LA GERONTOCRAZIA SAUDITA IN UN PAESE SENZA PRIMAVERA

Fahd bin Abdulaziz Al Saud
In
Arabia Saudita il potere è sinonimo di stabilità ed il problema si
pone esclusivamente quando muore un sovrano. Il criterio per la
successione è relativamente semplice: la discendenza diretta dal
fondatore del regno. Tuttavia, la questione diventa maledettamente
complicata in virtù di una serie di regole non scritte e del
ginepraio di una corte reale dove, tra figli legittimi,
illegittimi, matrimoni e concubine, si contano, per
approssimazione, dai 4000 ai 7000 membri. E' per questo motivo che
il successore si designa nell’ambito di una trattativa dai
contorni tribali e familiari nella quale l’elemento prevalente è
soprattutto l’anzianità, ovviamente sulla linea maschile. Una
monarchia autoreferenziale in un Paese senza Costituzione,
incarnata dal Corano e dalla Sunna, e con una legge basica, la
Sharia.
Re Fahd bin Abdulaziz Al Saud aveva stabilito, con un decreto del
1 marzo 1992, che la successione non dovesse basarsi soltanto su
criteri di anzianità, ma che, al contempo, fosse richiesto un
consenso familiare. Il decreto stabiliva anche che potevano essere
inseriti nella linea di successione anche i nipoti del fondatore e
che spettava al re il potere di dismettere un erede designato
dalla famiglia facendo prevalere dei criteri di attitudine su
quelli di anzianità. Inserendo i nipoti nella linea di successione
re Fahd aveva reso più complicata, se non litigiosa, la
designazione di un successore.
Il suo successore, Abdullah bin Abdulaziz Al Saud, aveva invece
creato, il 7 dicembre 2007, un cosiddetto “Consiglio della
Fedeltà” (Allegiance Council) preposto a districarsi nella scelta
delle linee di successione. Un organismo nel quale il Re nominava
tre potenziali Principi ereditari sui quali poi il predetto
Consiglio effettuava la selezione. Questo organismo
comprendeva/comprende i figli del fondatore Abdulaziz ibn Abdul
Rahman ibn Faisal ibn Turki ibn Abdullah ibn Muhammad Al Saud, i
figli di quei fratelli/fratellastri del fondatore deceduti o non
in grado di accedere al trono, i figli del monarca – il solo re
Abdullah ha avuto 4 mogli, 7 figli maschi e 15 femmine – e del
Principe ereditario.
Re Abdullah è morto il 23 gennaio 2015 all'età di 90 anni a
seguito di una lunga malattia . Era sul trono saudita dal 2006,
ovvero dal decesso del fratellastro Fahd, a lungo malato ed
inabile a governare, avvenuta all’età di 75 anni. Al posto di
Abdullah è subentrato adesso un altro fratellastro, Salman bin
Abdulaziz al Saud, di quasi 80 anni e che si sospetta sia malato
di Alzheimer. Salman ha avuto in passato un ictus curato negli
Stati Uniti che gli ha lasciato dei problemi ad un braccio.
Questa è oggi la fotografia del sistema politico saudita dove
prevale l'anzianità, si prescinde dalle condizioni di salute del
sovrano o del suo erede e dove la legittimità di chi sale al trono
è il mero frutto di un intrigo di corte. Il dato sanitario ha la
sua influenza perché il re nel sistema saudita svolge, de facto,
anche le funzioni di Primo Ministro.
Il ritorno dei Sudairi
Con l'ascesa al trono di Salman ritorna in auge il clan dei
Sudairi, dal nome di una delle mogli più influenti del fondatore
del regno Abdulaziz. La famiglia aveva già dato un re al regno
saudita in passato con il defunto Fahd. Salman ha avuto tre mogli
e si presenta sul palcoscenico politico saudita con un seguito
familiare non indifferente: cinque figli maschi ed una femmina dal
primo matrimonio (ma due maschi sono morti), un maschio dal
secondo matrimonio, altri cinque maschi dal terzo matrimonio.
Tutti i figli maschi sono, de iure, automaticamente nominati nel
Consiglio della Fedeltà.
L’erede al trono designato è diventato adesso il principe Muqrin
bin Abdulaziz Al Saud che, da terzo nella linea di successione,
avanza ora di una posizione. Alla sua nomina è corrisposto
l'incarico di Primo Vice Primo Ministro. Il principe è anch'egli
un fratellastro di Salman poiché è nato da una donna yemenita
prima cameriera di corte e poi 18sima moglie del fondatore. Questa
circostanza, agli occhi degli altri pretendenti al trono, rende
alquanto discutibile il suo ruolo di principe ereditario.
Il re Salman ha poi nominato come secondo erede il figlio di un
altro suo defunto fratellastro, il Principe Mohammed bin Nayef.
Nayef è anch'egli un Sudairi e suo padre, Nayef bin Abdul-Aziz Al
Saud, sarebbe asceso al trono al posto di Salman se non fosse
morto repentinamente nel 2012. Con una sorta di compensazione a
posteriori, adesso il figlio di Nayef entra nella linea
ereditaria. Al contempo viene ribadito dal nuovo sovrano saudita
il concetto che, tra le varie famiglie del fondatore, quella dei
Sudairi era ed è la più influente. Mohammed bin Nayef diventa così
Secondo Vice Primo Ministro, mantiene l’incarico di Ministro
dell’Interno e ha quindi tutto lo spazio mediatico per coltivare
la sua fama di paladino della lotta contro il terrorismo di Al
Qaeda.
Visto così il meccanismo della successione sembrerebbe funzionare
senza intralci. Colpisce però la celerità con cui il sovrano ha
provveduto immediatamente a ristabilire la linea di ereditarietà
al trono con la nomina del nipote Mohammed. Sulla scelta del re
Salman, oltre alla necessità di dare un segnale di stabilità nella
galassia della Corte, hanno avuto sicuramente un peso le sue
precarie condizioni di salute.

Abdullah bin Abdulaziz Al Saud
Una nuova generazione
Tuttavia, un'ombra aleggia sul sistema di successione. Se alla
morte di Salman dovesse succedergli Muqrin, questi sarà l'ultimo
figlio del fondatore ad accedere al trono. Dopo di lui verrà il
turno dei nipoti. Una nuova generazione di personaggi con tutto
ciò che la circostanza comporta in termini di modi di pensare e di
agire. Inoltre, con l'avvento della terza generazione del
fondatore i regni diventeranno improvvisamente più lunghi. Muqrin
ha oggi 70 anni, ma suo nipote Mohammed ne ha soli 54.
Basterà la tradizione di corte ad ammortizzare le velleità di
altri aspiranti quando il trono rimarrà a lungo nelle mani di un
unico personaggio? Inoltre, sulla linea dei 26 figli figli di
Abdulaziz la scelta era già problematica, ma prevaleva in linea
prioritaria l’anzianità. I nipoti, invece, sono molti di più e la
nomina di Mohammed come principe ereditario non rispetta i criteri
di anzianità legati all’età dei rispettivi genitori. Questa
circostanza apre, in prospettiva, la strada a diversi contenziosi.
Non è pertanto casuale che una delle prime iniziative del sovrano
sia stata quella di favorire la propria famiglia: il Principe
Mohammed bin Salman, primo maschio della terza moglie, è stato
nominato, alla giovane età di 34 anni, Ministro della Difesa e
Segretario Generale della Corte Reale, posizioni che lo lanciano
verso alti traguardi. Insieme al cugino Mohammed bin Nayef,
Mohammed bin Salman condivide la responsabilità sugli apparati di
sicurezza, FF.AA. e Guardia Reale. Un’altra caratteristica non
scritta dell'ascesa al trono saudita è, infatti, l'aver avuto
responsabilità nel settore della sicurezza.
Un terzo personaggio che ricopre analoghe incombenze è il Principe
Mutaib bin Abdullah bin Abdulaziz Al Saud, 62 anni, titolare del
Ministero della Guardia Nazionale. Quindi anche lui è un
potenziale candidato al trono.
E' in questo gioco di scacchi che si compendia la stabilità del
regime saudita finché le regole verranno rispettate ed i
contendenti saranno corretti. Mohammed bin Salman viene descritto
come un personaggio aggressivo ed ambizioso. Bisogna vedere se si
atterrà alle regole anagrafiche essendo ancora molto giovane. Il
contenzioso, se esploderà, sarà con il cugino Mohammed bin Nayef
anche perché entrambi presiedono degli organismi che hanno un
impatto quotidiano nella conduzione del Paese: il figlio di Nayef
è a capo del Consiglio per gli Affari Politici e della Sicurezza,
il figlio di Salman è alla testa del Consiglio per gli Affari
Economici e dello Sviluppo. Questa è una situazione di potenziale
conflittualità.

Salman bin Abdulaziz al Saud
Riforme inevitabili
Dietro all’avvicendamento dei sovrani e le loro caratteristiche
anagrafiche si celano i differenti scenari politici potranno
essere sviluppati.
In un Paese come l'Arabia Saudita, dove i cambiamenti, qualora ci
fossero, risultano socialmente impercettibili, dissertare sul
fatto se Abdullah era da ascriversi tra i regnanti riformatori –
per aver aperto il Consiglio Consultivo o “Shura” anche alle
donne, concesso loro il diritto di voto alle municipali, reso più
libero l’accesso a internet – o se l’attuale monarca Salman sia da
considerarsi un conservatore è un argomento meramente accademico.
E' evidente però che la successione geriatrica non aiuti in tal
senso.
La Primavera Araba, nell'accezione di rivolgimenti politici e
sociali, non ha ancora attecchito nel mondo della famiglia Saud.
L’unica cosa che può differenziare Salman dal suo predecessore è
il fatto che quest’ultimo è molto più legato all’establishment del
clero wahabita e all’oltranzismo religioso che questa dottrina
radicale diffonde nel mondo. E' però bene ricordare come il legame
tra la famiglia reale saudita ed il clero wahabita sia un elemento
indissolubile per la sopravvivenza del regno in quanto l’uno
legittima l’altro in un regime di reciprocità. Tuttavia, la
maggiore o minore vicinanza al wahabismo influenza i rapporti con
lo sciismo. Abdullah , in questo senso, era molto aperto, Salman
lo appare molto meno. Altresì, nessuno deve dimenticare la cultura
wahabita è stato il riferimento ideologico nella nascita di Al
Qaeda di Osama bin Laden ed è tuttora fonte di ispirazione di
molti movimenti estremisti islamici. Un wahabismo che in patria
assicura stabilità e legittima la monarchia e che all'estero,
invece, fomenta il terrorismo.
Le sfide prossime future del sovrano saudita – ed in questo non
verrà aiutato né dall’età, né dalla sua cultura – sono rivolte ad
un mondo continuo mutamente che non potrà permettere ancora a
lungo l'immobilismo che contraddistingue l'evoluzione della
società saudita. I giovani principi, sotto questo aspetto,
sarebbero molto più adeguati. Sono portatori di istanze di
cambiamento, meno legati ai vincoli tribali a differenza dei loro
padri che, invece, sono stati educati e obbligati dal fondatore
Abdulaziz a passare parte del proprio tempo insieme alle tribù. Le
nuove generazioni invece hanno studiato all’estero e assaporato i
concetti di democrazia e di libertà di costumi.
A confronto del resto del mondo, l'Arabia Saudita resta un Paese
senza partiti e libertà politiche, con una limitata libertà di
stampa e dove la condizione femminile ed il rispetto dei diritti
umani sono da quarto mondo. Tutte queste riforme politiche e
sociali dovranno prima o poi essere affrontate. E questo avverrà
verosimilmente con un sovrano progressista. L’Arabia Saudita è
l’unico Paese al mondo dove le donne sono sotto la tutela di un
tutore legale – nell'ordine il padre, il marito o il figlio – che
decide della loro vita, dal matrimonio ai viaggi, dagli studi al
lavoro. Il regno è anche la stessa nazione dove due donne sono
state deferite ad un corte per terrorismo per aver guidato la
macchina. Questo è il combinato disposto di una religione
applicata radicalmente e di un retaggio tribale che ancora
determina le relazioni ed i rapporti sociali.
Relazioni esterne
A mutare dovrà anche essere la politica estera dell'Arabia
Saudita. La penisola arabica è oggi attraversata da forti
tensioni, le minacce si addensano ai confini del Paese, al nord
con l’Iraq come al sud con lo Yemen. Sullo sfondo c’è la
competizione con il Qatar per la guida del mondo sunnita e con
l’Iran per la lotta contro lo sciismo. Tante sfide e tanti
pericoli. A fronte di scenari in ebolizzione continua,
l’immobilismo saudita non è certo pagante.
Il defunto re Abdullah, oltre alle timide riforme sociali miranti
ad evitare, con successo peraltro, una primavera araba sul proprio
territorio, aveva anche cercato, quando le condizioni di salute
glielo avevano consentito, di recitare un ruolo di politica
estera. Aveva proposto un piano di pace tra israeliani e i
palestinesi e capito che il pericolo che incombeva sull'Arabia
Saudita del diffondersi del radicalismo religioso e del
conseguente terrorismo islamico. Come detto, Salman appare meno
sensibile a questi argomenti.
A livello geo-strategico sono in corso altrettanti mutamenti.
Seppur rimanga essenziale il rapporto tra Arabia Saudita e Stati
Uniti, ora che gli americani sono diventati autosufficienti dal
punto di vista energetico, quindi meno dipendenti dalle forniture
petrolifere di Ryadh, il legame appare meno indissolubile. Le
trattative tra Washington e Tehran sul nucleare sono il primo
sintomo di questo cambiamento. Il grosso problema di fondo resta
la correlazione tra un mondo, soprattutto quello islamico e
regionale, che cambia repentinamente e un Paese governato da una
gerontocrazia che mira a preservarsi immutata. Un'immutabilità su
cui si basa la stabilità del reame saudita, ma che, al contempo,
ne incarna la potenziale fragilità.
E' dalle sorti di questa lotta, oggi ancora sotterranea, tra
tradizione e modernità, assolutismo e democrazia, società tribali
e società libertarie, segregazione femminile e diritti
sociali,arcaismo e modernità che si determinerà il futuro
dell'Arabia Saudita. Uno conflitto che difficilmente potrà essere
risolto da Salman, settimo re della casa Saud, né probabilmente
dal fratello Muqrin, ultimo discendente diretto del fondatore
Abdulaziz. E quando questi cambiamenti fatalmente avverranno,
bisognerà vedere se il Paese saprà metabolizzarli senza
instabilità e traumi sociali.