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SIRIA: L'AZZARDO SAUDITA


syria

Il campo di battaglia siriano è così affollato che molte volte è difficile capire chi combatte chi. Da una parte i russi e iraniani che affiancano le truppe di Bashar Assad assieme ai volontari sciiti iracheni e libanesi, a cui aggiungere le milizie degli Hezbollah. Sul fronte opposto, vi sono una miriade di gruppi che vanno dal laico Free Syrian Army ai gruppi salafiti come Jabhat al Nusra, Jaish al Sham, Jaish al Suri al Hurr, Suqur al Jabal, Ansar al Sharia, Ansar el Din, Ahrar al Sham o altri meno famosi.

Tutti uniti che combattono Assad? Non necessariamente, perché alcuni sono portatori delle istanze di altri referenti regionali, come Arabia Saudita e Turchia, o di potenze occidentali. Altri invece, come Jabhat al Nusra, si ritengono affiliati ad Al Qaeda e sono quindi in diretta collisione anche con l'ISIS di Al Baghdadi. Ci sono poi i curdi siriani dello YPG (la branca militare del PYD – Partito dell'Unione Democratica), che non combattono Assad ma invece lottano contro l'ISIS. Sono nei fatti in uno stato di tregua di fatto con il regime che durerà fintanto che gli interessi saranno comuni. Ma ci sono anche i Peshmerga iracheni, che combattono l'ISIS ma non hanno buone relazioni con lo YPG. Insomma, uno scenario di tutti contro tutti.

Quello che vale per la guerra sul terreno vale anche per la guerra dal cielo. Sullo spazio aereo siriano volano oggi aerei russi, siriani, americani e di tante altre nazioni. In tutto questo marasma non si sentiva certo la necessità che l'Arabia Saudita dichiarasse la sua intenzione di mandare truppe di terra o aerei in Siria a combattere i terroristi. Un'iniziativa che, peraltro, deve essere ancora declinata nei dettagli. Tuttavia, bisogna vedere se sarà solo l'Arabia Saudita a inviare queste truppe o, come più presumibile, la neo-creata “NATO islamica”. Se si verificasse questa seconda opzione, l'intervento assumerebbe caratteristiche settarie in quanto l'organismo è composto da Paesi a conduzione sunnita. Inoltre, sarà da stabilire se l'intervento militare sarà dedicato a combattere effettivamente il terrorismo dell'ISIS o ad ostacolare l'espansione dello sciismo iraniano.


mohammed bin salman
Mohammed bin Salman


La paura dell'Iran

C'è un disegno egemonico che i sauditi percepiscono come pericoloso per la loro leadership nella regione ed è l'eventualità che si possa realizzare una continuità territoriale da Teheran a Beirut, passando per Baghdad e Damasco. Un disegno che ha avuto come viatico internazionale l'accordo nucleare che ha riportato l'Iran, senza più sanzioni, nelle condizioni di recitare il suo ruolo di potenza regionale.

Che tutto questo sia avvenuto con il beneplacito americano rende ancora più accentuata la suscettibilità saudita in relazione alle vicende siriane. Riyadh sente oggi di non poter contare, a differenza del passato, sulla acritica solidarietà degli Stati Uniti. E' inoltre noto che il Presidente Barack Obama non intende coinvolgere le proprie truppe nelle vicende mediorientali e questa circostanza rende ancora più vulnerabile la posizione saudita. Alla luce di tutto questo, il regno dei Saud, noto in passato per la sua diplomazia felpata e per sue posizioni di politica estera improntate sulla prudenza, si è adesso rivelato interventista e militarista.

Non è chiaro se tutto sia ascrivibile all'indirizzo bellicista che il figlio del Re nonché Ministro della Difesa, Mohammed bin Salman, sta dando al proprio ruolo politico. In ballo c'è il tentativo di accreditarsi come l'uomo del futuro nella variegata Corte Reale. Il dubbio è che questo atteggiamento sia il frutto della paura che si trasforma in spregiudicatezza. L'Arabia Saudita di re Salman è già invischiata in una guerra in Yemen, ha atteggiamenti ambigui sul fenomeno del terrorismo islamico non contrastandone adeguatamente l'appoggio che alcune organizzazioni wahabite saudite assicurano ai gruppi combattenti salafiti, vive una sindrome da accerchiamento sciita confondendo, volutamente, istanze teocratiche con istanze egemoniche.

L'azzardo siriano

La decisione di mandare truppe in Siria è sicuramente un azzardo politico e militare. L'Arabia Saudita è come un giocatore di poker che si siede al tavolo e rilancia pur non avendo in mano carte buone. Ma in Medio Oriente i bluff non sempre riescono. Probabilmente il disegno saudita mira a controbilanciare il ruolo iraniano al fianco di Assad. Nella pratica, i vantaggi che avrebbe Teheran nel sostenere militarmente il regime siriano (e che quindi metterebbe l'Iran nelle condizioni di esercitare con efficacia un ruolo primario nei negoziati di pace di Ginevra per il futuro assetto della regione) un domani dovrebbero essere controbilanciati da un analogo intervento militare diretto o a trazione saudita.

Il Ministro degli Esteri di Riyadh, Adel al Jubeir, ha recentemente affermato che il futuro della Siria dovrà essere senza Assad. Tuttavia, questa circostanza potrebbe essere ininfluente qualora a Damasco finisse per comandare un regime sostenuto da iraniani e russi. L'iniziativa saudita ha il difetto di internazionalizzare ulteriormente le vicende siriane, di elevare il livello dello contro e di creare le condizioni per una guerra strisciante che potrebbe così varcare i confini geografici della Siria ed estendersi a livello regionale. E' questo il pericolo che il Premier russo Dimitri Medvedev ha paventato quando ha evocato il rischio di una “guerra totale”.

Intanto sarà bene vedere quali, tra i 35 Paesi che compongono la “NATO islamica”, decideranno di coinvolgere i propri soldati in questa avventura siriana. Da parte dei Paesi che fanno parte del Gulf Cooperation Council – levato l'Oman che notoriamente è sempre stato contrario agli interventi armati – è probabile che qualche forma di adesione ci sarà, anche se Qatar ed Emirati Arabi Uniti sono già militarmente impegnati nella guerra in Yemen. L'Egitto, già ostile ad essere coinvolto in Yemen e stanti i cattivi rapporti che intercorrono con la Turchia, probabilmente lo sarà anche per la Siria. Il problema del terrorismo l'Egitto lo affronta già in casa, nel Sinai, ed ha focolai di tensione in aree confinarie come la Libia e la Striscia di Gaza.

Inoltre, la guerra saudita in Yemen sta incontrando crescenti difficoltà. Impegnarsi in un altro conflitto è, da questo punto di vista, a dir poco inopportuno. Se, come appare chiaro, l'iniziativa militare in Siria è motivata come contrasto all'Iran, c'è anche da aspettarsi che l'Iran nel prossimo futuro sosterrà con maggior vigore gli Houthi yemeniti nella guerra contro Riyadh o l'opposizione sciita in Bahrein.


nimr al nimr
Nimr al Nimr


Un'escalation premeditata

I dissidi con Teheran risalgono al 1979 quando, dopo la caduta della monarchia laica dello Shah, si è instaurato in Iran un regime teocratico simile a quello già esistente in Arabia Saudita, dove la dinastia dei Saud è legittimata dal clero wahabita. Da allora, i rapporti bilaterali si sono caratterizzati non solo nel contrasto per l'egemonia nella regione, ma hanno assunto anche connotazioni religiose. Nel tempo, questo dissidio politico/religioso è stato soggetto a ripetute tensioni. I conflitti per procura, come la lunga guerra confinaria di Saddam Hussein contro l'Iran e quelle più recenti in Bahrein e Yemen, hanno visto Riyadh e Teheran su sponde opposte della barricata. Oggi, invece, si sta rischiando un confronto diretto.

L'escalation non è cominciata in maniera casuale. L'esecuzione del leader sciita saudita Nimr al Nimr è stata una scelta ponderata e deliberata dei sauditi. Nelle scorse settimane altre 32 persone, in maggioranza sciite, sono state messe sotto processo in Arabia Saudita per spionaggio a favore dell'Iran. Un fatto inusuale, perché non ha precedenti, e che sicuramente innescherà ulteriori tensioni nei rapporti bilaterali, ora peraltro interrotti sul piano diplomatico dopo l'assalto della sede diplomatica saudita a Teheran. L'ultimo tassello è la designazione degli Hezbollah come organizzazione terroristica, sia da parte dei Paesi del Golfo che di quelli della Lega Araba. Dopo aver tagliato i finanziamenti al Libano, i sauditi hanno già prescelto i terroristi da combattere in Siria.

Di fronte a questi eventi bisogna sempre domandarsi quali siano i vantaggi e gli svantaggi di determinate azioni, senza comunque trascurare, come stanno invece facendo i sauditi, i rischi correlati. C'è forse sotto questa dichiarazione bellicista dei sauditi un disegno strategico da realizzare? Non può essere trascurata l'ipotesi che si sia trattato soltanto di una esibizione muscolare a fini propagandistici, sia sul piano interno che internazionale. Questa ipotesi potrebbe trovare indiretta conferma nel fatto che il propagandato invio di un contingente in Siria avverrà nell'arco di due mesi. Un tempo che è incompatibile con le attuali vicende militari siriane, o con le trattative di pace attualmente in corso a Ginevra. Prefigurare un coinvolgimento militare stante l'incertezza del quadro complessivo è quantomeno discutibile.

Fuori tempo massimo

Sul piano prettamente pratico, mettere su una coalizione militare e poi schierarla richiede, come minimo, il doppio del tempo preventivato dai sauditi. Un'operazione fuori dai confini nazionali deve essere ben pianificata, logisticamente organizzata e, visto il coinvolgimento di Paesi terzi, deve definire le procedure, l'integrazione operativa, la realizzazione di un sistema di comando e controllo comune, delle regole di ingaggio dei vari eserciti partecipanti. Inoltre, in Siria operano già diverse nazioni con le quali, nel bene o nel male, occorre relazionarsi per non incorrere in incidenti pericolosi. Alcuni Paesi sono da considerarsi “amici”, altri invece militano nel campo dei “nemici”. Con gli uni occorre coordinarsi, con gli altri evitare di scontrarsi. Dalle dichiarazioni di intenti ai fatti, il passaggio, almeno per quanto riguarda la Siria, non è facile.

Il preludio di quanto potrebbe succedere ha preso corpo dal 14 febbraio al 10 marzo nelle esercitazioni militari congiunte al confine nord dell'Arabia Saudita. Sotto il titolo roboante di “Tuono del Nord”, hanno visto il dispiegamento di 150 mila soldati, oltre duemila aerei e 20 mila carriarmati provenienti da una ventina di Paesi arabi ed islamici. Unità da Pakistan, Turchia, Egitto, Sudan, Giordania, Kuwait Tunisia, Malesia e Marocco hanno inscenato le prove generali di un ipotetico intervento in Siria. Contestualmente, aeri sauditi sono stati dispiegati nella base aerea di Incirlik, in Turchia.

Le porte a disposizione dei sauditi per entrare in Siria sono solo due: il lato turco o quello giordano. Tuttavia, come alcuni analisti internazionali hanno sottolineato, il problema non è tanto entrare in Siria, ma uscirne. Un'altra ipotesi è che l'azzardo saudita sia invece parte di un disegno strategico che vede un tacito accordo tra sauditi e turchi. Entrambi i Paesi sono ostili ad Assad, entrambi sono accomunati dal pericolo russo/iraniano, entrambi vogliono essere parte negoziale del futuro assetto della Siria.

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