ESISTE UNA SOLUZIONE AL PROBLEMA SAHARAWI ?

Per
gli ultimi 40 anni la politica estera del Marocco è stata
condizionata dal contenzioso irrisolto dei Saharawi e dal
contrasto al riconoscimento della Repubblica Araba Democratica dei
Saharawi (RASD ). E' una situazione che Re Mohammed VI ha
ereditato dal padre, Hassan II, e che nei fatti ha sinora
condizionato sia un eventuale ruolo del Paese in Africa (dove
tuttora, in ambito African Union, la RASD è rappresentata e il
Marocco ne è fuori dal 1984 quando l'organismo si chiamava
"Organizzazione per l'Unità Africana") ed nel contempo danneggia i
rapporti internazionali, sopratutto con l'ONU.
Il RASD deve sparire
Adesso sembra che il monarca marocchino intenda in qualche modo
risolvere il contenzioso, trovando la maniera di rientrare
nell'African Union. Lo intende fare, comunque, non derogando da
qualsiasi concessione diplomatica. I circa 150.000 soldati
marocchini che occupano oltre il 75 % del territorio saharawi,
rimarranno lì e non esistono margini per una trattativa sotto
l'egida dell'ONU che possa produrre un qualsivoglia risultato
apprezzabile.
La strada che adesso sta seguendo il Marocco è quella di
delegittimare l'esistenza della RASD e quindi, se non esiste una
RASD non esiste nessun diritto leso per la popolazione saharawi. E
per fare questo è necessario che sia proprio l'African Union a non
riconoscere la RASD perchè - ed è questo un limite o un punto
irrinunciabile della politica marocchina - il Marocco non entrerà
nell'organizzazione africana finché ci sarà la RASD.

Il Re del Marocco Mohamed VI
Il ‘lobbying’ del Marocco
Tutto questo passa quindi nel convincere i vari Paesi africani a
ritirare il loro riconoscimento ai saharawi e quindi portare
all'espulsione della RASD dall'African Union. Ecco perché, da un
pò di tempo a questa parte, il Re del Marocco sta visitando varie
nazioni africane facendo opera di convincimento. Lo fa anche con
la diplomazia dei soldi perché la Banca Marocchina per il
Commercio Estero è lo strumento per investimenti e elargizioni ai
vari paesi. Ha iniziato dai paesi francofoni (dove con
l'assistenza francese la persuasione è più facile), per poi
passare a quelli anglofoni, questa volta giocando sul fattore
islamico, visto che la dinastia alawita dei re marocchini discende
direttamente dal Profeta.
Il combinato disposto soldi – promesse - religione sta piano piano
producendo risultati. Lo si è visto nell'ultimo summit a Kigali
dove 28 Paesi (su 54) hanno firmato una petizione per sospendere
la presenza della RASD nell'organizzazione. Una pioggia di
investimenti in Senegal, la costruzione di una fabbrica di
medicinali e accordi per la costruzione di alloggi popolari in
Rwanda, la bonifica di una baia in Costa d'Avorio (dove adesso il
Marocco è diventato il primo partner commerciale), e poi ancora
Gabon, Zambia, Tanzania (dove finanzierà una moschea), Etiopia,
Madagascar, Nigeria.
Tutti paesi visitati personalmente dal Re, accompagnato sempre da
imprenditori privati e responsabili di agenzie di stato, giocando
anche sull'approccio molto semplice che il sovrano ha nel
relazionarsi con la gente e che crea empatia. Ma non solo lui si
sta muovendo adesso nel continente. Altrettanto sta facendo il
ministro degli esteri Mezouar, il suo consigliere per la sicurezza
ed uno staff agguerrito di diplomatici.
Gli ostacoli ai piani del Marocco
Ma tutto questo impegno diplomatico e finanziario trova ancora
degli ostacoli. Il primo ostacolo è rappresentato dall'Algeria che
è il Paese che più di tutti è implicato nel supporto diplomatico
ma anche finanziario e politico della RASD. Senza il suo sostegno,
la sua disponibilità ai campi profughi in Tindouf, i saharawi non
avrebbero possibilità di sopravvivere. E l'Algeria è comunque uno
dei paesi più importanti dell'African Union. Per di più il
Dipartimento per la Pace e la Sicurezza di questa organizzazione,
che sarebbe in prima linea a dirimere il contenzioso RASD/Marocco,
è retto da un diplomatico algerino. Anche all'interno dell'African
Union c'è sicuramente la piena disponibilità a riammettere il
Marocco ma non c'è altrettanta disponibilità a disconoscere la
RASD.
A novembre, in un vertice Arabo/Africano organizzato in Guinea
Equatoriale, l'African Union ha insistito per la presenza della
delegazione del Polisario e quindi il Marocco ha ritirato la sua
partecipazione. Un esempio seguito da alcuni Paesi della Lega
Araba del Golfo Persico (che comunque ha sempre sostenuto la causa
marocchina nella vertenza con la RASD) con l'aggiunta della
Somalia (che è contemporaneamente membro dell'A.U. e della Lega
Araba).
L’insistenza del Marocco
Come detto, il Marocco è ancora oggi arroccato sul fatto che la
RASD è uno "pseudo" Stato e che non ha diritto ad essere membro
dell'organizzazione africana.
Lo ha ribadito il 6 novembre lo stesso Mohammed VI , commemorando
il 41simo anniversario della Marcia verde (quella con cui il
territorio saharawi era stato occupato) quando ha specificato che
il Marocco ha un vivo interesse a recitare il suo ruolo in Africa
, che ha uno "stupefacente" sostegno per rientrare nell'Africa
Union ma che c'è una "incontrovertibile" identità marocchina sul
Sahara Occidentale e nessuna possibilità a rinunciare ai propri
"diritti legittimi".
Sicuramente il tempo, la persuasione dei soldi, l'opera sottile
della diplomazia giocano a favore del Marocco. La RASD era
riconosciuta da oltre 85 Paesi nel 2008 ed adesso sono meno di 40.
Sta quindi perdendo sostegno internazionale.
Inoltre la RASD non è membro dell'ONU (viene etichettato come
"territorio non autonomo") né della Lega Araba,
dell'Organizzazione per la Conferenza Islamica o dell'Unione del
Maghreb. Nessun Paese importante, nessun membro permanente del
Consiglio di Sicurezza, l'ha riconosciuta. L'ultimo baluardo è e
rimane l'African Union.
E' pur chiaro che l'appoggio internazionale che uno Stato riceve è
direttamente proporzionale ai benefici che tale riconoscimento
procura e nel caso dello Stato Saharawi, un piccolo popolo
(500.000 ufficialmente ma forse non oltre 200.000), nessuna
risorsa (le miniere di fosfati sono sotto controllo marocchino) o
importanza strategica, tutto gioca a favore di Rabat.
Ma forse l'unico punto di forza dei saharawi è il principio di una
terra che è stata occupata militarmente, ed al suo popolo, nel
frattempo, con vari brogli e prevaricazioni, è stato sinora
impedito il diritto a tenere un referendum
sull'autodeterminazione.
L’ONU che fa?
E' dal 1991 che la MINURSO, la missione ONU che è presente nell'ex
Sahara Occidentale, tenta di realizzare questo referendum senza
riuscirci. I veti incrociati bloccano la lista di chi dovrebbe
votare e non esistono anagrafe da consultare. I saharawi sono un
popolo nomade che tende a confondersi - basandosi su identità
linguistiche - con le tribù della Mauritania e c'è il sistematico
ostracismo marocchino che tende a inquinare il quadro demografico
locale immettendo propria popolazione nell'area occupata.
Quindi, un ostacolo alle mire marocchine è oggi rappresentato
dall'ONU.
A marzo il Segretario Generale dell'ONU Ban Ki Moon si è recato
nell'area ed ha definito l'annessione marocchina "occupazione".
Ban Ki Moon ha inoltre illustrato la situazione dei saharawi come
una "tragedia umanitaria dimenticata". La reazione di Rabat è
stata quella di espellere oltre 80 funzionari ONU che lavoravano
nella MINURSO.
Nel rinnovare il mandato della MINURSO per un altro anno, in
aprile scorso si è parlato anche di diritti umani che devono
essere migliorati. Inizialmente si era parlato di una
investigazione ONU nello specifico settore ma il supporto francese
nel Consiglio di Sicurezza ha poi annacquato l'approccio.
E' questo un punto sensibile della posizione marocchina che non
vuole essere messa sul banco degli imputati.
Quando, nel 2013, gli U.S.A. avevano supportato il monitoraggio
dei diritti umani nel Sahara Occidentale, il Marocco aveva sospeso
le esercitazioni militari congiunte.
Quando, nel febbraio del 2014, la Francia voleva indagare su
accuse di torture a carico del responsabile del Servizio di
sicurezza interno (La Direction Générale de la Surveillance du
Territoire - DGST) Abdel Latif Ammouchi, il Marocco aveva subito
bloccato la cooperazione giudiziaria con Parigi.
Un regime tollerato
Il Marocco fa comodo a tutti .L'Islam che professa Mohammed VI è
moderato, aperto, di scuola malekite, quindi legato alle
prevalenti tradizioni sufi dell'Africa. E quindi il ruolo del suo
Paese nel mondo arabo e africano è auspicato, ricercato, gradito.
Ultimamente ha anche riaperto le relazioni diplomatiche con
Teheran che aveva interrotto nel 2009.
La Francia, a parte il contenzioso del 2014, è tornata a essere
l'alleato principale di Rabat. Lo è anche nell’ambito del
Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Con la Spagna i rapporti sono
tornati soddisfacenti dal 2003 e con l'Algeria, nonostante il
confine rimanga tuttora chiuso, almeno si dialoga, con alterne
fortune, dal 1988. Anche con Israele, i cui rapporti diplomatici
erano stati interrotti nel 2000, ci sono segnali per un
riavvicinamento.
La NATO, con un accordo del 2010 ed un altro del 2013, ha
instaurato una cooperazione individuale con il Marocco,
associandolo alla stregua di un membro esterno
dell'Organizzazione. A questo punto che ci siano violazioni dei
diritti umani, che il Sahara Occidentale sia stato occupato
abusivamente, che venga osteggiata ogni soluzione negoziata del
problema saharawi, non interessa quasi a nessuno.
Il 53enne monarca marocchino ha peraltro disinnescato l'effetto
contagio della cosiddetta primavera araba, attuando una riforma
costituzionale ed oggi il Paese è governato da un Partito
filo-islamico moderato come il Partito per la Giustizia e lo
Sviluppo ( PJD). Certo, il Paese non è esente dai problemi
connessi al terrorismo islamico. Varie cellule dell'ISIS e di Al
Qaida vi sono state scoperte e smantellate recentemente.
Nelle file del Califfo ci sono oggi circa 1500 volontari
marocchini di cui almeno 300 in Libia. Con la prossima disfatta
militare dell'ISIS incombe il pericolo di quelli che cercheranno
di rientrare nel Paese.
Nel maggio scorso l'ISIS, in uno dei suoi tanti proclami, aveva
minacciato di colpire il Paese. Comunque il Marocco rappresenta
oggi uno dei pochi esempi di Islam politico moderato.

Il defunto Segretario Generale del Polisario, Mohamed Abdulaziz
Esiste una soluzione?
Se il Marocco risolverà il problema saharawi, che comunque
condiziona la politica del Paese da oltre 40 anni, avrà
sicuramente risolto uno dei suoi più grossi problemi in politica
estera. Una opzione che potrebbe essere giocata da Rabat è quella
di fare portare avanti una mediazione dall'African Union che
negozi e conceda ai saharawi una certa autonomia locale
nell'ambito però del riconoscimento marocchino e dell’annessione
del territorio del Sahara Occidentale. Passare quindi da una
posizione de facto (in quanto quel territorio è già occupato) ad
una posizione de iure. Ovviamente, a quel punto, la RASD non
avrebbe più necessità di esistere.
Tutto questo potrà avvenire se il prossimo Presidente dell'African
Union, che verrà individuato ed eletto nel gennaio 2017, si
dimostrerà favorevole a questa soluzione. La lobby marocchina è
già in opera per questo. Senegal e Rwanda sono in prima fila a
sostenere il Marocco.
Ma bisogna adesso anche vedere cosa accadrà in ambito Polisario
dopo la morte, in maggio scorso, del suo Segretario Generale
Mohamed Abdulaziz che era un uomo molto amato e che comunque aveva
cercato sempre di evitare una ripresa dei combattimenti contro il
Marocco dopo l'accordo del 1991. Il rischio è che la frustrazione
della gioventù saharawi (il 70% dei rifugiati nei campi sono sotto
i 20 anni) non trovi più ostacoli. Alla morte di Abdulaziz
l'Algeria ha dichiarato una settimana di lutto ufficiale e questo
conferma che il sostegno di questo Paese alla causa saharawi è
tuttora molto forte.