IL NEMICO INTERNO: IL TERRORISMO ISLAMICO IN EUROPA
I terroristi dopo l'attacco a Charlie Hebdo
La
capacità di attrazione dell'ISIS è nel messaggio sublimale e
messianico che invita il musulmano a combattere ed uccidere nel
nome di Allah. Un appello che trova udienza in quelle persone che
credono di essere uno strumento della volontà del loro Dio e che,
nel contempo, si trovano a vivere una vita priva di opportunità.
Per coloro che vivono nei paesi arabi o musulmani, la frustrazione
e il risentimento si indirizzano verso dei regimi corrotti e
autoritari dove sono assenti la giustizia sociale e la libertà.
Per chi, invece, vive in altre realtà sociali, come in Europa, il
motivo di rivalsa è generalmente l'emarginazione, il senso di
isolamento derivante dall'appartenenza ad una religione vista con
diffidenza. Con l'adesione dei primi l'ISIS combatte le sue
battaglie per la sopravvivenza del califfato nelle terre
musulmane, con l'adesione dei secondi colpisce il miscredente con
l'arma del terrorismo.
Abu Bakr al Baghdadi sa che il kamikaze che fa una strage in un
locale, in mezzo ad una folla o all'interno di una metropolitana
ha una sua funzione specifica che travalica l'aspetto "militare"
del gesto stesso. L'attentato in Europa spaventa la popolazione,
dà loro un senso di insicurezza e, al contempo, magnifica la
"forza" esterna dell'ISIS, la sua capacità di colpire fuori dal
suo centro geografico mediorientale, accredita una dimensione ed
un ruolo internazionale del movimento.
Candidati al martirio
La manovalanza per condurre queste forme di terrorismo non è
difficile da trovare, soprattutto in Europa dove vi sono oltre 20
milioni di cittadini di fede musulmana. Generalmente è una
popolazione immigrata, arrivata nel continente europeo in cerca di
condizioni di vita migliori e che si colloca quindi in una fascia
sociale bassa con basso livello di istruzione. Ci sono poi i
musulmani europei, come in Albania a maggioranza di fede islamica
(oltre l'80%), o la Bosnia-Herzegovina dove i musulmani superano
il 40%, nonché la regione del Sangiaccato in Serbia.
La provenienza e l'incidenza degli immigrati islamici varia da
Paese a Paese. In Francia i musulmani sono in prevalenza di
origine maghrebina e rappresentano circa il 10% della popolazione
(6 milioni), in Spagna sono poco più del 2% ed in prevalenza
marocchini, nel Regno Unito sono oltre 2,5 milioni (4%), stessa
percentuale anche in Germania (oltre 3,5 milioni) ed in
maggioranza curdi e turchi, in Belgio superano il 6% della sua
popolazione, il 5% in Olanda il 5%, e circa il 4% in Danimarca,
Austria e Svizzera. Tra i paesi scandinavi la Svezia ha la
maggiore incidenza con circa il 6% di popolazione musulmana.
Questo computo ufficiale non tiene conto dei clandestini di fede
musulmana, generalmente molto più impiegabili nel terrorismo. E'
questo il caso dell'Italia, il cui dato ufficiale è di un 2% di
presenza islamica, cifra che raddoppia se si considera
l'immigrazione clandestina per un Paese di primo accesso per le
provenienze dall'Africa.
Sinora l'afflusso di clandestini sui barconi provenienti dalla
Libia non è stato utilizzato per il transito di terroristi.
Esiste, invece, qualche caso sporadico per le provenienze dalla
rotta balcanica. Nelle sue linee essenziali, quindi, il terrorista
islamico non rischia di affondare nel Mediterraneo per portare
avanti il suo disegno eversivo. I motivi sono diversi, ma,
sostanzialmente, l'ISIS ha tali disponibilità finanziarie e una
rete di connivenze nei paesi europei che non ha interesse a far
rischiare la vita di un proprio adepto per giungere
sull'obiettivo. Meglio farlo immolare sull'obiettivo.
Questa fotografia del fenomeno potrebbe presto mutare qualora le
vicende militari del califfato volgessero al peggio in Siria e
Iraq. In questo caso, salvo il fatto che i personaggi più
conosciuti non avrebbero la possibilità di entrare o rientrare in
Europa e si riposizionerebbero quindi in altre aree di crisi, una
massa di diseredati sfuggiti all'attenzione dei vari Servizi di
sicurezza nazionali potrebbe sfruttare questa finestra portandosi
dietro il rancore di una esperienza militare fallita, l'acredine
religiosa coltivata in una guerra dalle forti connotazioni
settarie, ma soprattutto un'esperienza tecnica per meglio condurre
un atto terroristico.
Il camion usato per la strage di Nizza in Francia
Le lezioni recenti
Gli atti terroristici sinora condotti in Europa sono in parte
associati a dei personaggi che sono riusciti ad andare e tornare
dal califfato sfruttando la massa di profughi scatenata dalla
guerra in Siria. Abbinati a dei controlli frontalieri troppe volte
superficiali, i terroristi dell'ISIS hanno usato dei documenti
stampati utilizzando i macchinari appartenuti alle autorità
siriane. Carte di identità difficilmente verificabili in assenza
di una controparte.
Tuttavia, il principale contributo di manovalanza terroristica in
Europa è venuto da immigrati musulmani, il più delle volte di
seconda generazione, nati o stanziali nei Paesi europei dove la
loro famiglia soggiornava da anni. La suggestione propinata da al
Baghdadi e dalla sua macchina propagandistica e la
strumentalizzazione emotiva del suo disegno alimentata dai sermoni
di imam europei estremisti ha sfruttato la voglia di rivalsa
sociale e l'emarginazione delle nuove generazioni di musulmani
europei. Non è casuale che gli attentati in Francia e Belgio siano
stati concepiti nelle banlieu delle capitali dove sono prevalenti
il senso di esclusione e frustrazione. Ed è forse proprio per
l'assenza di tali ghetti che altrettanto non è avvenuto ancora in
Italia o altrove.
La metodologia dell'ISIS è quella di inculcare nell'individuo il
convincimento che la famiglia biologica, dove però talvolta
avviene la prima forma di radicalizzazione, è meno importante
della comunità islamica in senso lato. Il combattente recide ogni
legame affettivo, si convince che il suo percorso terreno è solo
strumentale ad una finalità religiosa e questo lo porta
inevitabilmente al martirio. Una strada a senso unico e senza
ritorno. L'ISIS propone una finalità religiosa nell'ambito di un
progetto militare e sociale. E, a seconda delle convenienze del
momento, antepone un obiettivo all'altro.
Esiste anche una correlazione tra le vicende militari dell'ISIS e
la crescita del terrorismo internazionale. Il combattente islamico
ha bisogno di sollevare il proprio morale quando, come adesso,
perde le battaglie ed un attentato nel cuore del nemico ha questo
effetto inebriante. Anche perché nella mente di un combattente
islamico che crede di portare avanti un disegno divino la
sconfitta non esiste. Con Allah c'è solo la vittoria e se questa
non si realizza si crea un cortocircuito nelle sue convinzioni
religiose. Il perseguimento di un'utopia religiosa, quel movente
che giustifica anche un martirio viene improvvisamente a mancare.
Ed alla fine la disaffezione di un combattente islamico è il
peggior nemico dell'ISIS.
Tipologie di minacce
La manovalanza del terrorismo in Europa è generata nelle sue linee
essenziali da due fonti:
- i cosiddetti "lupi solitari", che altro non sono che individui
generalmente giovani inseriti in famiglie emigrate di seconda
generazione di fede islamica che, per motivazioni varie, si
avvicinano alle idee radicali dell'ISIS sintonizzando i propri
sentimenti sui messaggi sublimali che internet e i social network
diffondono per propaganda o che alcuni imam portano all'interno
delle moschee. Alla fine di un processo di plagio psicologico si
arriva all'attentato che, molte volte, non è eterodirètto da
Mohammed Adnani da Raqqa ma è frutto di una scelta individuale.
- i foreign fighters che hanno lasciato l'Europa per combattere
con al Baghdadi. Sono circa 5-6.000 sui circa 30mila che si sono
uniti al califfo e di cui un 10/15% è poi morto in combattimento.
Secondo alcune valutazioni di intelligence, circa il 20/30 % dei
sopravvissuti cercherà di fare rientro nel Paese di residenza.
Sono sicuramente i più pericolosi e sono anche parte attiva di un
disegno terroristico pilotato e concertato dall'ISIS. Hanno
contatti tra loro, sanno come e dove colpire. Sanno anche
nascondersi. Sono i più motivati e sono anche quelli che meditano
una rivincita. Quel che più preoccupa è che un 30% di questi
individui, pari a circa 1.500 uomini, non è noto alle varie
polizie nazionali e ha quindi buone probabilità di sfuggire ai
controlli di sicurezza. Questo dato, frutto della scarsa
collaborazione tra le varie agenzie di intelligence europee e
della carenza nei canali di polizia sotto il coordinamento di
Europol, avrà presto delle conseguenze sul terreno.
A differenza dei lupi solitari, il foreign fighter europeo non ha
generalmente una caratterizzazione sociale che ne faciliti
l'individuazione. Ha un livello di istruzione differenziato, può
essere un convertito o provenire da una famiglia musulmana, uomo o
donna (sono almeno 200 le donne di nazionalità francese), sposato
o single, con figli o senza, non necessariamente disoccupato o
precario ma molto spesso socialmente integrato e con un livello di
reddito dignitoso, con o senza precedenti penali. E' come cercare
un ago in un pagliaio.
Probabilmente i Paesi con una comunità musulmana più grande e
magari non sufficientemente integrata sono anche quelli che hanno
contribuito maggiormente alla transumanza di foreign fighters
verso il Medio Oriente e sono quindi quelli che rischiano
maggiormente un attentato di ritorno. In questa casistica si pone
in testa la Francia (circa 1.500 combattenti), seguita da Germania
e Gran Bretagna (circa 6/700 ciascuno), Belgio (450), Svezia
(350), Austria, Danimarca e Olanda (circa 150/200), Spagna (100),
Italia (80/90), Finlandia (70), Irlanda (30). A questi vanno
aggiunti altri 900 jihadisti partiti dall'area balcanica.
Rapportando questi numeri alla popolazione, il Belgio balza in
testa alla classifica con circa 45 jihadisti per milione di
abitanti. Se questi dati sono da correlare agli attentati avvenuti
nel Paese, le cause sono da individuare in parte nella scarsa
integrazione delle comunità straniere che vivono ghettizzate,
dall'altra nelle falle di un sistema di sicurezza approssimato,
diviso e parcellizzato ai limiti del ridicolo.
Le conseguenze dell'attacco al Bataclan
Nemici in casa
Secondo alcuni sondaggi, l'ISIS riscuoteva al suo apice di
splendore il sostegno di circa il 13% dei musulmani europei, oggi,
a seguito delle disfatte sul terreno, siamo intorno al 6%. Il
dato, raccolto fra una popolazione giovane, mostra una
correlazione diretta tra vittorie/simpatia e
sconfitte/disaffezione. E' facile passare dall'emulazione
all'avversione a seconda di dove tiri il vento.
Accettazione o rifiuto dello Stato Islamico a parte, nel Regno
Unito il 27 % dei musulmani intervistati ha approvato le stragi
parigine al Bataclan e dintorni, il 16% dei musulmani francesi
simpatizza con il califfo, mentre ben il 72% dei musulmani
olandesi simpatizza per l'ISIS. Lo stesso dicasi del sostegno al
martirio tra i musulmani europei: il 35% nel Regno Unito, il 42%
in Francia ed il 22% in Germania.
C'è da domandarsi da dove provenga tutta questa simpatia nei
confronti di un movimento resosi spesso protagonista di eccidi e
crudeltà. Proviamo ad abbozzare alcune risposte: l'Islam umiliato
in Occidente, il vivere in società che non rispondono alla propria
cultura, la lotta sempre e comunque contro gli infedeli.
Esiste quindi il modo di debellare, sia esso endogeno o esogeno,
questo terrorismo di matrice religiosa? Il rischio zero non
esiste, soprattutto quando l'attentato è concepito e condotto da
un "lupo solitario". Cosa dire invece degli attacchi concepiti,
organizzati e condotti da individui legati organicamente all'ISIS?
In teoria, se l'attività di prevenzione dei Servizi di Sicurezza
fosse efficiente, sarebbe più prevenirli o contrastarli. Un
documento rinvenuto di recente in mano ai jihadisti dà l'idea di
quanto sia ben organizzato il movimento di al Baghdadi al
riguardo: cellule separate e collegate tra loro in modo da non
fare smantellare l'intera struttura, l'utilizzo di
mediatori/intermediari nelle comunicazioni, la presenza di un
emiro al vertice di ogni struttura, e poi di un suo vice, di un
gruppo dedicato alla logistica, di uno che effettua le
ricognizioni sull'obiettivo e poi il gruppo che fa l'azione. A
monte un comando che pianifica ed indica gli obiettivi. Tutto
studiato nei minimi particolari per non essere scoperti e poter
così colpire il nemico.