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SIRIA: I DIRITTI SONO UMANI QUANDO SERVONO


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Nel 2014, un uomo chiamato “Caesar” si reca a Washington e incontra il senatore repubblicano John McCain e l'ex-ambasciatore americano presso le Nazioni Unite, Samantha Power.

"Cesar", che tuttora si muove in giro per il mondo con questo pseudonimo per evitare ritorsioni sulla famiglia, è un ex fotografo militare siriano. Aveva il compito di fotografare e catalogare i cadaveri dei morti durante la detenzione. Ogni cadavere veniva schedato e fotografato con un numero di riferimento. Cadaveri che mostravano evidenti segni di tortura, alcuni morti per stenti o fame. Venivano fotografati, schedati, veniva certificata una morte di comodo e poi inumati in fosse comuni senza darne comunicazione alle famiglie. Detenzioni senza regole, processi senza appelli, confessioni estorte, condanne a morte senza limiti. Bastava una delazione o un sospetto per essere arrestati e sparire.

Le fotografie

"Caesar" era scappato dalla Siria l'anno prima e si era portato dietro un archivio fotografico di 27.000 foto tra cui anche quelle di minori. Ferite cutanee, segni di bruciatura da elettroshock, talvolta enucleazione degli occhi, segni di strangolamento, arti fratturati, fori da proiettile o colpi di grazia alla nuca, addomi squarciati, uso di prodotti chimici sulla pelle, segni di frustate. Un catalogo di efferatezze in un dossier con prove inoppugnabili.

Il personaggio, aiutato ad esfiltrare dal Paese dall'opposizione, avrebbe dovuto portare alla conoscenza del mondo il genocidio della popolazione siriana da parte del regime di Bashar Assad. Ma il mondo, purtroppo, sembrava indifferente a tutto questo. Il viaggio a Washington doveva servire proprio a richiamare l'attenzione degli U.S.A. su questi misfatti.
Le prove ignorate

"Cesar" viene intervistato davanti alla Commissione Esteri del Congresso a porte chiuse. L'audizione avviene alla presenza del Presidente Ed Royce, di 30 membri del Congresso e di alcuni rappresentanti di organizzazioni per la difesa dei diritti umani. E' presente anche l'ex procuratore David Crane che aveva per primo redatto un rapporto su queste prove. Tutti chiedono, tutti vedono le foto, tutti sanno. Viene evocato un parallelismo con lo sterminio degli ebrei a cavallo della seconda guerra mondiale.

Chi appoggia "Cesar" in questa attività di testimonianza sul suolo americano è soprattutto un senatore che nelle sue esperienze pregresse militari, ha subito in Vietnam oltre 6 anni di torture e abusi, John Sidney McCain. Il Presidente Obama invece si rifiuta di incontrarlo.

Il motivo di tale rifiuto va ricercato e contestualizzato negli eventi del 2014: l'ISIS è molto forte, ha conquistato Mosul ed è in quel momento il pericolo maggiore per la diffusione del terrorismo e per la destabilizzazione del Medio Oriente. Il Presidente americano sa che la caduta del regime siriano agevolerebbe ancor più l'espansione dell'ISIS.

Obama ha già visto cosa è successo quando è stato defenestrato Saddam Hussein in Iraq e Gheddafi in Libia. Non vuole reiterare lo stesso errore con la Siria.

Sicuramente è al corrente delle efferatezze di Bashar Assad ma preferisce non sollevare il problema. Tra diritti umani, crimini di guerra e crimini contro l'umanità da una parte ed interessi militari dall'altra, opta per quest'ultima soluzione.

"Caesar" viene anche ricevuto dai vertici dell'FBI dove le foto dei cadaveri erano già state inviate a suo tempo. Per dare inizio, da parte americana, ad un processo presso la Corte Penale Internazionale sarebbe bastato ricercare e trovare tra le foto qualche personaggio con passaporto o parentela statunitense. Anche qui l'aiuto o assistenza del Federal Bureau of Investigation viene negata. Niente riconoscimenti facciali, niente ricerca nei database dell'Agenzia. Sarà la stessa agenzia a dichiarare l'anno successivo che le foto erano autentiche (ma anche qui, per contestualizzare gli eventi, era il momento in cui gli U.S.A. negoziavano con l'Iran l'accordo sul nucleare e sollevare il problema dei diritti umani avrebbe danneggiato il negoziato visto che l'Iran, insieme alla Russia, era il maggiore alleato del regime siriano).


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Caesar (con il cappuccio blu) davanti alla commissione esteri del congresso

La Francia alza la testa

Ma di fronte alla ritrosia ed imbarazzi americani, almeno in Francia, sia a livello governativo che nell'ambito degli intellettuali e dell'opinione pubblica, le efferatezze di Assad suscitano reazioni. C'è inoltre Amnesty International che divulga testimonianze e conferma quel che ci sta dietro le foto di "Cesar". C'è l'ex ambasciatore francese a Damasco, Eric Chevalier, testimone degli eccidi di Hama. Anche lui riesce ad incontrare l'ex fotografo siriano. Si mobilitano vari Dipartimenti del Ministero degli Esteri francese e la Francia predispone un dossier per il Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Vengono fatte vedere le foto ai 15 membri del Consiglio, viene richiesto dalla Francia di poter portare il caso di fronte alla Corte Internazionale penale.

Un procedimento penale presso la Corte Internazionale comunque avrebbe richiesto una autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU nel caso -come quello della Siria - in cui il Paese sotto inchiesta non era firmatario dello statuto di Roma (quello di adesione al riconoscimento della Corte).

Gli altri stati si defilano

Scontato il rifiuto russo e anche quello cinese. Il primo per non mettere sul banco degli imputati il proprio alleato mediorientale, il secondo per il principio di non interferenza negli affari interni di un altro Stato.

La Francia cerca di convincere la Russia allargando il banco degli imputati anche ai crimini condotti dalle opposizioni armate ma il 22 giugno 2014 il Consiglio di Sicurezza respinge la proposta francese: 13 a favore ma 2 contro, ovviamente Russia e Cina.

Non servono nemmeno i rapporti semestrali che una commissione di inchiesta speciale sulla Siria, un organismo creato nel 2011 all'interno dell'Alto Commissariato per i Diritti Umani, pubblica a fare fronte comune internazionale per una forma di genocidio che allora come adesso si sta consumando in Siria.

Non servono nemmeno le accuse, peraltro documentate, che l'esercito siriano utilizza armi chimiche nella guerra contro i ribelli.


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Mustafa Khalifa

Le altre testimonianze

Ma quello che ha raccontato e documentato "Caesar" è l'unica valida testimonianza dei misfatti del regime siriano? Le testimonianze raccolte nel tempo sono state tante. "Caesar", a differenza di altri, le ha pure documentate con foto.

Ma c'è stata nel frattempo anche un'altra testimonianza di un personaggio che è stato ospite di varie carceri siriane per 13 anni raccogliendo poi la sua esperienza in un libro ("La conchiglia") .

Si chiama Mustafa Khalifa ed è un cristiano che viveva in Francia e che fu arrestato durante il rientro in patria a causa di una delazione.

Khalifa, che ora vive in esilio, non solo è stato testimone degli orrori nei lager siriani ma anche vittima diretta di torture del regime. Testimone prezioso di processi farsa, di epidemie non curate, di malnutrizione, abusi continui ed impiccagioni continuative. Anche lui intervistato e contattato da varie organizzazioni e dalle autorità francesi; anche lui caduto nell'oblio omertoso di quei paesi che non volevano sentire o vedere.

Per fare cambiare atteggiamento alle autorità americane bisogna aspettare il 15 maggio scorso quando il Vice Segretario per il Vicino Oriente, Stuart Jones, in una conferenza stampa, ha denunciato la costruzione di un forno crematorio nella prigione militare di Saydnaya, nei pressi di Damasco. Un enorme carcere già oggetto di uno specifico rapporto di Amnesty International.

Vengono mostrate foto di questa nuova struttura, viene evocato il genocidio; molti ricorrono al parallelismo con i forni crematori nazisti.

E ora?

La prima domanda da porsi è se adesso le prove prodotte dal Dipartimento di Stato americano siano più inoppugnabili rispetto a quanto detto da "Caesar", Mustafa Khalifa e tutta quella serie di testimonianze raccolte dal 2011 sui misfatti commessi dal regime siriano.

La verità è che quello che dice il Dipartimento di Stato non è che la conferma di quello che era stato denunciato in precedenza da vari testimoni.

Probabilmente c'è anche una correlazione tra la documentazione fotografica prodotta da "Caesar" e la reazione del regime siriano.

Visto il pericolo derivante dall'archiviazione delle morti dei detenuti (se poi queste archiviazioni rischiano di essere note all'estero), visto inoltre che queste morti, sia per tortura che per impiccagioni, continuano ad essere numericamente sempre di più (Amnesty International stima che dal 2011, nella sola Saydnaya, ci siano stati circa 15.000 morti), è molto probabile che adesso il regime abbia optato per una soluzione più sbrigativa: niente archiviazione, niente più fosse comuni, ma forni crematori.

Il paradosso è che se lo scopo di "Caesar" e Mjstafa Khalifa era quello di denunciare e bloccare le efferatezze del regime siriano. Il risultato non è stato raggiunto e lo sforzo ha solo prodotto una maniera tecnicamente più funzionale per sbarazzarsi delle migliaia di cadaveri.

Rispetto al 2014, adesso che i miliziani dell'ISIS sono sulla strada di una sconfitta militare, solo adesso, per gli Stati Uniti, i diritti umani che il regime siriano viola sistematicamente sono diventati motivo di interesse.

Tutto questo avviene non perché un Presidente nonché premio nobel per la pace sia stato adesso avvicendato da Donald Trump, ma perché è cambiata la situazione sul terreno.

Il nuovo teatro mediorientale

Sconfitto l'ISIS, il prossimo problema nella stabilizzazione del Medio Oriente è legato alla sopravvivenza o defenestrazione del regime siriano. Sino al 15 maggio si parlava solo ed esclusivamente delle efferatezze dei miliziani di Al Baghdadi, adesso si parla anche di quelle del regime.

Sul piano delle violazioni dei diritti umani, entrambi i contendenti ne hanno fatto ampio ricorso. L'unica cosa che differenzia le due violazioni è che l'ISIS ne pubblicizzava la circostanza anche per intimorire gli avversari, il regime siriano invece, per motivi di immagine, li cerca di nascondere. Ma qualità e quantità delle efferatezze si equivalgono.

Ed è anche da notare che le accuse americane arrivano alla vigilia dei negoziati di Ginevra che oramai sono condizionati dai colloqui di Astana, dove i russi la fanno da padrone.

E forse il fine ultimo dell'Amministrazione americana è proprio quello di condizionare i negoziati.

E' pur chiaro che se il regime di Assad rimane al potere, di tutto queste violazioni non rimarrà traccia se non nelle testimonianze di quei pochi fortunati che sono sopravvissuti ai lager del regime. Che poi effettivamente nel carcere di Saydnaya sia stato messo in opera un forno crematorio per fare sparire i cadaveri (il regime siriano ha qualificato la rilevazione americana come una tesi "hollywoodiana") non sarà più di tanto importante.

Dopo una guerra civile sanguinaria che è durata oltre 5 anni e se il regime siriano potrà rimanere al potere c'è da aspettarsi che il genocidio dell'opposizione potrà tranquillamente consumarsi.

L'Opportunità di opporsi

Ma il dato più eclatante è soprattutto uno ed è quello dell'utilizzo improprio delle violazioni dei diritti umani che vengono enfatizzati o ignorati a seconda delle opportunità del momento.

"Caesar", Mustafa Khalifa, le testimonianze di oltre 80 persone che ha raccolto Amnesty International, i rapporti di tante organizzazioni non governative che hanno sistematicamente denunciato soprusi e abusi, diventano uno strumento di un calcolo politico che prescinde dalle sofferenze di tanti poveri disgraziati.

Esecuzioni extragiudiziali, condizioni disumane in celle affollate ed il più delle volte sotterranee, processi farsa, una media di 50 esecuzioni al giorno; tutto diventa importante o dimenticato dove le vittime diventano un numero.

I forni crematori sembra che fossero in funzione dal 2013. E' giusto domandarsi perché la rivelazione della loro presenza è stata fatta dalle autorità americane solo nel maggio del 2017.

Prima Assad faceva comodo, adesso viene dipinto come un Hitler del XXI secolo.

Un caso eclatante di verità manipolata.


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