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LO SPIONAGGIO CLASSICO E QUELLO TECNOLOGICO


james bond


La ricerca informativa, quell’attività che la gente definisce comunemente con il nome di spionaggio, è da sempre legata a due approcci, talvolta concomitanti e talvolta in competizione fra loro: lo spionaggio classico e quello tecnologico. Il primo, lo “HUMINT” (“Human Intelligence”), è quell’attività che l’agente conduce sul terreno: contatta le persone, arruola le fonti, cioè, in estrema sintesi, si avvale della collaborazione di informatori.

Sul fronte tecnologico ci sono invece tutte quelle attività che si avvalgono di strumenti tecnici: il “SIGINT” (“Signal Intelligence”, cioè le intercettazioni di tutto quello che circola nell’aria, come trasmissioni radio e telefoniche), la “ELINT” (“Electronic intelligence”, computers e mezzi similari), la “IMINT” (“Imagery Intelligence”, l’acquisizione di notizie da foto o filmati aerei o satellitari). Il forte sviluppo degli apparati tecnologici ha fatto sì che alcune nazioni abbiano optato per questo tipo di ricerca come fonte principale dell’attività di spionaggio, trascurando di conseguenza lo spionaggio classico.

Ma vi sono anche altre motivazioni che spingono i Servizi a optare per l’intelligence tecnologico.

Il fattore rischio

Il primo motivo è il fattore rischio. E’ meno pericoloso stare dietro una consolle che avere un proprio agente che opera in un Paese straniero, magari in mezzo ad una guerra civile o in altri ambienti socialmente ostili. L’agente rischia fisicamente la propria incolumità. Rischia anche di essere scoperto dal controspionaggio locale. Se viene scoperto può creare problemi diplomatici. Lo spionaggio è, nei fatti, un’attività ostile che ha un grosso impatto sulle relazioni tra due Paesi.

Il fattore tempo per la copertura

Inserire un proprio agente in un Paese terzo, costruirgli una copertura che gli possa permettere di operare in forma occulta richiede tempo. Certo, in ogni sede diplomatica vi sono sempre agenti sotto copertura e questo può facilitare i compiti. Basta dargli uno status diplomatico e questo già giustifica la sua presenza. E’ una tecnica a cui ricorrono quasi tutti i Servizi perché, tra l’altro, offre un indubbio vantaggio: lo status diplomatico cautela l’agente. Se viene scoperto – a parte le citate conseguenze diplomatiche – rischia l’espulsione e non l’arresto. Inoltre, il suo avvicendamento nel Paese in cui opera, qualora tale provvedimento possa essere reputato utile, è facilmente realizzabile. La controindicazione sta nel fatto che questo tipo di espediente è universalmente noto a tutti e quindi l’attenzione dei Servizi locali si concentra verso questi tipi di personaggi e di attività.

Ma volendo optare per una soluzione diversa da quella “diplomatica”, i tempi di inserimento di un agente in un Paese terzo si allungano di molto. Bisogna “costruire” una sua funzione: magari in una ditta che lavora all’estero o inserirlo in una qualche delegazione spesso in visita in un Paese (i cosiddetti “viaggiatori legali”). La minore visibilità agli occhi del controspionaggio deve essere bilanciata dalla necessità di rendere credibile l’incarico di copertura. Tempi e modalità decisamente più lunghi.

Talvolta si opta per l’inserimento in strutture di aziende “governative”, come lo sono nella quasi totalità le compagnie aeree. Anche qui, proprio perché si tratta di un espediente molto noto e ricorrente, la copertura è difficile da garantire. Quasi tutti i Paesi dell’est ricorrono a questo tipo di espediente. Il rappresentante di una compagnia aerea o il cosiddetto capo-scalo (colui che controlla le operazioni di imbarco/sbarco o di caricamento/scaricamento di un aeromobile in un aeroporto) sono personaggi che possono muoversi con facilità in virtù del loro incarico, contattare persone senza dare nell’occhio oltreché monitorare tutto quello che avviene in uno scalo aeroportuale.


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Il fattore tempo per rendere operativi i contatti

L’agente che vive in un Paese straniero ha bisogno di un tempo tecnico per cominciare ad operare. Deve inserirsi nel contesto sociale del Paese, coltivare amicizie, trovare all’occorrenza fonti che lo aiutino a raccogliere le notizie di interesse. E’ una vita fatta di relazioni che si consolidano in tempi abbastanza lunghi. Anzi, più a lungo l’agente opera in un Paese, più è ampio il suo giro di contatti e più profondo il tipo di relazioni che instaura.

Pochi Servizi, tra cui quelli russi, riescono a costruire identità per i propri agenti ed a inserirli sotto le più svariate coperture in un altro Paese. Inoltre, li tengono dormienti per molti anni prima di utilizzarli per l’attività di spionaggio.

Le notizie dello spionaggio tecnologico.

Come detto, lo spionaggio tecnologico ha il vantaggio di ridurre i tempi operativi a soli elementi tecnici. Qui l’agente è un tecnico ed il risultato che lui acquisisce è direttamente proporzionale alla qualità dell’apparecchiatura che utilizza. Non occorrono coperture, né agire con prudenza per non essere scoperto e nemmeno si corre il rischio fisico di essere arrestato o eliminato. Quindi rischio zero.

A fronte di tutti questi vantaggi, c’è anche il vantaggio che l’accesso alle notizie è continuo e la quantità del materiale raccolto generalmente molto ampia. Non esistono ostacoli, se non tecnici, per sapere, vedere o sentire.

Troppe notizie

Quando si controllano tutte le comunicazioni radio o telefoniche che girano nel mondo, come fanno gli americani in concorso con gli altri Paesi anglofoni, il problema che si pone è quello di sfrondare quello che non serve da quello che è utile. Il problema non è quindi raccogliere, ma selezionare le notizie. E se, con uno strumento tecnico, può diventare facile acquisire tanti elementi, non è altrettanto facile trovare quelli giusti. Questo è il problema che oggi ha la National Security Authority (NSA) americana.

A volte la selezione si basa su parole chiave, a volte su aree specifiche o fonti di emissioni specifiche, ma il problema permane. I tempi che occorrono ad un operatore dello HUMINT per essere efficace vengono talvolta controbilanciati, nel caso dello spionaggio tecnologico, dai tempi di selezione delle notizie. Dati grezzi che debbono poi all’occorrenza essere trasformati in informazioni, ovvero in dati reali di interesse informativo.


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La contestualizzazione della notizia

La notizia che raccoglie la strumentazione tecnologica è asettica, non risente del contesto sociale dove viene prodotta, né è contestualizzata dagli eventi. E’ un dato senza anima, arido. Lo stesso tecnico che l’acquisisce non è emotivamente coinvolto, ne riceve così tante in breve tempo che non è in grado di capirne subito l’importanza. Raccoglie e trasmette i dati alle varie strutture di analisi. Tra lui e la consolle c’è solo un rapporto di utilizzo. Per lui tutto è notizia e niente è informazione. Non vive emotivamente quello che sente, legge o vede perché alla fine non è altro che un tecnico.

La differenza tra agente operativo e tecnico

Quando l’acquisizione di una notizia avviene da un contatto tra una agente sul terreno e un interlocutore locale, è lo stesso agente che sa subito, nell’ambito del suo bagaglio di conoscenze, se si tratta di qualcosa di importante o meno. E’ lui il primo analista di sé stesso. Lui non trasmette solo notizie, ma talvolta trasmette informazioni. Sa dare una prima valutazione dell’affidabilità della notizia stessa. Lo fa sulla base delle sue conoscenze, ma anche su come lo viene a sapere, su come reagisce colui che glielo racconta. Capisce subito anche se possa trattarsi di un tentativo di disinformazione.

Sa anche correlare quello che acquisisce con le vicende circostanti. Sa quindi, a differenza del tecnico che opera alla consolle in patria, contestualizzare quello che acquisisce. In altre parole, la notizia di fonte HUMINT viene arricchita di tanti dettagli che ne colorano l’importanza, il significato, l’affidabilità.

L’esperienza della CIA

Chi, come la CIA, ha per un certo periodo trascurato l’attività HUMINT ne ha anche pagato le conseguenze sul piano operativo. Durante la seconda guerra del Golfo, i circa 800 agenti CIA che operavano a Baghdad non erano in grado di uscire dalla Green Zone perché individuati e senza coperture costruite nel tempo. Le restrizioni di sicurezza che l’Agenzia imponeva ai suoi agenti ne bloccava nei fatti ogni velleità operativa. Uno dei pochi casi in cui si è instaurato un contatto con informatori locali si è trasformato in una trappola dalla quale l’agente ne è scappato fortunatamente indenne. Tutta la seconda guerra del Golfo è in pratica avvenuta senza un adeguato HUMINT americano.

Nel contempo veniva intercettata ogni comunicazione telefonica, del resto solo una compagnia telefonica americana poteva assicurare il servizio in Iraq. Si intercettavano tutte le possibili comunicazioni radio del nemico, ma non si aveva un’adeguata copertura intelligence sul piano HUMINT. E quella mole di dati non ha impedito attentati, agguati, l’insorgere del terrorismo. Una debacle operativa che nasceva dalla presunzione che l’intelligence tecnologica potesse ampiamente sostituire lo HUMINT. Nei periodi successivi l’Agenzia ha capitalizzato questa esperienza negativa ed ha dato nuovo impeto alla ricerca operativa umana.

Un giusto mix

Lo spionaggio classico e quello tecnologico hanno bisogno l’uno dell’altro per acquisire le giuste informazioni. L’uno non sostituisce l’altro, ma lo integra. La tecnologia non può sostituire quello che produce, nell’attività informativa, un rapporto umano. Anche se non esiste una gradazione di importanza tra i due sistemi, sulla qualità del prodotto informativo forse prevale lo spionaggio classico. Meno notizie, ma più informazioni.

Con diversi livelli di pericolosità, ma anche con diversi livelli di affidabilità, tutto concorre alla ricerca di quello che interessa sapere ad una nazione per garantire la propria sicurezza nazionale.

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