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LE SCELTE AMERICANE CHE INCENDIANO IL MEDIO ORIENTE


donald trump


Il nuovo approccio dell’Amministrazione americana in Medio Oriente, così come portato avanti dal Presidente Donald Trump, sta già producendo i suoi primi effetti, negativi. Sicuramente, ed i morti ammazzati nella Striscia di Gaza lo certificano, è stata accantonata una politica di equilibrio, di moderazione, di compendio delle diverse aspirazioni dei vari attori regionali, schierandosi, come adesso, sui soli interessi israeliani.

Lo spostamento dell’Ambasciata americana a Gerusalemme, la cancellazione dell’accordo con l’Iran, l’appoggio incondizionato all’esercito israeliano che ha il “diritto” di sparare addosso ai manifestanti a Gaza, ha il “diritto” di intervenire in Libano o Siria sugli obiettivi che ritiene di interesse e ha il “diritto” di reclamare che l’Iran non debba possedere la bomba atomica quando lo Stato ebraico se ne è costruita una scorta (oltre un centinaio di ordigni) in deroga ai controlli o ai trattati internazionali.

Il risultato pratico è che sono stati dati spunti alla nuova rivolta palestinese. Nel contempo l’Iran, colpito dalle sanzioni americane, è ancora più motivato a riattivare i propri progetti nucleari. E per rompere l’accerchiamento, incrementerà il suo sostegno a tutte quelle forze che si confrontano con Israele (Hezbollah e Hamas in primis) o con l’altro alleato degli USA, l’Arabia Saudita, con l’appoggio agli Houthi in Yemen, alla dissidenza sciita in Bahrein, alle comunità sciite saudite e un sostegno incondizionato al governo sciita iracheno.

In questa fase di riassetto del Medio Oriente, con la Siria che ancora non ha ritrovato stabilità dopo anni di guerra civile, con i miliziani dell’ISIS ancora non definitivamente sconfitti, con un Libano sempre condizionato dal ruolo degli Hezbollah e con l’Iraq tutt’oggi alla ricerca di una convivenza pacifica tra sciiti, sunniti e curdi, di tutto ci sarebbe bisogno che non di ulteriori focolai di tensione.

Il ruolo di broker

L’appiattimento sulle istanze israeliane ha fatto perdere agli Stati Uniti quel ruolo di broker che recitava in passato e che gli permetteva, anche se con scarsi risultati, di essere arbitro credibile nelle vicende mediorientali. Anche il sostegno dato all’Arabia Saudita, con una vendita monstre di circa 300 miliardi di dollari di armamenti, va nella direzione di antagonizzare il ruolo iraniano.

A trarne vantaggio è indubbiamente la Russia. Intervenendo militarmente nelle vicende siriane Mosca ha dimostrato a tutti di essere un partner internazionale affidabile. Vladimir Putin ha tenuto fede ai suoi impegni con un alleato storico come la Siria, ma ha anche dimostrato duttilità nei suoi rapporti con gli altri attori regionali. Parla con Israele (e lo dimostra la recente partecipazione di Benjamin Netanyahu alla parata del 9 maggio sulla Piazza Rossa nel 70ennale della vittoria sul nazismo), parla con l’Arabia Saudita (e lo dimostra la storica visita di Re Salman a Mosca nell’ottobre 2017), e ha buoni rapporti con Iran e Turchia.

La Russia è diventata il nuovo broker regionale a scapito degli Stati Uniti. Lo dimostrano i colloqui tripartiti di Astana per trovare una pax siriana. E più gli USA si appiattiscono sugli interessi di una parte, più viene magnificato il ruolo di mediazione russo.


middle east map


La politica di Trump

Decisioni unilaterali, continuo ricorso alle provocazioni, una diplomazia fatta più di minacce e prepotenze che di negoziati, la non ricerca di consenso nemmeno fra i partner alleati. Questa è la politica estera sotto Donald Trump. La casistica oramai riguarda i rapporti commerciali (imponendo o minacciando dazi), le vertenze con i Paesi limitrofi (il muro con il Messico o i rapporti deteriorati con Cuba) e ovviamente il Medio Oriente. In quest’ultimo caso, l’aggravante risiede in una situazione socialmente e militarmente esplosiva dove la prudenza sarebbe più pagante di un approccio velleitario. Ma Trump è il contrario della razionalità.

O, meglio, è alla continua ricerca di una rivalsa personalistica. Nel caso del Medio Oriente vuole demonizzare sistematicamente tutto ciò che hanno fatto Barack Obama e il Segretario di Stato Hillary Clinton durante gli anni del loro mandato. E se Obama è stato freddo con Netanyahu, Trump è il suo più feroce sostenitore. Se Obama ha sottoscritto un accordo con l’Iran, questo deve ed è stato cancellato. Lo si potrebbe definire infantilismo diplomatico, se non ci fosse la più grande superpotenza planetaria di mezzo.

Ma ci sono anche altre motivazioni. Una di queste è la lobby delle armi. Grande finanziatore della campagna presidenziale, vuole un Trump “guerriero” in grado di agevolare il riarmo dell’Esercito americano, la vendita di armi ai Paesi amici e di sostenere azioni “mirate” da milioni di dollari a lancio di missili.

C’è poi l’elettorato che ha portato Trump alla Casa Bianca: ben radicato nell’estrema destra. I suoi maggiori consiglieri provengono da quel mondo e sotto questo aspetto il Presidente, naturalmente portato alla conflittualità, avrebbe avuto bisogno di essere affiancato da persone più moderate. Del resto, se c’è un pregio di Donald Trump questo è la coerenza. Quel che ha promesso in campagna elettorale lo sta realizzando nel suo mandato presidenziale.


soldiers


Un futuro molto difficile

Le iniziative di Trump in Medio Oriente rischiano di alimentare ancora di più le tensioni nella regione. Il Presidente americano parte dalla convinzione che gli Stati Uniti possano, unilateralmente, condizionare le vicende dell’area. In realtà le cose non stanno così per due semplici motivi.

Il quadro regionale è così contorto, articolato e in continuo divenire che non esiste mai una correlazione tra causa ed effetto, tra un’iniziativa e il risultato auspicato. Inoltre, quando ci si muove nella regione con la prepotenza relazionale di cui Trump fa largo uso, non è detto che si ottengano i risultati sperati.

Il secondo problema è che nelle vicende mediorientali operano anche altri importanti attori come Russia, Cina e Turchia. La tendenza del Presidente americano a prendere decisioni unilaterali non aiuta a trovare soluzioni condivise con altri Paesi che potrebbero invece aiutare a risolvere i contenziosi più complicati. Qualora Israele decidesse domani di attaccare l’Iran con il beneplacito o la fattiva partecipazione americana (un’ipotesi alquanto realistica), si trascura il fatto che Russia, Cina e Turchia potrebbero non stare a guardare.

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