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IL TERRORISMO E IL PROBLEMA DEL FINANZIAMENTO

taliban money

Nel terrorismo islamico sono due i fattori principali che qualificano il quoziente operativo di una organizzazione e, quindi, la sua correlata pericolosità: la capacità di reclutamento e di finanziamento.

Giovani senza futuro

Il reclutamento non rappresenta oggi una difficoltà, in quanto vi è una forte offerta di manovalanza nel mondo arabo e musulmano. L'instabilità diffusa offre oggi immense opportunità operative; il mix di disagio sociale, rancori e frustrazioni economiche spinge masse di diseredati a votarsi ad un ideale peraltro giustificato da dettami religiosi. Ad alimentarlo vi è la martellante propaganda di organizzazioni islamiche o i sermoni nelle moschee che sobillano questi risentimenti, ispirano e divulgano teorie estremistiche sotto la copertura di servizi sociali.

Il giovane che non ha aspettative per il futuro, non ha lavoro o soldi, vive nel quotidiano sotto un regime totalitario o nella prevaricazione o nella povertà, tramuta la sua rabbia e frustrazione in violenza e, se questa violenza viene giustificata da motivazioni religiose, decade anche un'eventuale remora psicologica tra il fare del bene ed il fare del male. Per lui il terrorismo diventa una necessità, un'opportunità, un'aspettativa. Se non ha futuro, non ha paura del futuro. E' questo aspetto del reclutamento dei potenziali terroristi che, come illustrato, avviene con sufficiente facilità a causa del contesto sociale in cui si realizza.

Follow the money

L’aspetto invece più complicato è quello del finanziamento delle organizzazioni terroristiche perché, se è pur vero che i soldi che circolano in questo settore sono molti, è altrettanto vero che i meccanismi per movimentare queste masse di denaro devono essere cautelati, coperti, nascosti. Devono, in altre parole, essere resi invisibili per non essere individuati: sia per mantenere anonima l’identità di chi fornisce i soldi, sia per assicurare che il denaro arrivi a destinazione.

Le precauzioni sono tante perché questo è un campo dove i Servizi, le strutture di sicurezza dei vari paesi sono particolarmente attrezzate e impegnate per combattere il terrorismo. Anche perché nel settore dell’antiterrorismo l’assunto “follow the money” ha sempre ricadute positive.

Ci sono molti modi per fare circolare i soldi, sia in modo formale (come le banche) nonostante i controlli bancari siano molto stretti e le transazioni finanziarie lasciano tracce indelebili, sia al di fuori dei circuiti ufficiali. E’ chiaro che le organizzazioni terroristiche propendono verso questa seconda soluzione, anche se molto avviene ancora anche sui canali “ufficiali”.


islamic bank

I canali ufficiali

La fonte primaria “ufficiale” per il transito di denaro verso le organizzazioni fondamentaliste sono soprattutto le banche di ispirazione islamica, ovvero quegli istituti finanziari dove sono concettualmente rifiutati gli interessi e la speculazione finanziaria (percepiti come usura) nell’applicazione di un concetto di equità nella distribuzione della ricchezza come intesa dal Corano e nell’applicazione del disegno divino e della legge islamica (“sharia”).

Nate inizialmente nel 1963 in Egitto e poi diffusesi con la Islamic Development Bank nel 1975 e la Islamic Association of Islamic Banks nel 1977, le banche islamiche si sono diffuse geograficamente in tutto il mondo arabo e non solo con un proliferare di istituti e organismi. La natura di queste banche, vuoi per il loro approccio religioso, la vicinanza al mondo e clero musulmano e il reclutamento di personale nelle strutture religiose, meglio di altre si adatta a quelle transazioni finanziarie il cui movente ha una preminente fisionomia etico-religiosa.

Ad essere veicolata nella forma apparente di soldi puliti che poi possono diventare malamente impiegati è soprattutto la “zakat”, la carità, ovvero quel sistema di elargizione finanziaria da parte di devoti musulmani a favore dei meno abbienti. Una elemosina, correlata al proprio reddito, che diventa solidarietà islamica a compensazione delle disuguaglianze sociali. Sono soldi ufficiali, pubblici, noti quindi esenti, almeno fino alla dimostrazione del contrario, da sospetti. Il fatto che transitino per queste banche e che circolino soprattutto in Paesi arabi o musulmani rende, per questi flussi di danaro, problematico il già citato “follow the money”. Al riguardo, basti pensare che i soldi per i 19 attentatori/dirottatori dell’11 settembre 2011 erano giunti da Dubai per vie “ufficiali”.

La finanza islamica è oggi particolarmente diffusa anche nei paesi occidentali e si stima che la massa di denaro movimentato da queste strutture oscilli oggi tra i 1500 ed i 2000 miliardi di dollari. In questo mare di soldi è facile che una transazione con finalità occulte possa passare inosservata. Alcune delle banche islamiche sono state accusate di essere strumento diretto – e non fortuito – del finanziamento di organizzazioni estremiste e/o terroriste. E’ il caso della Al Barakaat Bank, che ha almeno 40 filiali in tutto il mondo, della Al Taqwa Bank, che ha sede anche in paradisi fiscali (ed è considerata sotto il controllo operativo dei Fratelli Musulmani), la Daar al Mahal al Islami e la Dallah al Baraka (considerate a suo tempo sotto controllo o nella compiacenza operativa di Osama Bin Laden).

Affiancate al sistema bancario islamico ci sono poi le fondazioni islamiche, comunemente indicate come “waqf” cioè quelle che amministrano, con finalità caritatevoli o di gestione patrimoniale di beni a scopo religioso (moschee o altro). Nelle fondazioni confluiscono donazioni, elargizioni di soldi, lasciti ereditari. Spesso anche fra le pieghe di questo flusso circolano soldi dalle dubbie finalità. Per avere la dimensione del fenomeno basti pensare, ad esempio, che solo in Italia le moschee sono circa mille.

Accanto alle fondazioni vi sono anche le organizzazioni caritatevoli che svolgono ufficialmente attività umanitaria. Anche qui convergono donazioni di denaro e zakat, ma soprattutto vi è una forte commistione tra finanziamento illecito e reclutamento. Altrettanto si può dire delle scuole coraniche che pullulano in tutto il mondo, dove vengono venduti libri, registrazioni, raccolte quote associative, organizzate conferenze e raduni.


hawala


I sistemi alternativi

Oltre ai cosiddetti canali ufficiali, vi è in alternativa anche un sistema informale per le transazioni finanziarie divenuto famoso soprattutto perché applicato in forma massiva in Somalia (e poi mutuato altrove): l “hawala” (in arabo 'trasferimento'). Io do dei soldi ad un intermediario nel mio paese, mentre un altro intermediario versa l'ammontare equivalente a chi di dovere in un altro paese. I due intermediari sono compensati finanziariamente in un conto gestito dalla casa madre. Non figura il nome di un mandante, non figura il nome di un ricevente, non c’è traccia di un trasferimento internazionale di soldi. Il sistema hawala ha la principale base operativa a Dubai, garantisce completamente l’anonimato ed è quindi particolarmente utile a chi non vuole fare controllare le sue iniziative finanziarie. Il suo giro d’affari annuale è stimato tra i 6/8 miliardi di dollari. Oggi questo sistema si è allargato ed evoluto con l'ausilio delle agenzie di “money transfer” che talvolta operano disattendendo le norme di sicurezza in materia di verifica e controllo nei paesi in cui operano.

Può essere ritenuto complementare al trasferimento di soldi informale anche quello che avviene tramite l’utilizzo di contanti materialmente trasportati da una persona da un paese all’altro. I rischi, in questo caso, sono ammortizzati dall’utilizzo di parenti. Poi c’è internet, dove una transazione finanziaria tramite agenzie non ufficiali può essere portata a compimento con sufficiente facilità. Ultimamente si sono aggiunti i trasferimenti di soldi tramite schede telefoniche (al riguardo si erano opposti a queste transazioni gli Shabab somali nelle aree sotto il loro controllo per favorire l’hawala).

A supporto delle attività illecite di trasferimento di denaro per finalità terroristiche si affiancano e intersecano spesso e volentieri le analoghe attività criminali di riciclaggio. Come ampiamente confermato dai fatti, c’è una collusione ed una sinergia tra questi due mondi, i quali condividono un comune obiettivo pratico seppur differenziato da finalità eversive o criminali. I talebani afghani si dedicano al traffico di droga ed impongono tasse sulla coltivazione dell’oppio (denominata “ushr”), gli Shabab somali si fanno pagare dei dazi nei territori sotto il loro controllo (nei porti, sul commercio del carbone, ai posti di blocco). Il proliferare di altre attività similari è comune ad altre parti nel mondo dove sono presenti formazioni terroristiche: estorsioni ,riciclaggio, traffico di esseri umani e di armi, rapine, furti ,sequestri e richieste di riscatti (in Mali e dintorni), falsificazione di documenti (gli algerini in Italia), commercio di pietre preziose (Boko Haram in Nigeria ma sembra anche Ansar al Sharia in Tunisia).

Un'ultima attenzione bisogna poi riservarla a tutta una serie di società di copertura dove, accanto ad una attività ufficiale e lecita, se ne nasconde un’altra illegale. I Servizi occidentali hanno più volte scoperto strutture del genere: le cosiddette società di comodo. In prima linea appaiono nella casistica le società di import-export. E’ questo un settore in cui, fin dall’inizio, si è dedicata anche Al Qaeda. Basti pensare a tutti gli investimenti (per fare soldi, ma anche per trasferirli) che nel tempo sono stati accreditati allo stesso Bin Laden: dalle citate società di import-export, agli appezzamenti agricoli in Tajikistan e Sudan, investimenti immobiliari e terreni boschivi in Turchia, cartiere e legname in Norvegia, pescherecci in Kenya e così via. Un giro di affari e di investimenti stimato in termini di valore patrimoniale intorno ai 5 miliardi di dollari.

Un fenomeno difficile da combattere

La globalizzazione dei mercati, società offshore, paradisi fiscali, trust, offrono grosse opportunità alle transazioni finanziarie coperte. Il terrorista moderno non si identifica con lo stereotipo del mujaheddin barbuto con il kalashnikov in mano che urla “Allah Akbar”. Il combattente radicale è solo l’ultimo stadio della catena terroristica, il manovale ma non la mente. Dietro di lui, maggiormente pericoloso, è l’esperto di sistemi finanziari e bancari, il manager,colui che ha dimestichezza con le comunicazioni ed internet, conosce i mercati, conosce le leggi e la maniera di aggirarle. E’ il cosiddetto colletto bianco che sta dietro l'estremista sul campo.

E questo è un mondo difficile da decifrare perché attività legali ed illegali si sovrappongono ed è quindi più arduo trovare una chiara demarcazione tra finanza e terrorismo. Per questo vi si stanno dedicando in maniera massiva molti Servizi di Sicurezza. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno approvato leggi restrittive in materia finanziaria. Altrettanto ha fatto l’Europa contro il riciclaggio di denaro attraverso le iniziative della Financial Action Task Force. Anche le Nazioni Unite, nonostante lo scarso valore impositivo delle proprie iniziative, hanno adottato ed approvato una serie di misure miranti a colpire i sistemi finanziari che alimentano il terrorismo. Questo perché è ampiamente dimostrato che i soldi che alimentano una struttura terroristica provengono in massima parte dall’estero e quindi hanno bisogno, in qualche modo, di essere trasferiti.

Tuttavia, il finanziamento del terrorismo è ben lontano dall'essere sradicato e, se questo non avviene efficacemente, è ben difficile che lo stesso terrorismo venga debellato. Perché, se è pur vero che il terrorista è motivato soprattutto da convinzioni ideologiche, ha comunque bisogno di soldi per sopravvivere e per rendere efficace il suo strumento di morte.