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VERSO UN’ATOMICA SAUDITA?


atomic


L’accordo sottoscritto il 14 luglio 2015 fra Stati Uniti e gli altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più Germania da un lato ed Iran dall’altro, il cosiddetto “Piano complessivo congiunto di Azione” (Joint Comprehensive Plan of Action), è stato l’atto finale di una trattativa durata oltre 13 anni fra l’alternarsi di minacce, accuse, controlli internazionali rifiutati e/o accettati, ma soprattutto molti momenti di tensione.

Quell’accordo è oggi osteggiato dal neo-presidente americano Donald Trump che ne vorrebbe la cancellazione o la modifica in chiave molto più restrittiva. Una richiesta che vede Israele e Arabia Saudita al fianco degli Stati Uniti con il palese appoggio egiziano. Ostili invece ad una revisione dell’accordo sono gli altri Paesi che lo hanno sottoscritto e che temono che l’irrigidimento americano possa produrre ulteriori tensioni in Medio Oriente.

La recente visita dell’erede al trono saudita Mohammed bin Salman a Washington si è incentrata soprattutto sul pericolo nucleare iraniano e sulla eventuale opportunità che anche l’Arabia Saudita possa acquisire la tecnologia necessaria al suo sviluppo.

Dalla parte dell’Iran


Per quanto riguarda l’Iran, la minaccia di nuove sanzioni americane avrebbe efficacia solo se la Russia e la Cina fossero d’accordo, cosa al momento non prevedibile. L’Iran è oggi pedina indispensabile per Mosca negli assetti futuri nella regione e soprattutto in Siria. Un Iran forte è nell’interesse dei russi anche per controbilanciare il protagonismo militare turco, come hanno dimostrato gli eventi ad Afrin.

Per quanto riguarda la Cina, invece, il coinvolgimento negli eventi mediorientali è limitato. Tuttavia, come avvenuto in passato per le velleità nucleari siriane, Pechino potrebbe lasciare mano libera alla Corea del Nord per un eventuale aiuto al programma nucleare iraniano.

Nelle sue linee generali, un irrigidimento americano nei riguardi dell’Iran consegnerebbe ancora di più gli interessi strategici di Teheran nelle mani di Mosca e di Pechino.

Dalla parte dell’Arabia Saudita


L’idea che anche l’Arabia Saudita possa acquisire una capacità nucleare solleva molti dubbi da parte di Israele, che vuole mantenere il primato di essere l’unico Paese della regione a possedere l’ordigno nucleare. Mohammed bin Salman può però contare sull’amicizia di Jared Kushner, genero del Presidente Trump, nonché ebreo ortodosso.

Nella contrapposizione con Mosca e finita la presidenza Obama, gli Stati Uniti hanno ripreso gli stretti rapporti con i sauditi e, oltre ai recenti accordi per la vendita di armi, anche il settore nucleare potrebbe essere oggetto di collaborazione.



mohammed bin salman

Mohammed bin Salman


Un interesse di lunga data


In passato l’Arabia Saudita ha manifestato più volte il suo interesse per il settore nucleare. Già nel 2006 i sauditi avevano lanciato un programma congiunto per lo sviluppo di un programma nucleare a fini pacifici con gli altri membri del Gulf Cooperation Council. Successivamente erano state sottoscritte delle intese con società operanti nel settore provenienti in primis dagli Stati Uniti poi da Francia, Argentina, Cina, Corea del Sud, Inghilterra, Kazakistan e Russia.

Nel 2010 un decreto reale aveva sancito la creazione di un organismo pilota che portasse avanti un progetto di lungo termine per costruire 16 reattori nucleari da impiegare per la produzione di energia elettrica e per la desalinizzazione delle acque marine. Il progetto prevedeva inizialmente che, entro il 2032, il 20% del fabbisogno energetico saudita fosse soddisfatto dal nucleare. Centrali da adibire a scopi civili – proprio come quelle iraniane – ma che implicano l’accesso al know how nucleare da parte saudita. Il programma non è mai partito e l’ipotesi di costruire i 16 reattori è stata poi spostata al 2040. Tuttavia, gli accordi di cooperazione nucleare sottoscritti nel tempo hanno dato particolare impeto a questo progetto.

Lo scorso febbraio, il Segretario per l’Energia americano Rick Perry ha iniziato a trattare con l’Arabia Saudita per il trasferimento di materiale nucleare purché vengano rispettati i vincoli di non-proliferazione. Anche se firmataria del Trattato di Non Proliferazione Nucleare dal 1988 e di accordi con l’IAEA (International Atomic Energy Agency), rimane inequivocabile il fatto che per l’Arabia Saudita l’eventuale passaggio da un uso civile del nucleare a quello militare sia breve. Tuttavia, resta il problema delle infrastrutture, il tempo necessario a costruirle, gli equipaggiamenti da installare. Quindi, anche volendo accreditare l’interesse malcelato saudita di poter acquisire una capacità nucleare militare, i tempi sono lunghi.

A differenza di Israele, Sudafrica, Corea del Nord, che hanno portato avanti i propri programmi nucleari in maniera clandestina, nel caso saudita il percorso appare avvenire nella legalità internazionale. Ed anche per questo i tempi tenderanno ad allungarsi. Collaterale alla eventuale capacità nucleare militare si pone il problema missilistico, cioè di un vettore a lunga distanza che possa portare l’ordigno nucleare sull’obiettivo nemico. Anche sotto questo aspetto l’armamento saudita è deficitario anche se gli F-15 in dotazione alle forze aeree saudite possono, all’occorrenza, trasportare un ordigno nucleare.

Il ruolo del Pakistan


Il Paese chiave per le istanze nucleari saudite, almeno quelle di carattere militare, è il Pakistan a cui l’Arabia Saudita si era già rivolta in passato. Il programma nucleare pakistano era stato a suo tempo finanziato dai sauditi e, benché non esistano oggi elementi di conferma, sembra che 4 dei 7 ordigni nucleari pakistani siano stati allocati nella disponibilità saudita. Non è chiaro se siano materialmente in Pakistan – più probabile – o in Arabia Saudita, resta il fatto che in una situazione di emergenza anche Riad potrebbe sfruttare un potenziale nucleare.

La posizione di Israele


Il Paese più interessato affinché il Medio Oriente rimanga un’area denuclearizzata è Israele. Si parla di un arsenale di circa 200 testate nucleari in barba alle convenzioni internazionali; tale circostanza costituisce un forte deterrente nei riguardi dei Paesi arabi che gli sono ostili. Così come sono scoraggiati i tentativi dei vicini di dotarsi di tecnologia nucleare.

Nel settembre del 2007 le velleità nucleari siriane, portate avanti con l’assistenza nordcoreana, erano state debellate con un raid aereo contro un centro di ricerche a Deir Ezzor. E non è un caso che proprio recentemente Tel Aviv abbia rivendicato l’operazione militare, cosa che generalmente non avviene, proprio per mandare un monito a Teheran.

Andando indietro nel tempo, nel 1981 Israele aveva distrutto con un’altra operazione aerea un reattore nucleare costruito in Iraq con l’assistenza francese. Il fatto più emblematico è che all’epoca il progetto nucleare iracheno era stato finanziato dai sauditi sia per appoggiare Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran, sia per poi poter acquisire ordigni nucleari qualora il progetto fosse andato in porto. La mano saudita è stata presente anche in un progetto nucleare iraniano ai tempi dello Shah.

Una convergenza di interessi


Un attacco aereo israeliano contro le infrastrutture nucleari iraniane incontrerebbe delle difficoltà tecniche dovute alla distanza dagli obiettivi, che permettere agli iraniani di anticipare la minaccia, ed avrebbe una conseguenza inevitabile: aprire un altro fronte di guerra. Se fosse stata un’operazione facilmente attuabile già sarebbe stata messa in atto anni or sono.

Israele tiene aperta questa eventualità, magari come ultima ratio. Lo confermano indirettamente i contatti informali con i sauditi per ottenere la disponibilità dello spazio aereo del reame ai voli commerciali israeliani verso l’India. Questa è una tattica utilizzata spesso da Israele in questo tipo di azioni: avvicinarsi agli obiettivi sfruttando la copertura di rotte commerciali.

La deterrenza dell’ordigno nucleare israeliano ha valenza solo in assenza di concorrenti con la stessa capacità. E quindi vale per l’Iran e vale anche per i sauditi. Oggi vi è una convergenza di interessi tra Arabia Saudita e Israele contro l’Iran. Un’alleanza basata sulla convenienza tra due Paesi che si trovano sul fronte opposto su molte altre questioni mediorientali. Alleati oggi, ma forse non più domani. Ed è per questo che Israele osteggia il nucleare saudita.

donald trump

Donald Trump


Il pericolo di un Medio Oriente nuclearizzato


L’approccio di Donald Trump è, come confà al personaggio, troppo irruento e diplomaticamente
non tiene conto delle conseguenze delle proprie iniziative. Gli Stati Uniti sembrano voler riguadagnare il prestigio perso nella regione avallando iniziative pericolose. Assecondare le istanze nucleari saudite per contrapporsi a quelle iraniane è una di queste.

L’Arabia Saudita è un Paese importante sia dal punto di vista commerciale, sia per i suoi giacimenti petroliferi. Ma è anche il Paese che più di altri ha alimentato il terrorismo islamico. Oggi, nonostante le pseudo-riforme introdotte da Mohammed bin Salman, il sistema sociale saudita e la legittimità della stessa casa reale si basano sempre sul radicalismo wahabita. Dare tecnologia a Paesi a rischio è sempre controproducente e la prudenza non dovrebbe mai essere troppa.

Nel 1967 gli Stati Uniti avevano deciso la fornitura di 5 reattori nucleari all’Iran. E solo successivamente lo Shah, bloccando il progetto, aveva deciso di aderire al Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Se invece quel progetto fosse andato avanti, oggi l’arma nucleare iraniana non sarebbe un’ipotesi ma una certezza. Il fatto che un Paese come il Pakistan, instabile, legato all’estremismo islamico, abbia ordigni nucleari dovrebbe essere di insegnamento per il futuro. I fatti dimostrano invece il contrario.

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