le violazioni dei diritti umani ma ci si limita a dichiarazioni di principio, a minacce e sanzioni che non producono alcun effetto .

Allora e' interessante capire il perche' di tanta riluttanza internazionale ad invischiarsi in un confronto armato con la Siria. Elenchiamo alcuni motivi: La Siria ha una popolazione di circa 23 milioni di abitanti (di cui oltre 5 milioni in possibile richiamo militare ) , modeste risorse petrolifere e di gas , un apparato militare di tutto rispetto. Ergo : e' un obiettivo militare pericoloso, richiederebbe impegni militari internazionali piu qualificati e per un tempo operativo piu lungo, (ovviamente dando per scontato un successo finale della coalizione internazionale), non riveste un particolare interesse economico (al contrario della Libia); La Siria si colloca geograficamente in un’area a forte instabilita'. La caduta del regime di Damasco e la creazione di un conseguente vuoto militare innescherebbe una serie di effetti negativi in tutta la regione dai risultati imprevedibili. L’indebolimento militare della Siria tornerebbe a vantaggio delle mire egemoniche ed espansionistiche dell’Iran (come gia' avvenuto con la guerra in Iraq – parametro a suo tempo sottovalutato dagli U.S.A.). Aumenterebbe pericolosamente il ruolo degli sciiti e metterebbe in pericolo le monarchie sunnite del Golfo . Si creerebbe una maggiore contiguita' a favore degli interessi iraniani contro Israele ; Iran e Siria sono legati da accordi militari. Hanno firmato nel 2005 un patto di mutua difesa . Nel dicembre 2009 tali rapporti sono stati ulteriormente rafforzati.

Sicuramente in caso di attacco armato contro la Siria, Teheran fornirebbe alla controparte sostegno militare e logistico. Non potrebbe essere escluso anche un intervento militare diretto al fianco di Damasco. Il conflitto potrebbe allargarsi ad altri protagonisti nella regione; In caso di guerra la Siria potrebbe comunque alimentare forme di lotta non convenzionali come il terrorismo. Ha un forte know hownel settore , acquisito attraverso una lunga esperienza pluriennale, ed ha soprattutto una ampia manovalanza – reale e non potenziale - a sua disposizione : le fazioni palestinesi radicali che ospita sul suo territorio e che appoggia anche in Libano , gli hezbollah, i curdi. Senza escludere la transumanza di Al Qaida da altre aree di crisi; Non e' nell’interesse israeliano che la Siria si destabilizzi , nonostante sia un acerrimo nemico di Tel Aviv. E’ un nemico ma sotto stretto controllo (basti pensare all’ raid aereo contro il sito nucleare di Deir Alzour il 6 settembre 2007).

Ma la paura di Israele e' incentrata soprattutto su chi potrebbe subentrare al regime di Damasco nel caso del defenestramento di Bashir Assad. I maggiori indiziati sono i Fratelli Musulmani che si erano gia' scontrati con il regime e furono poi conseguentemente sterminati da Hafez Assad nel febbraio 1982 a Hama. Da allora questa organizzazione rappresenta la forza piu qualificata – anche nell’immaginario della debole opposizione interna siriana- a subentrare al regime. E’ questa una ipotesi che preoccupa fortemente Israele. I Fratelli musulmani sono diventati adesso molto piu importanti nelle vicende egiziane dopo la cacciata di Mubarak ( ed i conseguenti risultati negativi nelle relazioni tra Il Cairo e Tel Aviv non si sono fatti attendere) , hanno forti connessioni con Hamas nel Striscia di Gaza ( nella pratica Hamas e' la branca palestinese della Fratellanza) , potrebbero diventare altrettanto importanti a Damasco. Confrontarsi con l’intransigenza – politica ed religiosa - che l’organizzazione proclama sulle vicende palestinesi, dare a tale intransigenza una maggiore espansione territoriale e contiguita' nei confini di Israele, e' sicuramente una eventualita' da evitare.

Ad Israele interessa soprattutto la propria sicurezza nazionale anche a costo di doversi confrontare con un regime sanguinario. Comunque tra Damasco e Tel Aviv un dialogo indiretto c’e' sempre stato ed un modus vivendi tra i due Stati si e' sempre trovato. Israele ha adesso bisogno di confrontarsi con un nemico piu pericoloso che e' l’Iran. Non puo' distogliere forze su altri teatri. Come avanza il programma nucleare iraniano altrettanto aumentano le probabilita' di un prossimo intervento militare israeliano contro le centrali di quel Paese. La destabilizzazione della Siria e la conseguenze sulla stabilita' della regione non sono nell’interesse della Turchia. Ankara preferisce avere interlocutori sicuri su cui costruire la sua egemonia nel mondo arabo.
La destabilizzazione della Siria e la conseguenze sulla stabilita' della regione non sono nell'interesse della Turchia. Ankara preferisce avere interlocutori sicuri su cui costruire la sua egemonia nel mondo arabo. Damasco ed il suo regime sono gia asserviti agli interessi geo-strategici di Erdogan. Vi e' poi , oggi nuovamente immanente , la questione curda dopo la serie di attentati perpetrati dal P.K.K. in ottobre contro le guarnigioni militari turche. E' pur vero che questi attacchi sono partito dal Kurdistan irakeno , ma la problematica dei diritti di questa numerosa popolazione interessa tutta un'area geografica che coinvolge la Turchia, l'Iraq, la Siria e l'Iran. Gia' nel 1998 la Siria che appoggiava le rivendicazioni del P.K.K. , di fronte alle minacce di un intervento armato della Turchia , aveva costretto Ocalan a lasciare il Paese. Se la Siria si dissolve in una guerra civile , i gruppi armati curdi potrebbero nuovamente trovare santuari e basi in questo Paese;

L'Arabia Saudita aveva ritirato il proprio ambasciatore a Damasco in agosto per protesta contro le efferatezze del regime alawita. Questo pero' non qualifica che Re Abdullah veda con minore timore un ricambio politico ai vertici della Siria con conseguente determinazione di un vuoto militare. Gli accordi tra Damasco e la Lega araba , favoriti da Ryad , vanno in questa direzione. E' un tentativo che comunque si confronta con l'intransigenza del regime siriano. Ma dietro l'angolo , nei timori sauditi c'e' il rischio che una situazione del genere possa avvantaggiare l'Iran. Da non dimenticare, al riguardo che in Arabia Saudita gli sciiti rappresentano circa il 15% della popolazione;

Sul piano prettamente politico un intervento militare della Nato e/o di Paesi occidentali rischierebbe di configurarsi non solo come atto di neo-colonialismo o imperialismo ma come un supporto militare ad Israele . Ed e' un aspetto che non gioverebbe all'immagine degli aventi causa soprattutto perche' l'attuale governo Netanyahu e' arroccato su posizioni oltranziste nei negoziati con l'OLP. C'e' poi, come gia' accennato un eventuale attacco contro l'Iran da parte israeliana ed in questa eventualita', sicuramente con l'appoggio anglo-americano; 

Gheddafi aveva molti nemici , non solo in Occidente , ma anche nel mondo arabo ed africano. Bashar Assad gode di una reputazione 'migliore' anche perche' in Medio Oriente la mancanza di democrazia , la violazione dei diritti umani, e l'ereditarieta' del potere sono merce ricorrente e non indispongono piu di tanto. Trovare simpatizzanti o all'occorrenza sostenitori alla propria causa risulterebbe piu facile al dittatore siriano di quanto non sia riuscito al suo omologo libico.

Il regime alawita, proprio perche' e' rappresentativo di una minoranza rispetto alla preponderante presenza di sunniti (in percentuale il 74% contro il 15-16% degli alawiti), ha avuto sempre un rapporto privilegiato con le altre minoranza religiose, in primis i cristiani che sono circa il 10%. Le chiese e le relative comunita' godono di particolari agevolazioni fiscali e pratiche. Ed e' per questo i cristiani vengono talvolta ritenuti collusi con il regime. E' una circostanza che pone preoccupazioni per il loro futuro, soprattutto se il potere passasse nelle mani dei Fratelli Musulmani. E dietro le preoccupazioni dei cristiani ci sono quelle delle nazioni occidentali.