LO SPIONAGGIO CLASSICO E QUELLO TECNOLOGICO
La
ricerca informativa, quell’attività che la gente definisce
comunemente con il nome di spionaggio, è da sempre legata a due
approcci, talvolta concomitanti e talvolta in competizione fra
loro: lo spionaggio classico e quello tecnologico. Il primo, lo
“HUMINT” (“Human Intelligence”), è quell’attività che l’agente
conduce sul terreno: contatta le persone, arruola le fonti, cioè,
in estrema sintesi, si avvale della collaborazione di informatori.
Sul fronte tecnologico ci sono invece tutte quelle attività che si
avvalgono di strumenti tecnici: il “SIGINT” (“Signal
Intelligence”, cioè le intercettazioni di tutto quello che circola
nell’aria, come trasmissioni radio e telefoniche), la “ELINT”
(“Electronic intelligence”, computers e mezzi similari), la
“IMINT” (“Imagery Intelligence”, l’acquisizione di notizie da foto
o filmati aerei o satellitari). Il forte sviluppo degli apparati
tecnologici ha fatto sì che alcune nazioni abbiano optato per
questo tipo di ricerca come fonte principale dell’attività di
spionaggio, trascurando di conseguenza lo spionaggio classico.
Ma vi sono anche altre motivazioni che spingono i Servizi a optare
per l’intelligence tecnologico.
Il fattore rischio
Il primo motivo è il fattore rischio. E’ meno pericoloso stare
dietro una consolle che avere un proprio agente che opera in un
Paese straniero, magari in mezzo ad una guerra civile o in altri
ambienti socialmente ostili. L’agente rischia fisicamente la
propria incolumità. Rischia anche di essere scoperto dal
controspionaggio locale. Se viene scoperto può creare problemi
diplomatici. Lo spionaggio è, nei fatti, un’attività ostile che ha
un grosso impatto sulle relazioni tra due Paesi.
Il fattore tempo per la
copertura
Inserire un proprio agente in un Paese terzo, costruirgli una
copertura che gli possa permettere di operare in forma occulta
richiede tempo. Certo, in ogni sede diplomatica vi sono sempre
agenti sotto copertura e questo può facilitare i compiti. Basta
dargli uno status diplomatico e questo già giustifica la sua
presenza. E’ una tecnica a cui ricorrono quasi tutti i Servizi
perché, tra l’altro, offre un indubbio vantaggio: lo status
diplomatico cautela l’agente. Se viene scoperto – a parte le
citate conseguenze diplomatiche – rischia l’espulsione e non
l’arresto. Inoltre, il suo avvicendamento nel Paese in cui opera,
qualora tale provvedimento possa essere reputato utile, è
facilmente realizzabile. La controindicazione sta nel fatto che
questo tipo di espediente è universalmente noto a tutti e quindi
l’attenzione dei Servizi locali si concentra verso questi tipi di
personaggi e di attività.
Ma volendo optare per una soluzione diversa da quella
“diplomatica”, i tempi di inserimento di un agente in un Paese
terzo si allungano di molto. Bisogna “costruire” una sua funzione:
magari in una ditta che lavora all’estero o inserirlo in una
qualche delegazione spesso in visita in un Paese (i cosiddetti
“viaggiatori legali”). La minore visibilità agli occhi del
controspionaggio deve essere bilanciata dalla necessità di rendere
credibile l’incarico di copertura. Tempi e modalità decisamente
più lunghi.
Talvolta si opta per l’inserimento in strutture di aziende
“governative”, come lo sono nella quasi totalità le compagnie
aeree. Anche qui, proprio perché si tratta di un espediente molto
noto e ricorrente, la copertura è difficile da garantire. Quasi
tutti i Paesi dell’est ricorrono a questo tipo di espediente. Il
rappresentante di una compagnia aerea o il cosiddetto capo-scalo
(colui che controlla le operazioni di imbarco/sbarco o di
caricamento/scaricamento di un aeromobile in un aeroporto) sono
personaggi che possono muoversi con facilità in virtù del loro
incarico, contattare persone senza dare nell’occhio oltreché
monitorare tutto quello che avviene in uno scalo aeroportuale.
Il fattore tempo per rendere
operativi i contatti
L’agente che vive in un Paese straniero ha bisogno di un tempo
tecnico per cominciare ad operare. Deve inserirsi nel contesto
sociale del Paese, coltivare amicizie, trovare all’occorrenza
fonti che lo aiutino a raccogliere le notizie di interesse. E’ una
vita fatta di relazioni che si consolidano in tempi abbastanza
lunghi. Anzi, più a lungo l’agente opera in un Paese, più è ampio
il suo giro di contatti e più profondo il tipo di relazioni che
instaura.
Pochi Servizi, tra cui quelli russi, riescono a costruire identità
per i propri agenti ed a inserirli sotto le più svariate coperture
in un altro Paese. Inoltre, li tengono dormienti per molti anni
prima di utilizzarli per l’attività di spionaggio.
Le notizie dello spionaggio
tecnologico.
Come detto, lo spionaggio tecnologico ha il vantaggio di ridurre i
tempi operativi a soli elementi tecnici. Qui l’agente è un tecnico
ed il risultato che lui acquisisce è direttamente proporzionale
alla qualità dell’apparecchiatura che utilizza. Non occorrono
coperture, né agire con prudenza per non essere scoperto e nemmeno
si corre il rischio fisico di essere arrestato o eliminato. Quindi
rischio zero.
A fronte di tutti questi vantaggi, c’è anche il vantaggio che
l’accesso alle notizie è continuo e la quantità del materiale
raccolto generalmente molto ampia. Non esistono ostacoli, se non
tecnici, per sapere, vedere o sentire.
Troppe notizie
Quando si controllano tutte le comunicazioni radio o telefoniche
che girano nel mondo, come fanno gli americani in concorso con gli
altri Paesi anglofoni, il problema che si pone è quello di
sfrondare quello che non serve da quello che è utile. Il problema
non è quindi raccogliere, ma selezionare le notizie. E se, con uno
strumento tecnico, può diventare facile acquisire tanti elementi,
non è altrettanto facile trovare quelli giusti. Questo è il
problema che oggi ha la National Security Authority (NSA)
americana.
A volte la selezione si basa su parole chiave, a volte su aree
specifiche o fonti di emissioni specifiche, ma il problema
permane. I tempi che occorrono ad un operatore dello HUMINT per
essere efficace vengono talvolta controbilanciati, nel caso dello
spionaggio tecnologico, dai tempi di selezione delle notizie. Dati
grezzi che debbono poi all’occorrenza essere trasformati in
informazioni, ovvero in dati reali di interesse informativo.
La contestualizzazione della
notizia
La notizia che raccoglie la strumentazione tecnologica è asettica,
non risente del contesto sociale dove viene prodotta, né è
contestualizzata dagli eventi. E’ un dato senza anima, arido. Lo
stesso tecnico che l’acquisisce non è emotivamente coinvolto, ne
riceve così tante in breve tempo che non è in grado di capirne
subito l’importanza. Raccoglie e trasmette i dati alle varie
strutture di analisi. Tra lui e la consolle c’è solo un rapporto
di utilizzo. Per lui tutto è notizia e niente è informazione. Non
vive emotivamente quello che sente, legge o vede perché alla fine
non è altro che un tecnico.
La differenza tra agente
operativo e tecnico
Quando l’acquisizione di una notizia avviene da un contatto tra
una agente sul terreno e un interlocutore locale, è lo stesso
agente che sa subito, nell’ambito del suo bagaglio di conoscenze,
se si tratta di qualcosa di importante o meno. E’ lui il primo
analista di sé stesso. Lui non trasmette solo notizie, ma talvolta
trasmette informazioni. Sa dare una prima valutazione
dell’affidabilità della notizia stessa. Lo fa sulla base delle sue
conoscenze, ma anche su come lo viene a sapere, su come reagisce
colui che glielo racconta. Capisce subito anche se possa trattarsi
di un tentativo di disinformazione.
Sa anche correlare quello che acquisisce con le vicende
circostanti. Sa quindi, a differenza del tecnico che opera alla
consolle in patria, contestualizzare quello che acquisisce. In
altre parole, la notizia di fonte HUMINT viene arricchita di tanti
dettagli che ne colorano l’importanza, il significato,
l’affidabilità.
L’esperienza della CIA
Chi, come la CIA, ha per un certo periodo trascurato l’attività
HUMINT ne ha anche pagato le conseguenze sul piano operativo.
Durante la seconda guerra del Golfo, i circa 800 agenti CIA che
operavano a Baghdad non erano in grado di uscire dalla Green Zone
perché individuati e senza coperture costruite nel tempo. Le
restrizioni di sicurezza che l’Agenzia imponeva ai suoi agenti ne
bloccava nei fatti ogni velleità operativa. Uno dei pochi casi in
cui si è instaurato un contatto con informatori locali si è
trasformato in una trappola dalla quale l’agente ne è scappato
fortunatamente indenne. Tutta la seconda guerra del Golfo è in
pratica avvenuta senza un adeguato HUMINT americano.
Nel contempo veniva intercettata ogni comunicazione telefonica,
del resto solo una compagnia telefonica americana poteva
assicurare il servizio in Iraq. Si intercettavano tutte le
possibili comunicazioni radio del nemico, ma non si aveva
un’adeguata copertura intelligence sul piano HUMINT. E quella mole
di dati non ha impedito attentati, agguati, l’insorgere del
terrorismo. Una debacle operativa che nasceva dalla presunzione
che l’intelligence tecnologica potesse ampiamente sostituire lo
HUMINT. Nei periodi successivi l’Agenzia ha capitalizzato questa
esperienza negativa ed ha dato nuovo impeto alla ricerca operativa
umana.
Un giusto mix
Lo spionaggio classico e quello tecnologico hanno bisogno l’uno
dell’altro per acquisire le giuste informazioni. L’uno non
sostituisce l’altro, ma lo integra. La tecnologia non può
sostituire quello che produce, nell’attività informativa, un
rapporto umano. Anche se non esiste una gradazione di importanza
tra i due sistemi, sulla qualità del prodotto informativo forse
prevale lo spionaggio classico. Meno notizie, ma più informazioni.
Con diversi livelli di pericolosità, ma anche con diversi livelli
di affidabilità, tutto concorre alla ricerca di quello che
interessa sapere ad una nazione per garantire la propria sicurezza
nazionale.