LA RUSSIA EGEMONE NEL MEDIO ORIENTE

Vladimir Putin
L'unica
superpotenza che oggi ha un potere diretto sulle vicende
mediorientali è la Russia. E' una circostanza che è stata
determinata in buona parte dalla ritrosia americana ad infilarsi
militarmente, di nuovo, nelle vicende regionali. Nei suoi otto
anni alla Casa bianca, la priorità della politica del presidente
Barack Obama è stata quella di uscire da quel ginepraio di
interventi militari ereditati dalla precedente amministrazione di
George W. Bush.
Il disimpegno americano – peraltro non completamente realizzato –
ha fornito spazio al ruolo della Russia in Medio Oriente.
Nonostante le sanzioni internazionali per l'occupazione della
Crimea e per le vicende ucraine, nel 2015 Mosca ha deciso di
intervenire militarmente a fianco di Bashar Assad ed ha salvato il
regime siriano da una inevitabile sconfitta. Alla luce di questo
intervento ha adesso molto più peso politico e decisionale nelle
vicende regionali.
Risollevate militarmente le sorti di Assad, adesso Vladimir Putin
si permette anche di annunciare una tregua in Siria e di pilotare
un processo di pace politico con un negoziato ad Astana, in
Kazakistan, dove intorno ad un tavolo è riuscita a far sedere il
regime di Damasco, l'opposizione con l'esclusione delle fazioni
islamiche radicali (ISIS e Jabhat Fateh al Sham, ex Al Nusra,
legata ad al Qaeda), la Turchia di Erdogan e l'Iran di Rouhani e
dove gli USA (insieme ad inglesi e francesi) partecipano nel ruolo
di invitati. Quest'ultimo è un gesto magnanimo nella prospettiva
che Donald Trump e Putin possano trovare punti di incontro
geopolitici. Ignorate anche le Syrian Democratic Forces a
prevalenza curda: una concessione alle richieste di Ankara e,
guarda caso, gruppo oggetto del sostegno americano. Anche il ruolo
dell'ONU, che nei precedenti negoziati a Ginevra era centrale, ad
Astana appare molto circoscritto.
In una parte di mondo come il Medio Oriente dove la democrazia è
quasi inesistente, la forza del potente ha sempre una forte
attrattiva. E la Russia oggi gode della fama del più forte, con un
effetto domino su tutto lo scacchiere regionale.
I paesi del golfo
I Paesi del Golfo, che generalmente sono stati da sempre alleati
con gli USA, hanno percepito il disimpegno americano come una
minaccia alla loro stabilità e, di conseguenza, si sono avvicinati
alle istanza russe. La stessa Arabia Saudita aveva già trovato
un’intesa di massima con la Russia sui prezzi del petrolio nel
Summit del G20 a Hangzhou, in Cina, nel settembre 2016. Ma quel
che più avvicina i sauditi ai russi è il pericolo che questi
ultimi possano assecondare gli iraniani sia nella diffusione dello
sciismo nella regione con regimi favorevoli a Teheran, sia
interferire negativamente nelle vicende yemenite, dove la guerra
di re Salman e del figlio Mohammed contro gli Houthi sta
incontrando sempre maggiori difficoltà.
E' nota l'avversità dei Saud al regime alawita siriano, ai suoi
legami con l'Iran ed al pericolo che incombe per i Paesi del Golfo
se si crea una contiguità territoriale, politica e militare tra
Iran, Iraq e Siria. L'unica maniera per disinnescare questo
pericolo è trovare un accordo con Mosca e, parallelamente,
coltivare un rapporto stretto anche con la Turchia. Ciò che unisce
Ryad ad Ankara è la comune percezione del pericolo sciita, ciò che
invece li divide è il diverso orientamento verso i Fratelli
Musulmani, osteggiati da Ryad, ma molto vicini all'AKP di Erdogan.
Iran
Russia e Iran sono oggi alleati sia nel supportare il regime di
Assad sia nel combattere il terrorismo islamico dell'ISIS. Sono
alleati in Siria, sono sullo stesso fronte in Iraq. Il terrorismo
di al Bagdhadi è di matrice sunnita e su questa base nasce
l'alleanza tra Mosca e Teheran. Inoltre, a fianco dei soldati di
Assad combattono volontari sciiti, i pasdaran iraniani e gli
Hezbollah armati e finanziati da Teheran. Quindi l'alleanza
Mosca-Teheran è a tutti gli effetti militare. Dall’agosto 2016
l'Iran ha concesso ai bombardieri russi l'utilizzo della base
aerea di Hamadam per gli interventi in Siria.
E' un'alleanza favorita dall'arrivo a Teheran di un presidente
moderato come Hassan Rouhani che ha favorito il superamento delle
incompatibilità di ordine religioso e che poi è trascesa anche in
maggiori rapporti commerciali ed economici. Dalla fine
dell'embargo militare l'Iran ha incominciato a comprare armamenti
russi, compresi i famosi sistemi missilistici antiaerei a lunga
gittata S300, e nel frattempo l'interscambio commerciale nel 2016
è aumentato dell'80%. Dagli 1,6 miliardi dollari nel 2014, si è
arrivati agli oltre 10 miliardi del 2016. Sul piano finanziario
sono stati sottoscritti accordi bilaterali in campo bancario e
sull'utilizzo delle rispettive valute. Nel campo energetico si
parla di installare, con l'assistenza russa, di piattaforme in
mare per ulteriori trivellazioni e sfruttamenti petroliferi. Nel
dicembre 2015 la Gazprom russa e la Iranian Central Oil Field
Company hanno firmato due accordi di cooperazione nello
sfruttamento di giacimenti. E già si ventila l'ipotesi che l'Iran
possa entrare nell'Unione Economica Euroasiatica, creata nel 2014
su iniziativa russa
In pratica il partenariato è oramai politico, militare ed
economico. Ovvero, una simbiosi strategica anche in prospettiva
futura. L'arrivo di Donald Trump alla presidenza americana, le sue
espresse perplessità verso l'accordo sul programma nucleare
iraniano recentemente sottoscritto dalla precedente
amministrazione, i suoi stretti rapporti con Israele forniscono,
in prospettiva, ulteriori motivazioni ad una vicinanza tra Mosca e
Teheran.

Recep Tayyip Erdogan
Turchia
La Turchia fino a qualche mese fa era ostile al regime siriano e
sosteneva l'opposizione armata che lo combatteva. Così facendo era
stata a lungo collusa con l'ISIS. Adesso, in un ennesimo
voltafaccia, si è riappacificata con la Russia e non è più ostile
ad Assad. Putin difficilmente coltiva una buona opinione di
Erdogan, tuttavia a Mosca fa gola attirare verso di sé la
principale potenze militare regionale e a maggior ragione se
questo Paese è membro della NATO. Come spesso avviene nelle
relazioni internazionali, più delle simpatie personali valgono gli
interessi. Ed in questo caso, l'interesse turco è quello di
evitare un’entità autonoma curda in Siria. Un pericolo che può
essere disinnescato solo con il sostegno russo. Se questo
significa ingoiare il rospo Assad, ben venga.
Egitto
Ai tempi di Gamal Abdel Nasser la Russia era molto vicina al
regime militare egiziano. Fatto fuori Nasser nel 1970, il Cairo è
finito in orbita americana. La primavera araba e l’avvento al
potere di Mohamed Morsi con il placet americano hanno lasciato i
russi in una posizione di attesa. Attesa ripagata dal golpe di
Abdel Fattah al Sisi che ha portato Mosca a migliorare i rapporti
con gli egiziani.
Adesso la Russia sta giocando la carta egiziana sia nelle vicende
libiche, dove entrambi i Paesi sostengono il generale Khalifa
Haftar, sia in quelle siriane, dove il Cairo è stato invitato a
partecipare ai negoziati ad Astana. Non casualmente, una recente
Risoluzione dell’ONU contro Assad presentata dai francesi al
Consiglio di Sicurezza è stata bocciata dalla delegazione
egiziana. E nel frattempo è stata riaperta l'ambasciata egiziana a
Damasco. A suggello della rinnovata collaborazione, nell’ottobre
2016 sono state svolte delle manovre militari congiunte in
territorio egiziano che hanno visto l'impiego di una quindicina di
aerei ed elicotteri e circa 600 militari russi. Era dal 1972,
quando i consiglieri militari sovietici furono cacciati
dall’Egitto dal presidente Anwar Sadat, che i russi non
partecipavano a delle esercitazioni con gli egiziani.
L'Egitto è centrale nella strategia di Putin. E' il Paese più
popoloso in Medio Oriente, è militarmente forte, proietta il suo
potere anche sulla Libia, ha una posizione geografica
importantissima nel controllo del canale di Suez, potrebbe, come
in passato, concedere basi militari a Mosca. A questo proposito,
sembra vi siano de negoziati in corso per riaprire la base di Sidi
Barrani dove far stazionare l'esercito russo in maniera
permanente. Ma ciò che oggi accomuna i due Paesi è la comune lotta
contro il terrorismo islamico che la Russia combatte in Siria e
l'Egitto nel Sinai.
Anche sul piano economico i legami sono diventati più stretti:
l'Egitto è entrato nell'Unione Economica Euroasiatica, sono stati
sottoscritti diversi accordi bilaterali, nell'interscambio è stato
adottato l'impiego della sterlina egiziana con l’obiettivo di
danneggiare le transazioni in dollari. Anche se l'Egitto è il
Paese che, dopo Israele, gode dei maggiori sostegni finanziari
americani, rimane l'interesse russo ad intromettersi in queste
relazioni bilaterali privilegiate.
Israele
L'intervento militare russo in Siria ha anche riavvicinato Mosca e
Tel Aviv. Tra i due Paesi è stato installato un filo diretto per
evitare incidenti militari nello spazio aereo siriano. Gli aerei
israeliani colpiscono all'occorrenza obiettivi degli Hezbollah e
lo fanno con il consenso russo. Anche in questo caso il
pragmatismo prevale. Israele non gradisce l'alleanza tra la Russia
e l'Iran, considerato il suo principale nemico nella regione. Nel
contempo, vuole mantenere la libertà di poter operare oltre i
propri confini. Israele sa anche che la Russia ha oggi un potere
contrattuale centrale nelle vicende militari siriane e nelle altre
aree di crisi mediorientali, mentre non è ancora chiaro cosa vorrà
fare il presidente Trump.
Tel Aviv preferisce una Siria stabile ad una in mano ai terroristi
islamici. E sa anche che prima o poi riaffiorerà il problema
palestinese ed una soluzione potrà essere trovata solo se la
Russia sarà parte di un accordo condiviso. Perché,
tradizionalmente, Mosca è sempre stata dalla parte dei
palestinesi. Da parte sua la Russia non ha alcun interesse ad
inimicarsi Israele, anche se quest'ultimo è il partner strategico
degli americani nella regione. Vuole anche accreditare un proprio
ruolo moderato, super partes in Medio Oriente e quindi anche
un'alleanza tattica con Israele è reputata, al momento, positiva.
Nella pratica, i due Paesi hanno interessi sovrapposti che li
inducono a collaborare. La visita di Benjamin Netanyahu a Mosca e
l'incontro con Vladimir Putin nel marzo 2017 sancisce questo stato
di cose.

Khalifa Benqasim Haftar
Libia
In Libia la Russia è entrata dando un palese, ostentato, supporto
al generale Khalifa Haftar, allineandosi agli interessi egiziani.
Haftar è considerato attualmente il personaggio militarmente più
forte nel caos libico. E questo pone, almeno in teoria, Mosca in
rotta di collisione con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU che ha
ribadito il proprio sostegno al premier Fayez al Sarraj.
La Russia sembra pronta a fornire assistenza militare al generale
Haftar, ma, nel contempo, ha ricevuto a Mosca al Sarraj. Anche in
questo caso, Mosca vuole essere parte della soluzione alla crisi
libica al fine di procurare dei vantaggi al proprio Paese. Un
ruolo di broker potrebbe fornire alla flotta russa una nuova base
navale sulle coste del Mediterraneo. Vale la pena ricordare che
nel 2011, quando il Consiglio di Sicurezza approvò l'intervento
militare internazionale in Libia, il delegato russo si astenne.
Mosca si presenta ai libici come uno dei Paesi che non ha colpe
sul decadimento sociale e sul caos scoppiato a seguito della
defenestrazione di Muammar Gheddafi.
Il ruolo di Putin
Vladimir Putin ha capito che l'intervento militare russo in Siria
avrebbe riempito il vuoto politico e militare lasciato dagli USA.
Anche se i rapporti tra Trump e Putin potrebbero riavvicinare i
due Paesi, non sarebbe nell'interesse russo concedere o rinunciare
ai guadagni politici e militari che l'impegno diretto del proprio
strumento militare ha prodotto in Medio Oriente.
Nel recente passato Trump aveva bollato come un “errore”
l'intervento americano in Iraq e Libia e indicato la Russia come
principale alleato nella lotta contro il terrorismo islamico.
Nella prima affermazione sembrerebbe ipotizzarsi un disimpegno
militare inl Medio Oriente, mentre nella seconda emergerebbe
invece l'intenzione di instaurare un rapporto privilegiato con
Mosca. Il neo-presidente americano ha in comune con Vladimir Putin
un approccio molto pragmatico e non ideologico sulle vicende
mondiali. E per entrambi il nazionalismo è centrale. Li divide la
tendenza all'isolazionismo di Trump e le ambizioni di rinverdire i
fasti dell’imperialismo russo nel mondo di Putin. L’ex uomo del
KGB è sicuramente un nostalgico dei fasti dell'Unione Sovietica.
Trump deve ancora palesarsi.
Vladimir Putin si è schierato a difesa del regime siriano in virtù
di un accordo di difesa congiunta che concedeva ai russi
l'utilizzo del porto di Tartous e dell'aeroporto di Latakia.
L'obiettivo iniziale, peraltro raggiunto con sufficiente facilità,
ha innescato una serie di vantaggi politici e militari di cui, con
spregiudicatezza, Putin si è appropriato. La Russia utilizza un
approccio politicamente multifunzionale: protegge il regime
siriano ma collabora con la Turchia; si allea con l'Iran ma
mantiene buoni rapporti con l'Arabia Saudita; appoggia la causa
palestinese ma dialoga con Israele; asseconda l'Egitto ma nel
contempo cerca di non sollevare la suscettibilità saudita o turca;
non combatte i curdi siriani ma non li invita ai negoziati di pace
ad Astana; sta con gli sciiti iraniani ma non alimenta un dissidio
coi paesi sunniti del golfo.
Un gioco equilibrismo dove l'unico filo conduttore è il rimanere
arbitro delle vicende mediorientali. Ed è un gioco che oggi ha
successo.