IL RUOLO DELLA GIORDANIA NELLA TEMPESTA
MEDIORIENTALE

La
Giordania non compare quasi mai nei bollettini di guerra del
Medioriente o nelle instabilita' che costellano
quotidianamente la regione, ma questa circostanza non rende
giustizia all'importanza che questo Paese ha avuto ed ha oggi
nel panorama arabo.
La primavera araba giordana
La Giordania e' stata marginalmente sfiorata dalla cosiddetta Primavera Araba. Il 14 gennaio 2011 vi sono state le prime di una serie di manifestazioni di piazza ad Amman ed in altre citta' del regno hashemita pilotate dai partiti di sinistra contro il rincaro di alcuni prodotti, come il pane, soggetti a prezzi calmierati da sussidi governativi. Le manifestazioni si sono ripetute piu' numerose nei giorni successivi ed hanno preso di mira il governo del Premier Samir Rifai.
Il primo febbraio 2011, il sovrano re Abdallah si e' piegato alle proteste e ha sostituito il Premier con un ex Generale, Marouf al Bakhit. La concessione non ha messo fine alle manifestazioni, ora indirizzatesi nel richiedere maggiori liberta' politiche e forti cambiamenti nel sistema economico del Paese. Lo stato di tensione ha portato fra marzo ed aprile 2011 a scontri tra fedeli alla monarchia e manifestanti.
Il 12 giugno 2011, nell'anniversario dell'ascesa al trono, re Abdallah annunciava la sua rinuncia, a partire dall'anno successivo, al diritto di nominare il Primo Ministro ed i governi (competenze che passavano al Parlamento) nonche' nuove leggi elettorali e sui partiti. Qualche giorno piu' tardi, il 15 giugno 2011, il corteo reale che attraversava la citta' di Tafileh veniva bersagliato da sassi. Il 29 luglio sulle proteste si inserivano i Fratelli Musulmani che, con una manifestazione di circa 30.000 attivisti, richiedevano anche loro riforme politiche.
In agosto scontri e feriti si sono verificati a Kerak mentre un Comitato per le riforme proponeva modifiche costituzionali consideravate inadeguate dai manifestanti. Tra queste anche la limitazione della giurisdizione dei tribunali militari ai soli reati di spionaggio e terrorismo. In ottobre gli scontri tra lealisti e riformisti non accennavano a diminuire. I manifestanti, appoggiati da 70 deputati sui 120 del Parlamento, hanno chiesto ancora una volta la sostituzione del Primo Ministro che il re ha accordato il 17 ottobre nominando, al posto di al Bakhit, Awn Shawkat Khasaweneh.
Da questo momento in poi la situazione interna giordana si eclissava per fare posto alla crisi in Siria. Il 14 novembre 2011 re Abdallah ha chiesto pubblicamente a Bashar al Assad di dimettersi di fronte alla rivolta popolare. Qualche giorno piu' tardi (21 novembre), il sovrano hasmemita e' andato in Cisgiordania ad offrire il proprio sostegno al leader palestinese Mahmoud Abbas.
Gli incidenti e le proteste contro il governo giordano sono continuate, ma con minor impeto. Il Fronte Islamico di Azione (IAF), partito dei Fratelli Musulmani all'interno del Parlamento, ha organizzato in dicembre una manifestazione tentando di entrare negli uffici del Primo Ministro. Questa volta gli scontri hanno visto confrontarsi lealisti e islamici, questi ultimi nel palese tentativo di impossessarsi, come e' accaduto in Egitto, della leadership del malcontento popolare e delle istanze riformiste.
Le proteste hanno teso comunque a scemare anche perche' la solidarieta' mostrata dal sovrano nei confronti delle istanze del popolo siriano contro il regime alawita e a sostegno della causa palestinese nel tentativo di riattivare il dialogo con Israele (nel gennaio 2012 si e' tenuto ad Amman un primo contatto tra l'israeliano Yitzhak Molcho e il palestinese Saeb Erekat con la presenza degli inviati di USA, ONU, Russia e EU) hanno tolto ai Fratelli Musulmani locali molti argomenti di contestazione alla monarchia hashemita. Peraltro - altro elemento da non sottovalutare - la monarchia giordana e' legittimata e suffragata dalla discendenza dalla tribu' dei Bani Hashem a cui apparteneva il Profeta Maometto.
Nell'aprile del 2012 il Premier Khasawneh ha dato anche lui le dimissioni ed e' stato sostituito da Fayez Tarawneh (il quarto cambio alla testa dell'esecutivo in poco piu' di un anno). Il mese successivo e' stata messa in funzione una "Commissione elettorale Indipendente" per pilotare le successive elezioni (inizialmente previste per la fine dell'anno, ma poi slittate a gennaio 2013 a causa dei ritardi nella registrazione degli elettori).

Il fu-Re Hussein di Giordania
La monarchia
Re Hussein, che ha guidato la Giordania dal 1952 (facendo abdicare il padre Talal) fino alla sua morte nel febbraio del 1999, ha incarnato la vera anima del Paese. Lo ha fatto con il coraggio che gli veniva riconosciuto anche dagli avversari nei momenti di pericolo, con il carisma che esercitava sulla popolazione autoctona, sul timore reverenziale che incuteva negli interlocutori palestinesi o mediorientali con quel suo mix di guasconeria militare (pilotava gli aerei personalmente, aveva una predilezione per le pattuglie acrobatiche) e fama di donnaiolo (sempre belle donne al suo fianco, ricorrenti voci di avventure con hostess a cui regalava Rolex d'oro con galanteria) che avevano un grosso impatto sull'immaginario popolare. Re Hussein e' stato nei fatti piu' un Capo militare che uno statista come hanno dimostrato alcuni errori ricorrenti nelle sue scelte politico-militari (il coinvolgimento nella guerra contro Israele del '67 con cui ha perso la Cisgiordania; la mancata adesione alla guerra del '73 che invece avrebbe prodotto un tornaconto negoziale, l'iniziale appoggio a Saddam Hussein nella prima Guerra del Golfo).
Tuttavia, ogni volta Hussein e' uscito dalle situazioni piu' intricate con destrezza e coraggio. Anche sul piano interno, quando periodicamente intervenivano rivolte per questioni sociali ed economiche, solo lui era in grado di fronteggiare i capi beduini o le tribu' ostili con tutta l'autorita' che incuteva nella controparte (basti ricordare la rivolta del pane a Ma'an nel 1989).
Re Hussein ha esercitato il potere senza gli eccessi di altre monarchie assolute nella regione. La dissidenza politica e' stat sicuramente osteggiata o emarginata, ma non con le efferatezze di altri. Il General Intelligence Directorate (G.I.D. o Dairat al-Mukhabarat al-Ammah) con cui veniva assicurata la sicurezza del regime era piu' noto per la sua efficienza che per la sua eventuale crudelta'. Nella procedura con cui venivano trattati i dossier piu' delicati della dissidenza, prima di ogni intervento risolutivo venivano interposti stadi intermedi come moniti, avvertimenti, arresti limitati. Soltanto nel settembre del '70 nella lotta contro i Fedayn palestinesi che hanno messo in pericolo il suo regno Hussein e' stato spietato.
La sua forza risiedeva nella legione araba, un esercito composto di soli beduini, e in una guardia personale di circassi discendenti di quelle tribu' del Caucaso osteggiate dalla Russia e riposizionate, alla fine del 1800, dall'Impero Ottomano in Transgiordania e successivamente entrate nelle grazie della dinastia hashemita.
Hussein era anche noto per i suoi gesti di generosita'. Coltivava un personale rispetto per l'ospedale italiano di Amman dove era nato. Era lui che adottava tutti i bambini abbandonati nati da relazioni improprie che le suore raccoglievano e assistevano . Quando gli arrivo' la notizia che in un incidente delle Frecce tricolori italiane - di cui lui era un forte estimatore - erano morti dei piloti, fu scoperto a piangere in pubblico. Era amico personale di Amedeo Guillet, prima generale e poi diplomatico che da tenente aveva combattuto in clandestinita' gli inglesi in Etiopia nella seconda guerra mondiale alla testa di una banda di eritrei, etiopi e yemeniti guadagnandosi il titolo di "tenente del Diavolo". Sapeva riconoscere anche agli avversari il coraggio e l'onore che lui coltivava. Se veniva a conoscenza di un'ingiustizia o di un sopruso era capace di intervenire e pretendere giustizia. Il popolo gli riconosceva anche molti difetti come sovrano, ma l'uomo Hussein aveva il generale rispetto che meritava.
Come abbiamo detto, Hussein ha avuto una vita sentimentale molto articolata. Si e' sposato quattro volte: dalla prima moglie egiziana (Sharifa Dina bin Abdulhamid), da cui si e' separato nel 1956, ha avuto una figlia, Alia; poi ha sposato una inglese (Avril Gardiner), figlia di un ufficiale inglese, da cui ha divorziato nel 1971 e da cui ha avuto altri quattro figli (Abdallah, Feysal, Aisha e Zein); poi e' stata la volta di una palestinese (Alia Bahen bin Toukan) morta in un incidente aereo nel 1977 e da cui ha avuto un maschio (Ali) ed una femmina( Haya); infine, e' stato sposato fino alla morte con una libanese, Elizabeth Halaby, convertita all'Islam e con la quale ha avuto due maschi (Hamzah e Hashem) e due femmine (Iman e Raiyah). Questa intricata vita familiare e' diventata un problema nell'assicurare una linea di discendenza indolore allo stesso Hussein.
La Costituzione giordana stabiliva che l'erede al trono fosse il primo figlio maschio di moglie araba e musulmana e quindi il figlio della terza moglie palestinese Ali. Nato nel 1975 era ancora troppo piccolo per esercitare il suo ruolo e quindi negli anni ottanta e novanta la funzione di erede e reggente e' stata esercitata dal fratello di Hussein, Hassan.
Inizialmente re Hussein, nell'approssimarsi della morte per un cancro, aveva designato il fratello per succedergli sul trono nonostante lo scarso carisma e le molte perplessita' dei principali esponenti della Corte reale. Alcune improvvide iniziative di Hassan, ancora prima della morte del fratello, miranti a esautorare personaggi ed a imporre propri fedeli, hanno fatto si' che re Hussein ritornasse benche' fortemente debilitato in patria e designasse, il giorno prima della morte, il figlio Abdallah come suo erede. Abdallah era il primo maschio adulto, seppur non figlio di moglie araba (ma inglese) e musulmana.
Da questa concitata successione (si parla anche del fatto che Abdallah avrebbe promesso al padre di favorire in futuro i figli dell'ultima moglie libanese) erano sorti dubbi sulla futura tenuta della monarchia hashemita dopo la morte di Hussein. Abdallah, sotto molti aspetti, ha/aveva caratteristiche simili al padre: pilota di elicotteri, paracadutista, cultore dei reparti speciali, coraggioso ed anche donnaiolo. Ma quel che piu' preoccupava era l'aspetto politico del suo mandato che Hussein aveva affinato in tanti anni di regno, ma che Abdallah non aveva mai avuto opportunita' di esercitare. Anche l'esautorazione dello zio Hassan poneva dei dubbi sulla tenuta della monarchia.
I fatti hanno sinora dimostrato che Abdallah, anche senza quel carisma internazionale che si era creato intorno al padre, ha saputo sinora gestire il regno con sufficiente polso e moderazione aiutato, sul fronte interno, da una moglie di origine palestinese.

Re Abdullah di Giordania
Le sfide di oggi
La capacita' gestionale della monarchia hashemita sotto la guida di Abdallah dovra' essere adesso verificata alla luce degli ultimi eventi esogeni ed endogeni che scuotono la regione ed il regno.
Sul piano interno
Per quanto riguarda il piano interno tutto si gioca sulle prerogative del re e sulle possibili concessioni alle istanze dell'opposizione. A seguito delle manifestazioni che hanno procurato proteste e disordini nel 2011, Abdallah ha messo in funzione due organismi: un "Comitato per il Dialogo Nazionale" (creato il 14 marzo 2011 e composto da esponenti politici, giornalisti, attivisti e giuristi e guidato da un fedelissimo del re come Taher Masri) per redigere una nuova legge elettorale e dei partiti e una "Commissione reale per la Revisione della Costituzione" (creata il 27 aprile 2011). Entrambi gli organismi hanno poi presentato le loro proposte.
Per quanto riguarda i partiti ed il sistema elettorale, la nuova legge garantisce meglio la funzionalita' di un sistema multipartitico. E' stabilito che i partiti non devono essere basati su criteri etnici, religiosi o razziali, che non devono fare politica nel sistema giudiziario o militare e soprattutto che non devono accettare finanziamenti dall'estero, ma avranno sovvenzioni dallo Stato. L' art. 32 della legge fa cenno alle pene potranno essere comminate ai deputati che commettono lo specifico crimine di accedere a soldi stranieri (e qui appare evidente il timore che i soldi sauditi, iraniani o di altre monarchie del Golfo possano destabilizzare il sistema sociale e politico giordano). La riforma approvata fornisce anche ulteriori garanzie come l'inviolabilita' delle sedi dei partiti e dei documenti o comunicazioni prodotte nell'esercizio delle loro funzioni.
Il Parlamento e' stato modificato passando da 120 a 140 membri (di cui 123 eletti a livello di distretto e 17 a livello nazionale) con una quota di seggi garantiti ad una rappresentanza femminile (15 seggi adesso contro 12 nel passato). Se la nuova legge, almeno teoricamente, concede maggiori spazi alla rappresentanza politica e sembra danneggiare i margini di discrezionalita' delle prerogative reali, nella realta' Abdallah e' sostanzialmente riuscito a bloccare le aspirazioni del maggiore e piu' pericoloso movimento politico, rappresentato dallo IAF dei Fratelli Musulmani (il voto distrettuale favorisce i candidati tribali - quelli piu' favorevoli alla monarchia - ed impedisce alla Fratellanza di pilotare i consensi a livello nazionale dove e' sicuramente piu' influente).
Inoltre il sovrano ha introdotto un nuovo elemento a suo favore : la nuova legge adesso concede (prima non era previsto) il diritto di voto anche alle forze di sicurezza che quantitativamente rappresentano il 10% della popolazione e le cui simpatie sono ragionevolmente orientate a favore della casa reale.
Che questa mossa di Abdallah sia stata strategicamente efficace lo dimostra il fatto che l'IAF ha boicottato le recenti elezioni parlamentari del 23 gennaio scorso che invece, contrariamente alle aspettative dei Fratelli Musulmani, hanno avuto un'affluenza piu' che soddisfacente (56,6% addirittura superiore a quella del 2010 dove l'IAF aveva partecipato). Nei fatti quindi uno scacco matto alle velleita' politiche della Fratellanza in Giordania in una congiuntura regionale che vede i Fratelli Musulmani governare in Egitto, avere un ruolo centrale in ambito palestinese (con Hamas) e costituire una potenziale leadership in Siria in un prossimo futuro.
Il monarca giordano dialoga oggi con un Parlamento pieno di conservatori ed esponenti tribali e la piu' qualificata rappresentanza islamica e' costituita dai 17 seggi vinti dal "Muslim Center Party" (Hizb Al-Wasat Al-Islamiya) che e' - guarda caso - una fazione dissidente dei Fratelli Musulmani. La Fratellanza ha cercato di sobillare le piazze con manifestazioni in tutto il Paese, ma questa prova di forza si e' poi tramutata in una dimostrazione di debolezza. Tuttavia, il pericolo islamico non deve essere sottovalutato.
Piccole altre concessioni come quella sulla Legge della stampa per cui i giornalisti non subiranno detenzioni per quello che scriveranno, ma multe pecuniarie (ovviamente esclusi quei reati che si configurano contro la sicurezza dello Stato) aumentano sicuramente il livello delle liberta' civili e poco possono produrre contro la stabilita' della monarchia.
Anche sul piano delle riforme costituzionali (sono stati proposti ed approvati 41 emendamenti) il sovrano ha saputo muoversi con perizia: da un lato concedere, dall'altro controllare. Il controllo e' determinato dalla creazione di una Corte Costituzionale (che sostituisce una precedente "Alta Corte per l'Interpretazione della Costituzione) art. 28 della neo-Costituzione che avra' il compito di verificare la costituzionalita' delle leggi proposte dal governo o approvate dal Parlamento. Ma - ed e' questo il punto qualificante della mossa reale - i 9 membri della Corte che dureranno in carica 6 anni, non rinnovabili, sono tutti di nomina reale. Quindi il re concede, ma controlla.
Inoltre, ed e' un dettaglio da non dimenticare, il sistema legislativo giordano e' bicamerale ed il Senato e' formato da 60 membri tutti di nomina reale. Ogni legge deve essere votata dai due rami del Parlamento e poi ratificata dal sovrano. E questa procedura, a fronte di tante altre modifiche di facciata, non e' stata cambiata.
Sul piano esterno
La Giordania confina con una Siria dilaniata dalla guerra civile, un Israele percorso politicamente da aspirazioni interventiste, un Iraq ancora instabile e dagli assetti politici precari, si trova coinvolta (socialmente) e contigua (fisicamente) alle vicende palestinesi irrisolte, sull'altra sponda del mar Rosso l'Egitto di Morsi e' ancora percorso da fermenti sociali, c'e' un Iran che minaccia con il suo programma nucleare l'egemonia militare di Tel Aviv e solleva lecite preoccupazioni nelle varie monarchie del Golfo, c'e' un Islam radicale che sovvenzionato dal wahabismo sta prendendo piede in tutto il Medioriente.
Queste sono tutte situazioni che potenzialmente mettono in pericolo la stabilita' del regno hashemita, un piccolo Stato dipendente dai sussidi internazionali e dal petrolio saudita che si trova nell'epicentro di una tempesta sociale, politica e militare dagli sviluppi imprevedibili.
Il problema piu' immanente e' quello siriano. Ci sono oltre 340.000 profughi accampati sul territorio giordano (80.000 e forse piu' nel solo campo di Zaatari, 30.000 in un altro vicino a Zarqa) e c'e' il rischio che il conflitto siriano possa travalicare i confini comuni (visto che l'area confinaria e' parte in controllo dei ribelli e parte in mano ai lealisti), c'e' il rischio terrorismo e c'e' il rischio che l'arsenale chimico siriano possa entrare nelle disponibilita' di mani sbagliate.
Ne e' la riprova la recente visita di Benjamin Netanyahu ad Amman per incontrarsi con re Abdallah e discutere della questione. Gia' ai primi di dicembre Israele aveva chiesto l'autorizzazione ad attraversare lo spazio aereo giordano per colpire i depositi chimici di Assad. Sul problema siriano Abdallah mantiene un atteggiamento equidistante non molto gradito a Qatar e Arabia Saudita, ma i circa 380 km di confine comune costituiscono per il regno hashemita un elemento di pericolo. Tuttavia, nel contempo la Giordania permette agli americani di addestrare in una base segreta i ribelli siriani.
C'e' anche il problema della nazionalita' dei profughi che vengono dalla Siria: quelli di origine palestinese non trovano facile accoglienza nel regno.
C'e' anche l'aspetto finanziario perche' il sostegno ai profughi siriani rischia di costare, in base alle stime, circa 1 miliardo di dollari quest'anno.
Ma se queste circostanze quantificano il pericolo che circola nella regione danno anche sostanza al ruolo della Giordania e del suo sovrano come interlocutore e parte negoziale in ogni vicenda regionale. E sta qui la forza di re Abdallah: in questa sua ricerca del dialogo, in questo suo ruolo di intermediario e contatto tra Israele (con cui e' stato sottoscritto un accordo di pace nel 1994) ed il mondo arabo. C'e' poi la politica filo-americana che tradizionalmente fa parte della politica estera del Paese, i buoni rapporti con quasi tutti i regimi della regione ed ora, risolte le fibrillazioni sul piano sociale interno, la Giordania appare come un'isola di pace nel mezzo di un mare in tempesta.
Sia sul piano interno che internazionale Abdallah non ha fatto altro che seguire le orme del padre Hussein che risolveva i fermenti interni con avvicendamenti di Primi ministri o con concessioni di facciata e che, sul piano estero, colloquiava con tutti, anche con Israele quando era considerato il nemico numero uno del mondo arabo. E sembra che questo approccio funzioni ancora.
Il ruolo della Giordania nella regione
Bypassato - o almeno sinora circoscritto - il problema delle contestazioni interne, la Giordania ha cosi' riconquistato quel ruolo centrale di Paese moderato e soprattutto stabile nella regione mediorientale. Il ruolo di nazione moderata che Abdallah ha ereditato da suo padre Hussein e che continua ad esercitare nell'area costituisce nei fatti la garanzia di sopravvivenza della monarchia hashemita perche' permette alla Giordania di essere, in questa configurazione, l'unico interlocutore credibile nell'annosa questione israelo-palestinese e punto di contatto per tutte quelle crisi che periodicamente emergono nel Medio Oriente e nella penisola arabica.
La stabilita' e' sempre stata per la Giordania un elemento di complessita' relazionale all'interno ed all'esterno. Questo piccolo paese senza risorse di particolare appetibilita' esterna (salvo i fosfati), circondato da Paesi turbolenti (Siria), prepotenti (Israele), instabili (Iraq) o religiosamente e finanziariamente pericolosi (Arabia Saudita col suo wahabismo ed i petrodollari nonche' la rivalita' storica che divide la monarchia saudita da quella hashemita) ha affinato quel senso di circospezione politica che gli ha permesso di trasformare il suo ruolo di Stato cuscinetto da debolezza geografica in elemento di imprescindibile interlocutore negoziale.
Sul piano interno, invece, l'eterogenea composizione della popolazione tra palestinesi e transgiordani ha creato in passato situazioni di vulnerabilita' (basti pensare al Settembre Nero che vide opposte le milizie palestinesi - poi cacciate - da parte della legione araba di Hussein), ma adesso la questione sembra essersi risolta dal momento che l'Autorita' Palestinese, personificata da un moderato come Abu Mazen, trova maggiori punti di contatto con la politica dialogante di Abdallah. Inoltre, il tempo ha amalgamato le differenze sociali tra beduini e palestinesi con questi ultimi che considerano la Giordania sempre piu' una vera patria e non una nazione di transito.
La primavera araba giordana
La Giordania e' stata marginalmente sfiorata dalla cosiddetta Primavera Araba. Il 14 gennaio 2011 vi sono state le prime di una serie di manifestazioni di piazza ad Amman ed in altre citta' del regno hashemita pilotate dai partiti di sinistra contro il rincaro di alcuni prodotti, come il pane, soggetti a prezzi calmierati da sussidi governativi. Le manifestazioni si sono ripetute piu' numerose nei giorni successivi ed hanno preso di mira il governo del Premier Samir Rifai.
Il primo febbraio 2011, il sovrano re Abdallah si e' piegato alle proteste e ha sostituito il Premier con un ex Generale, Marouf al Bakhit. La concessione non ha messo fine alle manifestazioni, ora indirizzatesi nel richiedere maggiori liberta' politiche e forti cambiamenti nel sistema economico del Paese. Lo stato di tensione ha portato fra marzo ed aprile 2011 a scontri tra fedeli alla monarchia e manifestanti.
Il 12 giugno 2011, nell'anniversario dell'ascesa al trono, re Abdallah annunciava la sua rinuncia, a partire dall'anno successivo, al diritto di nominare il Primo Ministro ed i governi (competenze che passavano al Parlamento) nonche' nuove leggi elettorali e sui partiti. Qualche giorno piu' tardi, il 15 giugno 2011, il corteo reale che attraversava la citta' di Tafileh veniva bersagliato da sassi. Il 29 luglio sulle proteste si inserivano i Fratelli Musulmani che, con una manifestazione di circa 30.000 attivisti, richiedevano anche loro riforme politiche.
In agosto scontri e feriti si sono verificati a Kerak mentre un Comitato per le riforme proponeva modifiche costituzionali consideravate inadeguate dai manifestanti. Tra queste anche la limitazione della giurisdizione dei tribunali militari ai soli reati di spionaggio e terrorismo. In ottobre gli scontri tra lealisti e riformisti non accennavano a diminuire. I manifestanti, appoggiati da 70 deputati sui 120 del Parlamento, hanno chiesto ancora una volta la sostituzione del Primo Ministro che il re ha accordato il 17 ottobre nominando, al posto di al Bakhit, Awn Shawkat Khasaweneh.
Da questo momento in poi la situazione interna giordana si eclissava per fare posto alla crisi in Siria. Il 14 novembre 2011 re Abdallah ha chiesto pubblicamente a Bashar al Assad di dimettersi di fronte alla rivolta popolare. Qualche giorno piu' tardi (21 novembre), il sovrano hasmemita e' andato in Cisgiordania ad offrire il proprio sostegno al leader palestinese Mahmoud Abbas.
Gli incidenti e le proteste contro il governo giordano sono continuate, ma con minor impeto. Il Fronte Islamico di Azione (IAF), partito dei Fratelli Musulmani all'interno del Parlamento, ha organizzato in dicembre una manifestazione tentando di entrare negli uffici del Primo Ministro. Questa volta gli scontri hanno visto confrontarsi lealisti e islamici, questi ultimi nel palese tentativo di impossessarsi, come e' accaduto in Egitto, della leadership del malcontento popolare e delle istanze riformiste.
Le proteste hanno teso comunque a scemare anche perche' la solidarieta' mostrata dal sovrano nei confronti delle istanze del popolo siriano contro il regime alawita e a sostegno della causa palestinese nel tentativo di riattivare il dialogo con Israele (nel gennaio 2012 si e' tenuto ad Amman un primo contatto tra l'israeliano Yitzhak Molcho e il palestinese Saeb Erekat con la presenza degli inviati di USA, ONU, Russia e EU) hanno tolto ai Fratelli Musulmani locali molti argomenti di contestazione alla monarchia hashemita. Peraltro - altro elemento da non sottovalutare - la monarchia giordana e' legittimata e suffragata dalla discendenza dalla tribu' dei Bani Hashem a cui apparteneva il Profeta Maometto.
Nell'aprile del 2012 il Premier Khasawneh ha dato anche lui le dimissioni ed e' stato sostituito da Fayez Tarawneh (il quarto cambio alla testa dell'esecutivo in poco piu' di un anno). Il mese successivo e' stata messa in funzione una "Commissione elettorale Indipendente" per pilotare le successive elezioni (inizialmente previste per la fine dell'anno, ma poi slittate a gennaio 2013 a causa dei ritardi nella registrazione degli elettori).

Il fu-Re Hussein di Giordania
La monarchia
Re Hussein, che ha guidato la Giordania dal 1952 (facendo abdicare il padre Talal) fino alla sua morte nel febbraio del 1999, ha incarnato la vera anima del Paese. Lo ha fatto con il coraggio che gli veniva riconosciuto anche dagli avversari nei momenti di pericolo, con il carisma che esercitava sulla popolazione autoctona, sul timore reverenziale che incuteva negli interlocutori palestinesi o mediorientali con quel suo mix di guasconeria militare (pilotava gli aerei personalmente, aveva una predilezione per le pattuglie acrobatiche) e fama di donnaiolo (sempre belle donne al suo fianco, ricorrenti voci di avventure con hostess a cui regalava Rolex d'oro con galanteria) che avevano un grosso impatto sull'immaginario popolare. Re Hussein e' stato nei fatti piu' un Capo militare che uno statista come hanno dimostrato alcuni errori ricorrenti nelle sue scelte politico-militari (il coinvolgimento nella guerra contro Israele del '67 con cui ha perso la Cisgiordania; la mancata adesione alla guerra del '73 che invece avrebbe prodotto un tornaconto negoziale, l'iniziale appoggio a Saddam Hussein nella prima Guerra del Golfo).
Tuttavia, ogni volta Hussein e' uscito dalle situazioni piu' intricate con destrezza e coraggio. Anche sul piano interno, quando periodicamente intervenivano rivolte per questioni sociali ed economiche, solo lui era in grado di fronteggiare i capi beduini o le tribu' ostili con tutta l'autorita' che incuteva nella controparte (basti ricordare la rivolta del pane a Ma'an nel 1989).
Re Hussein ha esercitato il potere senza gli eccessi di altre monarchie assolute nella regione. La dissidenza politica e' stat sicuramente osteggiata o emarginata, ma non con le efferatezze di altri. Il General Intelligence Directorate (G.I.D. o Dairat al-Mukhabarat al-Ammah) con cui veniva assicurata la sicurezza del regime era piu' noto per la sua efficienza che per la sua eventuale crudelta'. Nella procedura con cui venivano trattati i dossier piu' delicati della dissidenza, prima di ogni intervento risolutivo venivano interposti stadi intermedi come moniti, avvertimenti, arresti limitati. Soltanto nel settembre del '70 nella lotta contro i Fedayn palestinesi che hanno messo in pericolo il suo regno Hussein e' stato spietato.
La sua forza risiedeva nella legione araba, un esercito composto di soli beduini, e in una guardia personale di circassi discendenti di quelle tribu' del Caucaso osteggiate dalla Russia e riposizionate, alla fine del 1800, dall'Impero Ottomano in Transgiordania e successivamente entrate nelle grazie della dinastia hashemita.
Hussein era anche noto per i suoi gesti di generosita'. Coltivava un personale rispetto per l'ospedale italiano di Amman dove era nato. Era lui che adottava tutti i bambini abbandonati nati da relazioni improprie che le suore raccoglievano e assistevano . Quando gli arrivo' la notizia che in un incidente delle Frecce tricolori italiane - di cui lui era un forte estimatore - erano morti dei piloti, fu scoperto a piangere in pubblico. Era amico personale di Amedeo Guillet, prima generale e poi diplomatico che da tenente aveva combattuto in clandestinita' gli inglesi in Etiopia nella seconda guerra mondiale alla testa di una banda di eritrei, etiopi e yemeniti guadagnandosi il titolo di "tenente del Diavolo". Sapeva riconoscere anche agli avversari il coraggio e l'onore che lui coltivava. Se veniva a conoscenza di un'ingiustizia o di un sopruso era capace di intervenire e pretendere giustizia. Il popolo gli riconosceva anche molti difetti come sovrano, ma l'uomo Hussein aveva il generale rispetto che meritava.
Come abbiamo detto, Hussein ha avuto una vita sentimentale molto articolata. Si e' sposato quattro volte: dalla prima moglie egiziana (Sharifa Dina bin Abdulhamid), da cui si e' separato nel 1956, ha avuto una figlia, Alia; poi ha sposato una inglese (Avril Gardiner), figlia di un ufficiale inglese, da cui ha divorziato nel 1971 e da cui ha avuto altri quattro figli (Abdallah, Feysal, Aisha e Zein); poi e' stata la volta di una palestinese (Alia Bahen bin Toukan) morta in un incidente aereo nel 1977 e da cui ha avuto un maschio (Ali) ed una femmina( Haya); infine, e' stato sposato fino alla morte con una libanese, Elizabeth Halaby, convertita all'Islam e con la quale ha avuto due maschi (Hamzah e Hashem) e due femmine (Iman e Raiyah). Questa intricata vita familiare e' diventata un problema nell'assicurare una linea di discendenza indolore allo stesso Hussein.
La Costituzione giordana stabiliva che l'erede al trono fosse il primo figlio maschio di moglie araba e musulmana e quindi il figlio della terza moglie palestinese Ali. Nato nel 1975 era ancora troppo piccolo per esercitare il suo ruolo e quindi negli anni ottanta e novanta la funzione di erede e reggente e' stata esercitata dal fratello di Hussein, Hassan.
Inizialmente re Hussein, nell'approssimarsi della morte per un cancro, aveva designato il fratello per succedergli sul trono nonostante lo scarso carisma e le molte perplessita' dei principali esponenti della Corte reale. Alcune improvvide iniziative di Hassan, ancora prima della morte del fratello, miranti a esautorare personaggi ed a imporre propri fedeli, hanno fatto si' che re Hussein ritornasse benche' fortemente debilitato in patria e designasse, il giorno prima della morte, il figlio Abdallah come suo erede. Abdallah era il primo maschio adulto, seppur non figlio di moglie araba (ma inglese) e musulmana.
Da questa concitata successione (si parla anche del fatto che Abdallah avrebbe promesso al padre di favorire in futuro i figli dell'ultima moglie libanese) erano sorti dubbi sulla futura tenuta della monarchia hashemita dopo la morte di Hussein. Abdallah, sotto molti aspetti, ha/aveva caratteristiche simili al padre: pilota di elicotteri, paracadutista, cultore dei reparti speciali, coraggioso ed anche donnaiolo. Ma quel che piu' preoccupava era l'aspetto politico del suo mandato che Hussein aveva affinato in tanti anni di regno, ma che Abdallah non aveva mai avuto opportunita' di esercitare. Anche l'esautorazione dello zio Hassan poneva dei dubbi sulla tenuta della monarchia.
I fatti hanno sinora dimostrato che Abdallah, anche senza quel carisma internazionale che si era creato intorno al padre, ha saputo sinora gestire il regno con sufficiente polso e moderazione aiutato, sul fronte interno, da una moglie di origine palestinese.

Re Abdullah di Giordania
Le sfide di oggi
La capacita' gestionale della monarchia hashemita sotto la guida di Abdallah dovra' essere adesso verificata alla luce degli ultimi eventi esogeni ed endogeni che scuotono la regione ed il regno.
Sul piano interno
Per quanto riguarda il piano interno tutto si gioca sulle prerogative del re e sulle possibili concessioni alle istanze dell'opposizione. A seguito delle manifestazioni che hanno procurato proteste e disordini nel 2011, Abdallah ha messo in funzione due organismi: un "Comitato per il Dialogo Nazionale" (creato il 14 marzo 2011 e composto da esponenti politici, giornalisti, attivisti e giuristi e guidato da un fedelissimo del re come Taher Masri) per redigere una nuova legge elettorale e dei partiti e una "Commissione reale per la Revisione della Costituzione" (creata il 27 aprile 2011). Entrambi gli organismi hanno poi presentato le loro proposte.
Per quanto riguarda i partiti ed il sistema elettorale, la nuova legge garantisce meglio la funzionalita' di un sistema multipartitico. E' stabilito che i partiti non devono essere basati su criteri etnici, religiosi o razziali, che non devono fare politica nel sistema giudiziario o militare e soprattutto che non devono accettare finanziamenti dall'estero, ma avranno sovvenzioni dallo Stato. L' art. 32 della legge fa cenno alle pene potranno essere comminate ai deputati che commettono lo specifico crimine di accedere a soldi stranieri (e qui appare evidente il timore che i soldi sauditi, iraniani o di altre monarchie del Golfo possano destabilizzare il sistema sociale e politico giordano). La riforma approvata fornisce anche ulteriori garanzie come l'inviolabilita' delle sedi dei partiti e dei documenti o comunicazioni prodotte nell'esercizio delle loro funzioni.
Il Parlamento e' stato modificato passando da 120 a 140 membri (di cui 123 eletti a livello di distretto e 17 a livello nazionale) con una quota di seggi garantiti ad una rappresentanza femminile (15 seggi adesso contro 12 nel passato). Se la nuova legge, almeno teoricamente, concede maggiori spazi alla rappresentanza politica e sembra danneggiare i margini di discrezionalita' delle prerogative reali, nella realta' Abdallah e' sostanzialmente riuscito a bloccare le aspirazioni del maggiore e piu' pericoloso movimento politico, rappresentato dallo IAF dei Fratelli Musulmani (il voto distrettuale favorisce i candidati tribali - quelli piu' favorevoli alla monarchia - ed impedisce alla Fratellanza di pilotare i consensi a livello nazionale dove e' sicuramente piu' influente).
Inoltre il sovrano ha introdotto un nuovo elemento a suo favore : la nuova legge adesso concede (prima non era previsto) il diritto di voto anche alle forze di sicurezza che quantitativamente rappresentano il 10% della popolazione e le cui simpatie sono ragionevolmente orientate a favore della casa reale.
Che questa mossa di Abdallah sia stata strategicamente efficace lo dimostra il fatto che l'IAF ha boicottato le recenti elezioni parlamentari del 23 gennaio scorso che invece, contrariamente alle aspettative dei Fratelli Musulmani, hanno avuto un'affluenza piu' che soddisfacente (56,6% addirittura superiore a quella del 2010 dove l'IAF aveva partecipato). Nei fatti quindi uno scacco matto alle velleita' politiche della Fratellanza in Giordania in una congiuntura regionale che vede i Fratelli Musulmani governare in Egitto, avere un ruolo centrale in ambito palestinese (con Hamas) e costituire una potenziale leadership in Siria in un prossimo futuro.
Il monarca giordano dialoga oggi con un Parlamento pieno di conservatori ed esponenti tribali e la piu' qualificata rappresentanza islamica e' costituita dai 17 seggi vinti dal "Muslim Center Party" (Hizb Al-Wasat Al-Islamiya) che e' - guarda caso - una fazione dissidente dei Fratelli Musulmani. La Fratellanza ha cercato di sobillare le piazze con manifestazioni in tutto il Paese, ma questa prova di forza si e' poi tramutata in una dimostrazione di debolezza. Tuttavia, il pericolo islamico non deve essere sottovalutato.
Piccole altre concessioni come quella sulla Legge della stampa per cui i giornalisti non subiranno detenzioni per quello che scriveranno, ma multe pecuniarie (ovviamente esclusi quei reati che si configurano contro la sicurezza dello Stato) aumentano sicuramente il livello delle liberta' civili e poco possono produrre contro la stabilita' della monarchia.
Anche sul piano delle riforme costituzionali (sono stati proposti ed approvati 41 emendamenti) il sovrano ha saputo muoversi con perizia: da un lato concedere, dall'altro controllare. Il controllo e' determinato dalla creazione di una Corte Costituzionale (che sostituisce una precedente "Alta Corte per l'Interpretazione della Costituzione) art. 28 della neo-Costituzione che avra' il compito di verificare la costituzionalita' delle leggi proposte dal governo o approvate dal Parlamento. Ma - ed e' questo il punto qualificante della mossa reale - i 9 membri della Corte che dureranno in carica 6 anni, non rinnovabili, sono tutti di nomina reale. Quindi il re concede, ma controlla.
Inoltre, ed e' un dettaglio da non dimenticare, il sistema legislativo giordano e' bicamerale ed il Senato e' formato da 60 membri tutti di nomina reale. Ogni legge deve essere votata dai due rami del Parlamento e poi ratificata dal sovrano. E questa procedura, a fronte di tante altre modifiche di facciata, non e' stata cambiata.
Sul piano esterno
La Giordania confina con una Siria dilaniata dalla guerra civile, un Israele percorso politicamente da aspirazioni interventiste, un Iraq ancora instabile e dagli assetti politici precari, si trova coinvolta (socialmente) e contigua (fisicamente) alle vicende palestinesi irrisolte, sull'altra sponda del mar Rosso l'Egitto di Morsi e' ancora percorso da fermenti sociali, c'e' un Iran che minaccia con il suo programma nucleare l'egemonia militare di Tel Aviv e solleva lecite preoccupazioni nelle varie monarchie del Golfo, c'e' un Islam radicale che sovvenzionato dal wahabismo sta prendendo piede in tutto il Medioriente.
Queste sono tutte situazioni che potenzialmente mettono in pericolo la stabilita' del regno hashemita, un piccolo Stato dipendente dai sussidi internazionali e dal petrolio saudita che si trova nell'epicentro di una tempesta sociale, politica e militare dagli sviluppi imprevedibili.
Il problema piu' immanente e' quello siriano. Ci sono oltre 340.000 profughi accampati sul territorio giordano (80.000 e forse piu' nel solo campo di Zaatari, 30.000 in un altro vicino a Zarqa) e c'e' il rischio che il conflitto siriano possa travalicare i confini comuni (visto che l'area confinaria e' parte in controllo dei ribelli e parte in mano ai lealisti), c'e' il rischio terrorismo e c'e' il rischio che l'arsenale chimico siriano possa entrare nelle disponibilita' di mani sbagliate.
Ne e' la riprova la recente visita di Benjamin Netanyahu ad Amman per incontrarsi con re Abdallah e discutere della questione. Gia' ai primi di dicembre Israele aveva chiesto l'autorizzazione ad attraversare lo spazio aereo giordano per colpire i depositi chimici di Assad. Sul problema siriano Abdallah mantiene un atteggiamento equidistante non molto gradito a Qatar e Arabia Saudita, ma i circa 380 km di confine comune costituiscono per il regno hashemita un elemento di pericolo. Tuttavia, nel contempo la Giordania permette agli americani di addestrare in una base segreta i ribelli siriani.
C'e' anche il problema della nazionalita' dei profughi che vengono dalla Siria: quelli di origine palestinese non trovano facile accoglienza nel regno.
C'e' anche l'aspetto finanziario perche' il sostegno ai profughi siriani rischia di costare, in base alle stime, circa 1 miliardo di dollari quest'anno.
Ma se queste circostanze quantificano il pericolo che circola nella regione danno anche sostanza al ruolo della Giordania e del suo sovrano come interlocutore e parte negoziale in ogni vicenda regionale. E sta qui la forza di re Abdallah: in questa sua ricerca del dialogo, in questo suo ruolo di intermediario e contatto tra Israele (con cui e' stato sottoscritto un accordo di pace nel 1994) ed il mondo arabo. C'e' poi la politica filo-americana che tradizionalmente fa parte della politica estera del Paese, i buoni rapporti con quasi tutti i regimi della regione ed ora, risolte le fibrillazioni sul piano sociale interno, la Giordania appare come un'isola di pace nel mezzo di un mare in tempesta.
Sia sul piano interno che internazionale Abdallah non ha fatto altro che seguire le orme del padre Hussein che risolveva i fermenti interni con avvicendamenti di Primi ministri o con concessioni di facciata e che, sul piano estero, colloquiava con tutti, anche con Israele quando era considerato il nemico numero uno del mondo arabo. E sembra che questo approccio funzioni ancora.
Il ruolo della Giordania nella regione
Bypassato - o almeno sinora circoscritto - il problema delle contestazioni interne, la Giordania ha cosi' riconquistato quel ruolo centrale di Paese moderato e soprattutto stabile nella regione mediorientale. Il ruolo di nazione moderata che Abdallah ha ereditato da suo padre Hussein e che continua ad esercitare nell'area costituisce nei fatti la garanzia di sopravvivenza della monarchia hashemita perche' permette alla Giordania di essere, in questa configurazione, l'unico interlocutore credibile nell'annosa questione israelo-palestinese e punto di contatto per tutte quelle crisi che periodicamente emergono nel Medio Oriente e nella penisola arabica.
La stabilita' e' sempre stata per la Giordania un elemento di complessita' relazionale all'interno ed all'esterno. Questo piccolo paese senza risorse di particolare appetibilita' esterna (salvo i fosfati), circondato da Paesi turbolenti (Siria), prepotenti (Israele), instabili (Iraq) o religiosamente e finanziariamente pericolosi (Arabia Saudita col suo wahabismo ed i petrodollari nonche' la rivalita' storica che divide la monarchia saudita da quella hashemita) ha affinato quel senso di circospezione politica che gli ha permesso di trasformare il suo ruolo di Stato cuscinetto da debolezza geografica in elemento di imprescindibile interlocutore negoziale.
Sul piano interno, invece, l'eterogenea composizione della popolazione tra palestinesi e transgiordani ha creato in passato situazioni di vulnerabilita' (basti pensare al Settembre Nero che vide opposte le milizie palestinesi - poi cacciate - da parte della legione araba di Hussein), ma adesso la questione sembra essersi risolta dal momento che l'Autorita' Palestinese, personificata da un moderato come Abu Mazen, trova maggiori punti di contatto con la politica dialogante di Abdallah. Inoltre, il tempo ha amalgamato le differenze sociali tra beduini e palestinesi con questi ultimi che considerano la Giordania sempre piu' una vera patria e non una nazione di transito.
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