LE TRAME DEL FIGLIO DI GHEDDAFI
Seif al Islam Gaddafi
In
Libia si parla solo delle avanzate militari di Khalifa Haftar,
della debolezza politica di Fayez al Sarraj, delle milizie di
Misurata che osteggiano Haftar senza sostenere al Sarraj. Si
disserta su chi abbia il controllo dei pozzi petroliferi, del
ruolo non molto limpido giocato da Emirati Arabi Uniti, Egitto,
Russia, Francia, Italia, Turchia, Qatar, Arabia Saudita e Stati
Uniti. Si dà anche molto credito alle trattative di pace che
sinora non hanno prodotto grandi risultati: Skirat, Parigi,
Palermo e adesso Abu Dhabi. Si insiste su un accordo con il
patrocinio ONU fra Sarraj e Haftar al fine di indire libere
elezioni in un Paese che è in mano a bande e fazioni, senza
garanzie di sicurezza, e dove l’esercizio della democrazia non è
mai esistito.
Ma dietro tutto questo c’è un convitato di pietra, un personaggio
che è materialmente sparito da ogni ribalta mediatica e che invece
è presente in Libia, si muove e coltiva contatti sia all’interno
del Paese che fuori: Seif al Islam Gheddafi. Da quando è stata
ufficializzata la sua liberazione a Zintan, il figlio del
dittatore ha ripreso i suoi contatti e svolge una sua personale
attività politica in forma occulta. La conclamata liberazione è
nei fatti una sua riabilitazione agli occhi dei libici, o almeno
per una gran parte di loro. Dal giugno del 2017 il figlio del
defunto dittatore non ha rilasciato interviste, non è comparso in
alcun evento ufficiale, rifiuta ogni contatto e, per ragioni di
sicurezza, non viene nemmeno svelato dove risiede. C’è chi dice
che sia rimasto a Zintan, altri ipotizzano si sia spostato a
Beida, dove risiedono dei parenti.
Seif ha oggi 47 anni, è il primo figlio maschio della seconda
moglie di Gheddafi. Nel sistema di potere della famiglia era colui
che doveva avvicendare il padre nella conduzione del Paese ed era
stato preparato per questo. Ha studiato a Londra alla London
School of Economics, conosce il mondo occidentale e, quale erede
designato, prima che scoppiasse la guerra civile per l’intervento
armato internazionale era portatore di idee più aperte, mostrava
sensibilità verso la questione dei diritti umani e si era un po'
inimicato la vecchia guardia del regime.
Non era sicuramente un uomo di guerra come i fratelli Mutassim e
Khamis, morti durante i combattimenti. Lui era ed è soprattutto un
personaggio politico. Ma nel ruolo di primo figlio maschio aveva
deciso di combattere al fianco del padre e di seguirlo nel suo
destino.
Per questo suo impegno nella guerra civile era stato subito
accusato di crimini contro l’umanità, come succede ogni volta a
chi perde, ma oggettivamente non meritava tali accuse. Faceva solo
il suo dovere di figlio.
Fra tutti i membri famiglia Gheddafi sopravvissuti alla guerra,
Seif è sicuramente la persona più qualificata. Il fratello Saadi è
tuttora detenuto e sotto processo a Tripoli anche se ai tempi del
regime era noto soprattutto per le sue ambizioni calcistiche. In
guerra ricopriva il grado di Colonnello, ma era stato il primo a
scappare e a rifugiarsi in Niger, da cui poi era stato
successivamente estradato e riconsegnato ai ribelli di Tripoli.
L’altro fratello, Hannibal, era invece noto per le sue
intemperanze in giro per il mondo. Era stato condannato da un
tribunale francese per percosse alla moglie, figurava implicato in
attività illecita sulla Costa Azzurra, aveva avuto problemi in
Svizzera e anche Londra. Adesso si trova da 4 anni in carcere in
Libano.
Muhammar Gaddafi
Il Libano aveva rapporti molto difficili con il dittatore libico,
accusato della sparizione ed omicidio del leader sciita Musa Sadr
durante un suo passaggio da Tripoli. Hannibal si era rifugiato a
Damasco e lì prelevato – probabilmente dagli Hezbollah – ed
estradato a Beirut. Hannibal della storia di Musa Sadr sapeva poco
o nulla, ma ancora una volta ha problemi comportamentali ed ora è
in galera per offese alla magistratura libanese. Il resto della
famiglia Gheddafi vive adesso in Oman: Safiah Farkash, la seconda
moglie del dittatore, la figlia prediletta Aisha, il figlio della
prima moglie Mohammed, mai implicato nelle vicende del regime e
uomo di affari.
Muammar Gheddafi era sicuramente un dittatore che si è macchiato
di molti crimini, aveva molti nemici, ma anche molti seguaci
all’interno del Paese. Governava con le prebende a chi lo
appoggiava e con la repressione verso chi lo osteggiava.
Articolava il suo potere con il sostegno di alcune tribù, che in
Libia si chiamano Kabile, contro l’ostilità di altre kabile. La
guerra civile ha evidenziato questa divisione con la sola variante
che le kabile più deboli – quelle che avrebbero perso in un
confronto armato col dittatore – hanno poi vinto grazie al
sostegno armato internazionale. E quando questa circostanza si
verifica il risultato è scontato: la guerra civile.
Le conseguenze negative di questa guerra che tuttora incombono sul
Paese hanno inevitabilmente portato a rivalutare la figura del
dittatore. La gente si è accorta che sotto Gheddafi alla fine non
si stava così male, mentre ciò che gli è seguito è sicuramente
peggio. Questo stato d’animo favorisce potenzialmente la
ricomparsa di un Gheddafi nel panorama libico. Seif è un politico
di alto livello. Sa che prima di fare accettare il ritorno di un
Gheddafi ai vertici della Libia occorre tempo perché il nome che
porta è alquanto ingombrante. Il discorso vale sia sul piano
interno che su quello internazionale.
Sul piano interno, tutti i principali attori che si contendono il
potere, da al Sarraj a Haftar, sanno che avere dalla propria parte
Gheddafi, e con lui quella parte di popolazione che appoggiava il
dittatore, è importante sia sul piano del sostegno politico, del
supporto sociale e, non ultimo, su quello militare. Da quando Seif
è tornato libero, questo su potere dirimente è diventato molto più
importante. E se alla fine i due contendenti troveranno un accordo
per tenere le elezioni in Libia non è escluso che anche Seif possa
presentarsi come candidato. Lo farà se sarà sicuro di poter
vincere o di potere essere quantomeno ago della bilancia nella
disputa tra gli altri due maggiori contendenti. Non è escluso che
possa anche decidere di rimanerne fuori e aspettare tempi
migliori.
Sul piano internazionale il discorso è ancora più delicato. Una
coalizione internazionale è intervenuta militarmente nel 2011 per
estromettere il dittatore Gheddafi e un suo figlio rischia adesso
di riprendere le redini del Paese, ovvero di recitare un ruolo
politico importante dopo decenni di demonizzazione soprattutto
all’estero. Come detto, Seif evita al momento di recitare un ruolo
politico visibile. Lo fa per prudenza, lo fa, come ipotizzano
alcuni, perché le milizie di Zintan gli hanno imposto alcune
restrizione, ma lo fa anche per dare il tempo tecnico ai vari
interlocutori interni ed internazionali di accettare un suo
ritorno sulla scena.
Lui non compare, ma opera attraverso propri personaggi. Già prima
della sua liberazione aveva inviato in Italia un suo fedele, tale
Kashkar, per tastare la reazione di alcuni esponenti politici nel
caso avesse deciso di ricomparire sulla scena politica libica.
Altrettanto ha fatto ultimamente con la Russia, questa volta
utilizzando un altro emissario, Mohammed Gallush, che ha
recapitato una sua missiva a Putin nella quale rende noto il suo
appoggio al piano del mediatore Onu Ghassam Salame di convocare
una Conferenza nazionale in Libia con la partecipazione dei
maggiori esponenti politici del Paese, ovviamente lui compreso.
Khalifa Haftar
Sinora la comunità internazionale ignora o fa finta di ignorare
che un Gheddafi possa avere un ruolo importante nella Libia di
domani. Quindi il nome di Seif al Islam Gheddafi non compare mai
nelle varie trattative o conferenze che cercano di riportare la
pace in Libia. Questo modo di esorcizzare un pericolo non ne
elimina le sue potenzialità. Il nome di Gheddafi è ingombrante, ma
ha ancora un suo fascino nel panorama politico libico. Rimane solo
da verificare se effettivamente Seif sia oggi in grado di
tramutare l’attrattiva del suo nome in consenso sociale. Vivere
solo sul sostegno di chi vuole vendicarsi dei torti subiti a
seguito della guerra civile, dei gheddafiani della prima ora, non
sarebbe per lui un buon viatico e questo lui lo sa bene. Sarebbe
come voler riproporre un modello sociale che ha fatto il suo
tempo.
Ma Seif ha pazienza, sa attendere il momento giusto, ha sia
disponibilità finanziarie proprie (non tutto quello che
apparteneva alla famiglia è stato sequestrato), che quelle dei
suoi sostenitori (arricchitisi durante il regime e che quindi
sperano di continuare a farlo in futuro). Può contare su una
grossa diaspora di fedeli riparati in Egitto che fanno pressione
su Abdel Fattah al Sisi e sulla velata compiacenza di molti paesi
del Golfo (le rivoluzioni sono sempre un cattivo esempio per i
regimi autocrati) e, non ultimo, (visto che ha un canale diretto
con Mosca) gode della considerazione della Russia.