ISIS: PROSSIMA TAPPA SINAI

Nella
penisola del Sinai la presenza dei miliziani dell'ISIS è
concentrata soprattutto nel nord, intorno a Al Arish, dove
peraltro controllano alcuni tratti costieri. Non è quindi un caso
che il recente attentato contro la moschea sufi Al Rawdah di Bir
Abed, dove ci sono stati oltre 300 morti, sia avvenuta in
quell'area. Colpire e uccidere dei fedeli islamici, ritenuti
deviati, in una moschea acquista un valore simbolico. Il Sufismo
viene considerato eretico da chi, come i terroristi dell'ISIS, si
alimenta religiosamente sui parametri del wahabismo saudita.
Sotto questo aspetto il Sinai è un po' una terra di frontiera. Con
la disfatta in Siria ed Iraq, rendere centrale l'attività
terroristica dell'ISIS nel Sinai è quindi un modo per alimentare
il sogno di un califfato ed anche per fornire un'area di rifugio
per molti mujahidin sopravvissuti alla debacle. Il Sinai inoltre
presenta indubbi vantaggi ai terroristi islamici:
• sul piano pratico perché le distese desertiche, scarsamente
abitate, talvolta montagnose, aiutano meglio a nascondersi e a
muoversi, ovviamente con i dovuti accorgimenti;
• sul piano della legittimazione dell'attività terroristica perché
la restaurazione del regime militare al Cairo, attuata
defenestrando un Presidente islamista e seguita da una continua
persecuzione dei Fratelli Musulmani, pone ancora una volta,
nell'immaginario di chi crede nel radicalismo islamico, la
contrapposizione tra credenti e i tafkir, categoria che include i
miscredenti islamici, qui accomunati ai kafir (gli infedeli);
• sul piano strategico perché la vicinanza geografica del Sinai ad
Israele e Gaza teoricamente permette all'Isis di colpire altri
obiettivi e di cavalcare – ovvero appropriarsi – anche altre
battaglie molto sentite nel mondo arabo.
Le tribù beduine
Le tribù beduine del Sinai, una popolazione di circa 700.000
persone disperse in un territorio di 60.000 kmq, fino all'arrivo
dei terroristi dell'ISIS non erano mai state infettate dal
radicalismo islamico. Avevano però appoggiato il presidente
Mohamed Morsi. La successiva restaurazione di un regime militare
al Cairo con Abdel Fattah al Sisi hanno alimentato simpatie per il
radicalismo islamico.
In generale, le tribù beduine del Sinai non sono mai state molto
coinvolte nelle dispute politiche o religiose preferendo dare
invece precedenza ai loro traffici più o meno legali. E quindi,
con le autorità del Cairo ma soprattutto con le autorità militari
nella Penisola, vi è sempre stato un tacito accordo di convivenza.
Nei fatti, i beduini della penisola non si riconoscono
nell'autorità centrale egiziana. L'arrivo dei terroristi dell'ISIS
ha rotto questo equilibrio.
Il dispositivo militare
Dal punto di vista militare nel Sinai l'Egitto ha schierato due
Divisioni: la 2^ Divisione che controlla la parte nord della
penisola e la 3^ Divisione che invece si occupa della parte
centrale della penisola estendendo il controllo al Golfo di Aqaba
e al canale di Suez. La fascia vicina ai confini con Israele è
invece sotto il controllo del Ministero dell'Interno (vedasi Invisible Dog Issue #24
del Dicembre 2013: "Sinai terra di nessuno").
Sul piano operativo, la 2^ Divisione controlla un'area più
stretta, ma più densamente popolata da terroristi. Era stata
recentemente rinforzata con elicotteri, droni, carri armati e
artiglieria. I risultati, visto anche l'attentato alla moschea di
Bir Abed, non sono stati buoni.
La 3^ Divisione, invece, copre un'area più estesa che cerca di
controllare con sporadici posti di blocco ed è quindi
saltuariamente oggetto di attentati. Uno stillicidio che ha
prodotto sinora la morte di circa 2.000 soldati. Oramai nel Sinai
i convogli militari si muovono solo se fortemente scortati.
Ed è un fatto oggettivo che, nonostante lo schieramento di oltre
30.000 uomini, non si riesca efficacemente a neutralizzare un
migliaio, forse anche duemila (ma non esistono stime precise al
riguardo) terroristi.

Il
consenso dei beduini
Né l'ISIS, né l'esercito egiziano possono vincere questa guerra di
logoramento senza il supporto delle tribù beduine che sono le
uniche, nei fatti, ad avere il controllo del territorio. Ci sono
tre importanti federazioni di tribù che vivono nella penisola: i
Suwarka nella parte costiera intorno ad Al Arish fino alla
Striscia di Gaza, i Tarabin nella parte centro settentrionale ed i
Tiyaha nella parte centro meridionale.
Secondo notizie provenienti dall'intelligence israeliano, ci
sarebbero stati contatti e negoziati tra alcuni capi dell'ISIS e i
capi tribù dei Tiyaha per poter utilizzare l'area meridionale del
Sinai per la loro attività terroristica. L'obiettivo iniziale
sarebbe stato l'esercito egiziano e, in prospettiva, il traffico
marittimo tra Aqaba ed il Canale di Suez. L'attentato di Bir Abed,
secondo alcuni analisti, sembra avesse anche lo scopo di colpire
le tribù dei Suwarka, accusate di collaborazionismo con le forze
di sicurezza egiziane.
Le milizie paramilitari
L'esercito egiziano si avvale della collaborazione di milizie
locali armate che operano sul territorio in modo molto brutale. In
pratica, fanno un lavoro sporco che mira a eliminare terroristi o
presunti tali in modo sommario. A volte ne paga le spese anche la
popolazione autoctona e questo non aiuta la cooperazione tra
beduini ed esercito egiziano. Anzi, questo crea spesso avversione
verso le autorità militari.
A fronte delle efferatezze dell'ISIS, adesso ci sono anche quelle
di queste milizie e questo porta a rendere questa guerra ancora
più sanguinaria. Lo stato di emergenza decretato nel 2014, con
tutte le libertà e discrezionalità concesse alle forze di
sicurezza, aiuta a nascondere crimini ed abusi. Quello che manca
all'esercito egiziano è un'adeguata attività intelligence. E
questo è possibile solo con la cooperazione delle tribù autoctone.

Hisham Ashmawi alias Abu Omar al Muhajir
Un
terrorismo che si rafforza
Con il recente afflusso di combattenti scappati dalla Siria e
dall'Iraq, le file del terrorismo locale si sono ingrossate. I
nuovi arrivati hanno peraltro un bagaglio di esperienze militari
che i locali non hanno. Questo ha portato il terrorismo nel Sinai
a migliorare in qualità e quantità. Anche la dinamica
dell'attentato alla moschea al Rawdah dimostra un’organizzazione
di tipo militare. Dal nucleo iniziale che operava, fin dal 2011,
sotto il nome di "Ansar Beit al Maqdis" ("Partigiani di
Gerusalemme") si è passati all'adesione al califfato nel 2014 ed
al nome "Velayat Sinai" ( "Provincia Sinai"). Il passaggio formale
e di responsabilità all'ISIS ha portato ad una fusione organica
tra le due organizzazioni.
Nel Sinai opera anche un gruppo armato affiliato ad Al Qaeda, il
"Jamaat al Jund Islam" ("Gruppo dei soldati dell'Islam"), il quale
è ricomparso con un comunicato nello scorso ottobre dichiarando
guerra aperta all'ISIS, accusato di "kharigismo", ovvero di
uccidere altri musulmani. È noto che mentre l'ISIS si dedica alla
lotta contro i tafkir (sunniti o sciita che siano), Al Qaeda, da
sempre, prende di mira soprattutto i kafir.
Jund al Islam era assurto alla notorietà nel settembre 2013 per un
attacco contro militari egiziani a Rafah. Chi guida il terrorismo
di Al Qaeda in Egitto è Hisham Ashmawi alias Abu Omar al Muhajir
che in territorio metropolitano si avvale di altre sigle o gruppi
come Ansar al Islam e Morabitoun. Il capo dell'ISIS nel Sinai è
invece Mohammed al Isawi, noto con il nome di battaglia di Abu
Osama al Masri, già cliente delle carceri egiziani da cui era
scappato dopo le insurrezione del 2011. Ricopre l'incarico dal
2016 dopo che il precedente leader del gruppo, Abu Dua'l al
Ansari, è stato ucciso da un raid aereo egiziano.
Il rischio futuro
Il terrorismo nel in Sinai è fortemente condizionato non solo
dalle vicende mediorientali, ma soprattutto da quelle interne
egiziane. E non è quindi casuale che atti di terrorismo si siano
sviluppati anche in altre parti del Paese. La lotta che le
autorità del Cairo conducono contro il terrorismo nel Sinai è
quindi parte di un confronto più ampio dove è in gioco la
sopravvivenza del regime. Sul territorio metropolitano sta
avvenendo una saldatura tra il terrorismo di Al Qaeda e quello che
le frange estremiste dei Fratelli Musulmani perseguono dopo
l'estromissione di Morsi e la successiva, sistematica persecuzione
della Fratellanza. Unico comune denominatore: la legittimazione di
una battaglia in nome di un obiettivo religioso. I Fratelli
Musulmani, da movimento preminentemente politico più o meno
legale, sono adesso tracimati, costretti dalle circostanze, a
perseguire la loro battaglia ricorrendo al terrorismo. E se questa
saldatura tra Fratellanza, Al Qaeda e ISIS andrà avanti, il
pericolo che corre l'Egitto per la sua stabilità sarà sempre più
alto.