TUAREG:
LEGITTIME RIVENDICAZIONI O TERRORISMO?

Il 4 febbraio 1998 veniva creata la Comunita' degli Stati del Sahel Sahariano, meglio conosciuta con l'acronimo di CEN-SAD. Era una iniziativa voluta da Gheddafi e che inizialmente vedeva l'adesione di 6 Stati (oltre alla Libia, il Niger, il Mali, il Sudan, il Ciad , il Burkina Faso). Scopo dichiarato: quello di creare una zona di libero scambio che potesse favorire l'integrazione economica. Quindi qualcosa di simile alla COMESA (Common Market for Easter and Southern Africa) nell'Africa australe e orientale o all'ECOWAS (Economic Community for West Africa States) per l'Africa occidentale, il SADC (Southern Africa Development Community) dell'Africa australe.
Scopo reale: quello di mettere in atto, da parte libica, un'area di influenza favorevole ai propri interessi geo-strategici. Quartier generale a Tripoli, soldi e finanziamenti soprattutto libici verso questi Paesi vicini, economicamente disastrati e quindi facilmente asservibili ai propri voleri. Nel tempo il CEN-SAD si e' ulteriormente allargato arrivando a comprendere 28 Paesi, quindi anche fuori dai confini geografici della fascia sub-sahariana (altri Paesi hanno infatti aderito nel mal celato interesse di acquisire soldi ed investimenti libici). Ma sostanzialmente, a parte la nota megalomania di Gheddafi (che poi si era servito di questa organizzazione per ottenere il necessario consenso per una guida annuale dell'African Union), la finalita' principale del CEN-SAD e' rimasta nel tempo quella, da parte libica, di tenere in sudditanza politica e finanziaria i Paesi di questa regione.
Il CEN-SAD permetteva quindi alla Libia di interferire – in una cornice di "legalita'" istituzionale – con gli affari interni dei Paesi sub-sahariani, teneva rapporti con le comunita' tuareg della zona talvolta strumentalizzandole e assecondandone all'occorrenza le spinte autonomistiche, talvolta mediando tra loro e le autorita' centrali dei vari Paesi. In questo modo controllava quello che avveniva ai propri confini meridionali, si assicurava una certa sicurezza frontaliera ma lo faceva esercitando nel contempo una forma di pressione sugli Stati limitrofi. Si garantiva anche dai problemi di convivenza con i Toubou del Tibesti ciadiano, altra etnia tuareg, che si scontravano periodicamente con la popolazione di Kufra.
Le intromissioni libiche nelle vicende tuareg procuravano al regime del Rais anche manovalanza a basso prezzo per finalita' di sicurezza interna come il massivo impiego di mercenari sub-sahariani, prevalentemente tuareg, a fianco dei lealisti nel corso della rivolta.
Queste ingerenze libiche creavano pero' anche problemi relazionali con l'Algeria che non vedeva di buon occhio le interferenze di Tripoli in un'area al nord del Mali (e quindi al sud dell'Algeria), dove la collusione tra bande tuareg e formazioni di AQIM (Al Qaida in the Islamic Maghreb) poneva grossi problemi di sicurezza. Ma anche Tripoli, a parte le manipolazioni a proprio favore delle istanze tuareg, temeva questa collusione perche' nell'ambito di AQIM erano confluiti anche le katibah (leggasi battaglioni) di irriducibili libici del disciolto Gruppo Islamico Combattente Libico.
Tanta era questa preoccupazione libica in questo campo che, nell'ambito del Segretariato Generale del CEN-SAD, c'era un Dipartimento Pace e Sicurezza che altro non era che un ufficio di coordinamento tra i Servizi dei Paesi aderenti all'organizzazione.

ex-Ministro degli Esteri libico Musa Kusa
Ma anche questo non bastava e Tripoli aveva lanciato, intorno al 2005, l'idea di costituire a Bamako un centro di coordinamento operativo dove fare confluire tutte le notizie afferenti il terrorismo regionale e di costituire nel contempo una forza di pronto intervento con truppe dei Paesi della fascia sub-sahariana. Per costituire questa struttura era stato richiesto il sostegno (addestrativo, finanziario e di apparecchiature) a vari Paesi occidentali. Gli americani avevano aderito in linea di principio benche' diffidenti, gli inglesi si erano accodati, i francesi erano invece riluttanti a vedere interferenze di altre nazioni in una zona di egemonia francofona come l'ex colonia del Mali, italiani e spagnoli erano favorevoli qualora l'iniziativa fosse stata meglio dettagliata. Chi pilotava i contatti era il Musa Kusa, prima nella veste di Direttore dell'External Security Service e poi di Ministro degli esteri. Comunque l'iniziativa libica non era stata supportata da ulteriori dettagli ed il progetto e' rimasto senza seguito anche per quello che poi e' successo nelle vicende interne libiche.
In sintesi, le interferenze libiche nella regione oscillavano tra due interessi contrastanti: da un lato l'utilizzo spregiudicato delle comunita' tuareg per destabilizzare e soggiogare politicamente i Paesi del Sahel, dall'altro il dover evitare che situazioni di instabilita' creassero spazio alla diffusione del terrorismo maghrebino.
Prima dello scoppiare della cosiddetta primavera araba la questione tuareg/terrorismo era in questi termini. Libia e Algeria sviluppavano attivita' di contrasto e repressione verso ogni forma di terrorismo seppur con risultati alterni, Mali e Niger (ed in quota parte anche Mauritania) ottenevano il dovuto supporto in questa direzione e l'unico aspetto che allora preoccupava i regimi della regione era questa commistione/convivenza che si esplicitava in attivita' di sequestri di persone, traffico di armi e droga e brigantaggio.
LA CADUTA DI GHEDDAFI
La caduta del regime di Gheddafi ha modificato i termini del problema. La presenza di mercenari tuareg maliani a fianco dei lealisti (circa 600 uomini) ha fatto si' che dopo l'uccisione di Gheddafi questa massa di gente, fortemente armata, scappasse dalla Libia rifugiandosi nei Paesi originari del Sahel. Accanto ai tuareg sono dovuti scappare dalla Libia anche tutte quelle masse di clandestini africani che si erano introdotti nel Paese per trovare un lavoro o per comprasi un viaggio della speranza verso l'Italia (i soli maliani erano circa 2000). Infatti, oramai in Libia si era creato nell'immaginario dei ribelli che avevano conquistato il potere che ogni persona di colore potesse essere stato un mercenario e quindi doveva essere perseguito o giustiziato.
Transumando verso il sud, questa massa di gente ha pero' acuito in modo irreversibile i problemi sociali e di sicurezza dei Paesi dell'area. I tuareg (piu' armati di prima) hanno iniziato ad utilizzare la loro forza per portare avanti le loro istanze secessioniste (e quindi si sono saldati con le formazioni di AQIM che trovavano maggior spazio operativo in aree destabilizzate), i poveri clandestini che sono tornati in patria hanno ancor piu' peggiorato le condizioni di disagio sociale, soprattutto del Niger e del Mali, ora a corto dei finanziamenti del Rais.
Su questa situazione socialmente esplosiva si e' innescato un ulteriore elemento di destabilizzazione: la fuga degli uomini di Gheddafi dopo la caduta del regime verso il sud, il loro interesse a utilizzare ancora una volta i tuareg per contrastare la nuova dirigenza libica , il fascino ed il potere persuasivo dei loro soldi.

Ribelli Tuareg
IL GOLPE MILITARE
Ed e' in questo scenario che deve essere letto ed interpretato quello che poi e' avvenuto in Mali. Gia' ad inizio dell'anno si erano sviluppate le prime nuove proteste tuareg. Il governo centrale maliano non era risultato in grado materialmente di fronteggiare questa emergenza militare. Nella notte tra il 21 e il 22 marzo di quest'anno avviene un colpo di Stato militare in Bamako: 2 contingenti militari della capitale si ribellano, soprattutto quelli del guarnigione di Kati, alle porte di Bamako, la piu' grande del Paese. Guida la rivolta il tenente Amadou Haya Sanogo che sospende ogni garanzia costituzionale, impone il coprifuoco e chiude frontiere e aeroporti. Il Presidente Amadou Toumani Toure', amico di Gheddafi (durante la rivolta libica aveva tentato per conto dell'African Union una mediazione tra il Rais ed i ribelli) viene estromesso. Toure' viene accusato di non aver saputo adeguatamente contrastare ed eliminare la rivolta tuareg nel nord del Paese.
Ma e' una ribellione dimezzata perche' non tutte le guarnigioni militari aderiscono al colpo di stato. E' una situazione di stallo che indebolisce militarmente ancor piu' la lotta contro i tuareg che cosi' dilagano nel nord del Paese. Per ironia della sorte Sanogo, che voleva debellare la ribellione, nei fatti l'alimenta. Dopo un mese il tenente e' costretto a lasciare il potere. Aveva chiesto aiuti militari e una mediazione sia alla Nigeria che all'ECOWAS. Negozia la sua uscita di scena in cambio dell'impunita'. Il potere viene trasferito ai civili. Viene nominato un governo di transizione nazionale guidato dallo Sheykh Modibo Dialla, un Presidente ad interim nella persona di Dioncunda Traore', indette nuove elezioni presidenziali. Ma il caos e' assoluto in Bamako.
C'e' un tentativo di contro-colpo di stato da parte dell'ex presidente Toure', appoggiato dai "red berets", paracadutisti che si scontrano con i "green berets" di Sanogo. Avra' la meglio quest'ultimo che con l'arrivo del governo civile mantiene immutato il suo potere contrattuale (nel nuovo governo 3 militari rivestono incarichi chiave). Ma ancora una volta sara' un pesante rapporto di Amnesty International a dare sostanza a questa faida militare ed al prezzo pagato dai vinti. Lo stesso Presidente ad interim Traore' il mese dopo verro' ferito da una folla inferocita e si dovra' recare a Parigi per cure.
Non e' piu' una lotta tra i bambara, etnia sedentaria (rappresenta il 50% del Paese), fortemente presente nell'esercito, e gli storici avversari tuareg, nomadi. E' una lotta all'interno del potere maliano.
L'AVANZATA DEI TUAREG
Il 17 gennaio inizia l'offensiva tuareg guidata dal Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad (MNLA) che conquista Gao, Kidal, Ansongo. Seguono Anderamboukane, Me'naka, Tinzawaten, Tessalit. Il 1 aprile, dopo due giorni di assedio, cade anche Timbuctu, il tutto approfittando della confusione a Bamako a seguito del golpe militare. Il fronte adesso e' fermo a Douentza (regione di Bandiagara) che dista 150 km da Mopti e circa 6oo km da Bamako.
Chi si contende questa area conquistata, grande tre volte l'Italia, sono vari gruppi animati da obiettivi diversi.
Il movimento nazionale per la liberazione dell'Azawad (MNLA) e' una formazione laica, una forza di 7/800 uomini (tra loro e' ricomparso il fenomeno dei bambini-soldato), ben armati ed equipaggiati, formato soprattutto da mercenari scappati dalla Libia, guidati da un colonnello dell'esercito libico (fino al luglio 2011) Mohammed Najem. Il movimento mira all'indipendenza dell'Azawad, una zona a nord del fiume Niger (800.000 kmq, circa 1 milione di abitanti) abitata prevalentemente dai tuareg. Il 6 aprile dopo la conquista di Timbuctu il MNLA ha dichiarato l'indipendenza e la nascita di questo nuovo Stato (peraltro riconosciuto da nessuno). E' li' che si era rifugiato Abdullah Senussi, cognato di Gheddafi, prima di essere arrestato in Mauritania e rimpatriato in Libia.
Ma l'obiettivo politico dell'MNLA non e' condiviso da altre fazioni armate che sono presenti nell'area. C'e' l'Ansar Dine ("partigiani della fede") guidata da Iyad ag Ghali, alias Abu al Fadl, un personaggio gia' implicato nelle ribellioni tuareg degli anni '90 (allora lui rivendicava la secessione dell'Azawad) e coadiuvato dal suo vice, Omar Oukd Hamaha. Estremista religioso, era gia' stato cacciato dall'Arabia Saudita per le sue idee rivoluzionarie. Il suo gruppo ha come obiettivo la conquista di tutto il Mali e la sua islamizzazione. Ha incominciato ad imporre la sharia nei territori conquistati, sono state distrutte le tombe e mausolei dei marabutti sufi in Timbuctu (patrimonio dell'umanita' dal 1988 per decisione UNESCO), sono comparsi casi di amputazione a Timbuctu e Gao, un caso di lapidazione a Aguelhok, proibito alcol, donne velate, niente promiscuita' nei contatti, uso della televisione, proibizione della musica. Iyad ag Ghali, originario del Kidal, forte di 3/400 uomini armati, tuareg della tribu' Ifoghas (una delle piu' importanti), ha forti collusioni con AQIM con cui condivide una visione salafita dell'Islam. A Gao era comparso con al fianco 3 capi militari di quel gruppo:
Mokhtar Belmokhtar, comandante guercio di Ghardaia, con esperienze nelle madrasse pakistane, sposato a una maliana
Abdulhamid abu Zied (con la sua katiba Tarek bin Zayad) alias Mohamed Ghadir (secondo i Servizi algerini) alias Abdulhamid al Sufi alias Abid Hamadou (come da mandato di cattura Interpol del 2006)
Yahya abu Hammam (nominato capo della zona sahariana dall'emiro Droukdal dopo la morte dell'emiro Makhlouf), capo della katiba al Furqan
Ma oramai tutte queste 3 formazioni (guidate da algerini) non rispondono piu' al grande capo di AQIM, Abdulmalek Droukdal, che viene accreditato si scarso carisma. E quindi nel caos del nord del Mali non esiste adesso un solo referente AQIM, ma molti gruppi armati con autonomia operativa. Compare quindi, in questo panorama, anche il Movimento per l'Unita' e la Jihad nell'Africa Occidentale (MUJAO), una fazione dissidente di AQIM da cui si era separata nel dicembre 2011 ed ora guidata da Hamada Ould Mohamed Kheirou.
Se il MNLA persegue la secessione da Bamako, l'Ansar Dine l'islamizzazione del Paese. Tutte queste fazioni di AQIM vogliono solo poter operare indisturbate in uno spazio territoriale senza controllo alcuno ed esportare la loro rivoluzione islamica.
Tra l'MNLA e l'Ansar Dine vi sono stati anche dissidi che ha visto poi l'MNLA estromesso da Gao e Timbuctu. Quindi, allo stato attuale, e' anche difficile capire chi comanda e dove e, soprattutto, se tra questi gruppi eterogenei esiste una qualsivoglia cooperazione operativa.
L'avanzata dei tuareg ha creato un contro esodo di popolazione della zona verso il sud. Gli organismi internazionali stimano questa ondata di profughi in circa 250.000 persone. Anche questa situazione ha alimentato il caos sociale in Bamako.
LE MEDIAZIONI
Si alternano tentativi di mediazione per cercare di risolvere il dissidio tra tuareg e autorita' maliane. Ci prova il Presidente del Burkina Faso, Blaise Campaore', per conto dell'ECOWAS, il ministro algerino per gli affari maghrebini e africani MesSahel fa un tour nel Sahel e si offre per un dialogo tra le parti (tende pero' a specificare che non siano pero' "terroristi"). Ma il problema principale e' che non e' ben chiaro con chi si deve negoziare. E su che cosa negoziare. Il problema non e' piu' tra tuareg e Bamako perche' altri attori sono adesso presenti nel nord del Mali.
Su proposta francese, il 10 ottobre il Consiglio di Sicurezza ha dato 45 giorni di tempo ad ECOWAS e African Union per preparare un piano di intervento nel nord del Mali e lo stesso consesso ha autorizzato un intervento africano in quel Paese. La risoluzione Onu parla anche di dare spazio a negoziati tra ribelli e autorita' centrale pur preservando l'unita' territoriale del Paese. Intanto l'ex Premier italiano Romano Prodi e' stato nominato inviato speciale Onu per il Sahel. La Francia e' molto sensibile a quel che avviene in Mali, ha una significativa presenza militare nell'area (Burkina Faso, Mauritania, Niger, Ciad, Mali, Repubblica Centrafricana, Senegal, Costa d'Avorio, Gibuti per un totale di circa 6000 uomini), da ex Paese colonizzatore tende a mantenere un forte diritto di prelazione sulle vicende regionali, ha peraltro 8 ostaggi in mano dei terroristi di AQIM e sfrutta, attraverso la societa' AREVA, le miniere di uranio a cielo aperto del Niger che sono essenziali per le forniture dei propri impianti nucleari (e non casualmente queste miniere sono concentrate nella regione dell'Ayr dove la popolazione e' a predominanza tuareg).

AREVA, miniere di uranio in Niger
LE PROSPETTIVE
Il rischio che il problema del Sahel si internazionalizzi e' molto alto. Da un lato lo stesso Mali tende a internazionalizzare il problema per ricevere supporto da altri Paesi e per accomunare le proprie preoccupazioni riguardo la propria integrita' territoriale con quelle piu' ampie – e di maggior impatto – che riguarda la diffusione del terrorismo islamico nella regione.
Un problema grosso e' rappresentato dal fatto che con la caduta dei vari regimi della primavera araba e' nei fatti decaduta quella collaborazione fra intelligence che esisteva nel nord Africa e nel Sahel contro il terrorismo islamico.
La prospettiva piu' inquietante e' rappresentata dalla cosiddetta "somalizzazione" della regione (cioe' aree senza controlli di governi autorevoli), terre di nessuno in mano a bande di terroristi e criminali. Questa saldatura tra rivendicazioni autonomiste, terrorismo e brigantaggio determina una miscela sociale pericolosa che puo' travalicare i confini maliani ed esportare instabilita' altrove. Nell'area sono gia' comparsi personaggi legati ai Boko Haram nigeriani (implicati nell'attacco al consolato algerino di Gao) e uomini legati al deposto Presidente ivoriano Gbagbo. Come succede spesso, il caos chiama caos e la transumanza di uomini o gruppi che perseguono come modello di vita ribellioni e sovvertimenti, provenienti dal Medio oriente e Afghanistan, gia' iniziano a comparire nel nord del Mali.
I tuareg hanno sempre fatto del loro nomadismo una caratteristica di autonomia che li ha sempre portati a non rispettare confini o autorita' centrali. Hanno il senso della liberta' di muoversi e di rimanere legati alle proprie usanze, ma probabilmente non hanno il senso di uno Stato propriamente detto. Bistrattati, economicamente emarginati, hanno trovato nel brigantaggio e nel sequestro di stranieri da parte di vari gruppi terroristici una forma di sussistenza. Da li' la loro connivenza con il terrorismo. Il loro Islam non era sicuramente di matrice salafita (come dimostra la massiva presenza di mausolei sufi nel nord del Paese), ma una convergenza di interessi contingenti li ha fatti diventare tali.
Non esistono statistiche precise che indichino quanti siano in effetti i tuareg nel Sahel. Si parla di circa 1 milione in Mali (su una popolazione di 15 milioni di abitanti), 1,5 milioni in Niger, 800.000 in Algeria, forse 4-5 milioni in totale (aggiungendo quelli della Mauritania e del Ciad). Gli stessi Paesi che li ospitano hanno sempre evitato di contarli per non dare un'identita' alle loro istanze.
Ma come detto prima, il problema non e' solo riferibile alle rivendicazioni tuareg per una nazione che non hanno mai avuto. Il problema principale e' il terrorismo islamico che rischia di infettare un continente dove poverta', instabilita', diseguaglianze sociali, evanescenza di confini, autorita' con scarso controllo del territorio – tutti elementi che favoriscono il fenomeno eversivo – sono fortemente diffusi. E in prima istanza e' il pericolo di una saldatura geografica tra il nord del Mali ed aree instabili alquanto contigue: il nord della Nigeria e la Somalia. Nella sostanza, quindi, le vicende maliane sono solo il segnale piu' evidente ed inquietante di quello che potrebbe accadere altrove.
Se verra' creato un contingente militare internazionale, sotto l'egida dell'ONU, per riportare il nord del Mali sotto il controllo di Bamako, ma soprattutto per debellare i vari gruppi di terroristi, cio' potra' avvenire solo con la fattiva assistenza (non partecipazione diretta) di Paesi occidentali che dovranno fornire intelligence, logistica, addestramento, soldi. Pensare che questa emergenza politico-militare possa essere risolta dal Mali o da un contingente africano da solo significa sotto stimare la minaccia e nel contempo accreditare agli interventi di pace delle forze militari del continente un'efficacia che non si e' mai manifestata precedentemente.
Il contingente africano, in realta', sarebbe dedicato al "peace enforcement" e non al "peace keeping". In altre parole, l'uso delle armi sarebbe prioritario e ricorrente. Il problema principale sono i tempi per mettere in atto questo contingente militare (gia' si prospetta un'adesione della Nigeria e del Sudafrica): il Mali non ha infrastrutture adeguate, i Paesi partecipanti non hanno mezzi adeguati, qualcuno li deve ampiamente finanziare. Il timore e' che occorra troppo tempo, dando ai ribelli tuareg e alle varie fazioni di AQIM il tempo di consolidarsi. Comunque il contingente dovrebbe essere composto di 6.000 uomini di cui la meta' maliani e il rimanente di Paesi dell'ECOWAS (o alternativamente anche dell'African Union).
L'Italia, in linea di principio, avrebbe gia' dato la sua adesione a fornire assistenza. Altrettanto avrebbe fatto la Spagna. Francia e U.S.A. gia' stanno addestrando reparti maliani in loco. Ma la forza di dissuasione (e all'occorrenza di imposizione), qualora effettivamente ce ne fosse bisogno, sarebbe comunque costituita dai reparti francesi della regione, dall'Africom americano di stanza a Gibuti, dai drones che partono dal Burkina Faso e stanno gia' monitorando la zona.
Ma a parte il preminente problema di terrorismo, vale anche ricordare che nella regione a nord del Mali e nelle aree limitrofe dell'Algeria e Mauritania sono stati scoperti giacimenti di petrolio. Il Mali e' peraltro il terzo esportatore al mondo di oro. Quindi interessi di sicurezza, ma anche interessi economici. Ed e' un altro elemento che sicuramente fa crescere l'attenzione internazionale.

Il 4 febbraio 1998 veniva creata la Comunita' degli Stati del Sahel Sahariano, meglio conosciuta con l'acronimo di CEN-SAD. Era una iniziativa voluta da Gheddafi e che inizialmente vedeva l'adesione di 6 Stati (oltre alla Libia, il Niger, il Mali, il Sudan, il Ciad , il Burkina Faso). Scopo dichiarato: quello di creare una zona di libero scambio che potesse favorire l'integrazione economica. Quindi qualcosa di simile alla COMESA (Common Market for Easter and Southern Africa) nell'Africa australe e orientale o all'ECOWAS (Economic Community for West Africa States) per l'Africa occidentale, il SADC (Southern Africa Development Community) dell'Africa australe.
Scopo reale: quello di mettere in atto, da parte libica, un'area di influenza favorevole ai propri interessi geo-strategici. Quartier generale a Tripoli, soldi e finanziamenti soprattutto libici verso questi Paesi vicini, economicamente disastrati e quindi facilmente asservibili ai propri voleri. Nel tempo il CEN-SAD si e' ulteriormente allargato arrivando a comprendere 28 Paesi, quindi anche fuori dai confini geografici della fascia sub-sahariana (altri Paesi hanno infatti aderito nel mal celato interesse di acquisire soldi ed investimenti libici). Ma sostanzialmente, a parte la nota megalomania di Gheddafi (che poi si era servito di questa organizzazione per ottenere il necessario consenso per una guida annuale dell'African Union), la finalita' principale del CEN-SAD e' rimasta nel tempo quella, da parte libica, di tenere in sudditanza politica e finanziaria i Paesi di questa regione.
Il CEN-SAD permetteva quindi alla Libia di interferire – in una cornice di "legalita'" istituzionale – con gli affari interni dei Paesi sub-sahariani, teneva rapporti con le comunita' tuareg della zona talvolta strumentalizzandole e assecondandone all'occorrenza le spinte autonomistiche, talvolta mediando tra loro e le autorita' centrali dei vari Paesi. In questo modo controllava quello che avveniva ai propri confini meridionali, si assicurava una certa sicurezza frontaliera ma lo faceva esercitando nel contempo una forma di pressione sugli Stati limitrofi. Si garantiva anche dai problemi di convivenza con i Toubou del Tibesti ciadiano, altra etnia tuareg, che si scontravano periodicamente con la popolazione di Kufra.
Le intromissioni libiche nelle vicende tuareg procuravano al regime del Rais anche manovalanza a basso prezzo per finalita' di sicurezza interna come il massivo impiego di mercenari sub-sahariani, prevalentemente tuareg, a fianco dei lealisti nel corso della rivolta.
Queste ingerenze libiche creavano pero' anche problemi relazionali con l'Algeria che non vedeva di buon occhio le interferenze di Tripoli in un'area al nord del Mali (e quindi al sud dell'Algeria), dove la collusione tra bande tuareg e formazioni di AQIM (Al Qaida in the Islamic Maghreb) poneva grossi problemi di sicurezza. Ma anche Tripoli, a parte le manipolazioni a proprio favore delle istanze tuareg, temeva questa collusione perche' nell'ambito di AQIM erano confluiti anche le katibah (leggasi battaglioni) di irriducibili libici del disciolto Gruppo Islamico Combattente Libico.
Tanta era questa preoccupazione libica in questo campo che, nell'ambito del Segretariato Generale del CEN-SAD, c'era un Dipartimento Pace e Sicurezza che altro non era che un ufficio di coordinamento tra i Servizi dei Paesi aderenti all'organizzazione.

ex-Ministro degli Esteri libico Musa Kusa
Ma anche questo non bastava e Tripoli aveva lanciato, intorno al 2005, l'idea di costituire a Bamako un centro di coordinamento operativo dove fare confluire tutte le notizie afferenti il terrorismo regionale e di costituire nel contempo una forza di pronto intervento con truppe dei Paesi della fascia sub-sahariana. Per costituire questa struttura era stato richiesto il sostegno (addestrativo, finanziario e di apparecchiature) a vari Paesi occidentali. Gli americani avevano aderito in linea di principio benche' diffidenti, gli inglesi si erano accodati, i francesi erano invece riluttanti a vedere interferenze di altre nazioni in una zona di egemonia francofona come l'ex colonia del Mali, italiani e spagnoli erano favorevoli qualora l'iniziativa fosse stata meglio dettagliata. Chi pilotava i contatti era il Musa Kusa, prima nella veste di Direttore dell'External Security Service e poi di Ministro degli esteri. Comunque l'iniziativa libica non era stata supportata da ulteriori dettagli ed il progetto e' rimasto senza seguito anche per quello che poi e' successo nelle vicende interne libiche.
In sintesi, le interferenze libiche nella regione oscillavano tra due interessi contrastanti: da un lato l'utilizzo spregiudicato delle comunita' tuareg per destabilizzare e soggiogare politicamente i Paesi del Sahel, dall'altro il dover evitare che situazioni di instabilita' creassero spazio alla diffusione del terrorismo maghrebino.
Prima dello scoppiare della cosiddetta primavera araba la questione tuareg/terrorismo era in questi termini. Libia e Algeria sviluppavano attivita' di contrasto e repressione verso ogni forma di terrorismo seppur con risultati alterni, Mali e Niger (ed in quota parte anche Mauritania) ottenevano il dovuto supporto in questa direzione e l'unico aspetto che allora preoccupava i regimi della regione era questa commistione/convivenza che si esplicitava in attivita' di sequestri di persone, traffico di armi e droga e brigantaggio.
LA CADUTA DI GHEDDAFI
La caduta del regime di Gheddafi ha modificato i termini del problema. La presenza di mercenari tuareg maliani a fianco dei lealisti (circa 600 uomini) ha fatto si' che dopo l'uccisione di Gheddafi questa massa di gente, fortemente armata, scappasse dalla Libia rifugiandosi nei Paesi originari del Sahel. Accanto ai tuareg sono dovuti scappare dalla Libia anche tutte quelle masse di clandestini africani che si erano introdotti nel Paese per trovare un lavoro o per comprasi un viaggio della speranza verso l'Italia (i soli maliani erano circa 2000). Infatti, oramai in Libia si era creato nell'immaginario dei ribelli che avevano conquistato il potere che ogni persona di colore potesse essere stato un mercenario e quindi doveva essere perseguito o giustiziato.
Transumando verso il sud, questa massa di gente ha pero' acuito in modo irreversibile i problemi sociali e di sicurezza dei Paesi dell'area. I tuareg (piu' armati di prima) hanno iniziato ad utilizzare la loro forza per portare avanti le loro istanze secessioniste (e quindi si sono saldati con le formazioni di AQIM che trovavano maggior spazio operativo in aree destabilizzate), i poveri clandestini che sono tornati in patria hanno ancor piu' peggiorato le condizioni di disagio sociale, soprattutto del Niger e del Mali, ora a corto dei finanziamenti del Rais.
Su questa situazione socialmente esplosiva si e' innescato un ulteriore elemento di destabilizzazione: la fuga degli uomini di Gheddafi dopo la caduta del regime verso il sud, il loro interesse a utilizzare ancora una volta i tuareg per contrastare la nuova dirigenza libica , il fascino ed il potere persuasivo dei loro soldi.

Ribelli Tuareg
IL GOLPE MILITARE
Ed e' in questo scenario che deve essere letto ed interpretato quello che poi e' avvenuto in Mali. Gia' ad inizio dell'anno si erano sviluppate le prime nuove proteste tuareg. Il governo centrale maliano non era risultato in grado materialmente di fronteggiare questa emergenza militare. Nella notte tra il 21 e il 22 marzo di quest'anno avviene un colpo di Stato militare in Bamako: 2 contingenti militari della capitale si ribellano, soprattutto quelli del guarnigione di Kati, alle porte di Bamako, la piu' grande del Paese. Guida la rivolta il tenente Amadou Haya Sanogo che sospende ogni garanzia costituzionale, impone il coprifuoco e chiude frontiere e aeroporti. Il Presidente Amadou Toumani Toure', amico di Gheddafi (durante la rivolta libica aveva tentato per conto dell'African Union una mediazione tra il Rais ed i ribelli) viene estromesso. Toure' viene accusato di non aver saputo adeguatamente contrastare ed eliminare la rivolta tuareg nel nord del Paese.
Ma e' una ribellione dimezzata perche' non tutte le guarnigioni militari aderiscono al colpo di stato. E' una situazione di stallo che indebolisce militarmente ancor piu' la lotta contro i tuareg che cosi' dilagano nel nord del Paese. Per ironia della sorte Sanogo, che voleva debellare la ribellione, nei fatti l'alimenta. Dopo un mese il tenente e' costretto a lasciare il potere. Aveva chiesto aiuti militari e una mediazione sia alla Nigeria che all'ECOWAS. Negozia la sua uscita di scena in cambio dell'impunita'. Il potere viene trasferito ai civili. Viene nominato un governo di transizione nazionale guidato dallo Sheykh Modibo Dialla, un Presidente ad interim nella persona di Dioncunda Traore', indette nuove elezioni presidenziali. Ma il caos e' assoluto in Bamako.
C'e' un tentativo di contro-colpo di stato da parte dell'ex presidente Toure', appoggiato dai "red berets", paracadutisti che si scontrano con i "green berets" di Sanogo. Avra' la meglio quest'ultimo che con l'arrivo del governo civile mantiene immutato il suo potere contrattuale (nel nuovo governo 3 militari rivestono incarichi chiave). Ma ancora una volta sara' un pesante rapporto di Amnesty International a dare sostanza a questa faida militare ed al prezzo pagato dai vinti. Lo stesso Presidente ad interim Traore' il mese dopo verro' ferito da una folla inferocita e si dovra' recare a Parigi per cure.
Non e' piu' una lotta tra i bambara, etnia sedentaria (rappresenta il 50% del Paese), fortemente presente nell'esercito, e gli storici avversari tuareg, nomadi. E' una lotta all'interno del potere maliano.
L'AVANZATA DEI TUAREG
Il 17 gennaio inizia l'offensiva tuareg guidata dal Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad (MNLA) che conquista Gao, Kidal, Ansongo. Seguono Anderamboukane, Me'naka, Tinzawaten, Tessalit. Il 1 aprile, dopo due giorni di assedio, cade anche Timbuctu, il tutto approfittando della confusione a Bamako a seguito del golpe militare. Il fronte adesso e' fermo a Douentza (regione di Bandiagara) che dista 150 km da Mopti e circa 6oo km da Bamako.
Chi si contende questa area conquistata, grande tre volte l'Italia, sono vari gruppi animati da obiettivi diversi.
Il movimento nazionale per la liberazione dell'Azawad (MNLA) e' una formazione laica, una forza di 7/800 uomini (tra loro e' ricomparso il fenomeno dei bambini-soldato), ben armati ed equipaggiati, formato soprattutto da mercenari scappati dalla Libia, guidati da un colonnello dell'esercito libico (fino al luglio 2011) Mohammed Najem. Il movimento mira all'indipendenza dell'Azawad, una zona a nord del fiume Niger (800.000 kmq, circa 1 milione di abitanti) abitata prevalentemente dai tuareg. Il 6 aprile dopo la conquista di Timbuctu il MNLA ha dichiarato l'indipendenza e la nascita di questo nuovo Stato (peraltro riconosciuto da nessuno). E' li' che si era rifugiato Abdullah Senussi, cognato di Gheddafi, prima di essere arrestato in Mauritania e rimpatriato in Libia.
Ma l'obiettivo politico dell'MNLA non e' condiviso da altre fazioni armate che sono presenti nell'area. C'e' l'Ansar Dine ("partigiani della fede") guidata da Iyad ag Ghali, alias Abu al Fadl, un personaggio gia' implicato nelle ribellioni tuareg degli anni '90 (allora lui rivendicava la secessione dell'Azawad) e coadiuvato dal suo vice, Omar Oukd Hamaha. Estremista religioso, era gia' stato cacciato dall'Arabia Saudita per le sue idee rivoluzionarie. Il suo gruppo ha come obiettivo la conquista di tutto il Mali e la sua islamizzazione. Ha incominciato ad imporre la sharia nei territori conquistati, sono state distrutte le tombe e mausolei dei marabutti sufi in Timbuctu (patrimonio dell'umanita' dal 1988 per decisione UNESCO), sono comparsi casi di amputazione a Timbuctu e Gao, un caso di lapidazione a Aguelhok, proibito alcol, donne velate, niente promiscuita' nei contatti, uso della televisione, proibizione della musica. Iyad ag Ghali, originario del Kidal, forte di 3/400 uomini armati, tuareg della tribu' Ifoghas (una delle piu' importanti), ha forti collusioni con AQIM con cui condivide una visione salafita dell'Islam. A Gao era comparso con al fianco 3 capi militari di quel gruppo:
Mokhtar Belmokhtar, comandante guercio di Ghardaia, con esperienze nelle madrasse pakistane, sposato a una maliana
Abdulhamid abu Zied (con la sua katiba Tarek bin Zayad) alias Mohamed Ghadir (secondo i Servizi algerini) alias Abdulhamid al Sufi alias Abid Hamadou (come da mandato di cattura Interpol del 2006)
Yahya abu Hammam (nominato capo della zona sahariana dall'emiro Droukdal dopo la morte dell'emiro Makhlouf), capo della katiba al Furqan
Ma oramai tutte queste 3 formazioni (guidate da algerini) non rispondono piu' al grande capo di AQIM, Abdulmalek Droukdal, che viene accreditato si scarso carisma. E quindi nel caos del nord del Mali non esiste adesso un solo referente AQIM, ma molti gruppi armati con autonomia operativa. Compare quindi, in questo panorama, anche il Movimento per l'Unita' e la Jihad nell'Africa Occidentale (MUJAO), una fazione dissidente di AQIM da cui si era separata nel dicembre 2011 ed ora guidata da Hamada Ould Mohamed Kheirou.
Se il MNLA persegue la secessione da Bamako, l'Ansar Dine l'islamizzazione del Paese. Tutte queste fazioni di AQIM vogliono solo poter operare indisturbate in uno spazio territoriale senza controllo alcuno ed esportare la loro rivoluzione islamica.
Tra l'MNLA e l'Ansar Dine vi sono stati anche dissidi che ha visto poi l'MNLA estromesso da Gao e Timbuctu. Quindi, allo stato attuale, e' anche difficile capire chi comanda e dove e, soprattutto, se tra questi gruppi eterogenei esiste una qualsivoglia cooperazione operativa.
L'avanzata dei tuareg ha creato un contro esodo di popolazione della zona verso il sud. Gli organismi internazionali stimano questa ondata di profughi in circa 250.000 persone. Anche questa situazione ha alimentato il caos sociale in Bamako.
LE MEDIAZIONI
Si alternano tentativi di mediazione per cercare di risolvere il dissidio tra tuareg e autorita' maliane. Ci prova il Presidente del Burkina Faso, Blaise Campaore', per conto dell'ECOWAS, il ministro algerino per gli affari maghrebini e africani MesSahel fa un tour nel Sahel e si offre per un dialogo tra le parti (tende pero' a specificare che non siano pero' "terroristi"). Ma il problema principale e' che non e' ben chiaro con chi si deve negoziare. E su che cosa negoziare. Il problema non e' piu' tra tuareg e Bamako perche' altri attori sono adesso presenti nel nord del Mali.
Su proposta francese, il 10 ottobre il Consiglio di Sicurezza ha dato 45 giorni di tempo ad ECOWAS e African Union per preparare un piano di intervento nel nord del Mali e lo stesso consesso ha autorizzato un intervento africano in quel Paese. La risoluzione Onu parla anche di dare spazio a negoziati tra ribelli e autorita' centrale pur preservando l'unita' territoriale del Paese. Intanto l'ex Premier italiano Romano Prodi e' stato nominato inviato speciale Onu per il Sahel. La Francia e' molto sensibile a quel che avviene in Mali, ha una significativa presenza militare nell'area (Burkina Faso, Mauritania, Niger, Ciad, Mali, Repubblica Centrafricana, Senegal, Costa d'Avorio, Gibuti per un totale di circa 6000 uomini), da ex Paese colonizzatore tende a mantenere un forte diritto di prelazione sulle vicende regionali, ha peraltro 8 ostaggi in mano dei terroristi di AQIM e sfrutta, attraverso la societa' AREVA, le miniere di uranio a cielo aperto del Niger che sono essenziali per le forniture dei propri impianti nucleari (e non casualmente queste miniere sono concentrate nella regione dell'Ayr dove la popolazione e' a predominanza tuareg).

AREVA, miniere di uranio in Niger
LE PROSPETTIVE
Il rischio che il problema del Sahel si internazionalizzi e' molto alto. Da un lato lo stesso Mali tende a internazionalizzare il problema per ricevere supporto da altri Paesi e per accomunare le proprie preoccupazioni riguardo la propria integrita' territoriale con quelle piu' ampie – e di maggior impatto – che riguarda la diffusione del terrorismo islamico nella regione.
Un problema grosso e' rappresentato dal fatto che con la caduta dei vari regimi della primavera araba e' nei fatti decaduta quella collaborazione fra intelligence che esisteva nel nord Africa e nel Sahel contro il terrorismo islamico.
La prospettiva piu' inquietante e' rappresentata dalla cosiddetta "somalizzazione" della regione (cioe' aree senza controlli di governi autorevoli), terre di nessuno in mano a bande di terroristi e criminali. Questa saldatura tra rivendicazioni autonomiste, terrorismo e brigantaggio determina una miscela sociale pericolosa che puo' travalicare i confini maliani ed esportare instabilita' altrove. Nell'area sono gia' comparsi personaggi legati ai Boko Haram nigeriani (implicati nell'attacco al consolato algerino di Gao) e uomini legati al deposto Presidente ivoriano Gbagbo. Come succede spesso, il caos chiama caos e la transumanza di uomini o gruppi che perseguono come modello di vita ribellioni e sovvertimenti, provenienti dal Medio oriente e Afghanistan, gia' iniziano a comparire nel nord del Mali.
I tuareg hanno sempre fatto del loro nomadismo una caratteristica di autonomia che li ha sempre portati a non rispettare confini o autorita' centrali. Hanno il senso della liberta' di muoversi e di rimanere legati alle proprie usanze, ma probabilmente non hanno il senso di uno Stato propriamente detto. Bistrattati, economicamente emarginati, hanno trovato nel brigantaggio e nel sequestro di stranieri da parte di vari gruppi terroristici una forma di sussistenza. Da li' la loro connivenza con il terrorismo. Il loro Islam non era sicuramente di matrice salafita (come dimostra la massiva presenza di mausolei sufi nel nord del Paese), ma una convergenza di interessi contingenti li ha fatti diventare tali.
Non esistono statistiche precise che indichino quanti siano in effetti i tuareg nel Sahel. Si parla di circa 1 milione in Mali (su una popolazione di 15 milioni di abitanti), 1,5 milioni in Niger, 800.000 in Algeria, forse 4-5 milioni in totale (aggiungendo quelli della Mauritania e del Ciad). Gli stessi Paesi che li ospitano hanno sempre evitato di contarli per non dare un'identita' alle loro istanze.
Ma come detto prima, il problema non e' solo riferibile alle rivendicazioni tuareg per una nazione che non hanno mai avuto. Il problema principale e' il terrorismo islamico che rischia di infettare un continente dove poverta', instabilita', diseguaglianze sociali, evanescenza di confini, autorita' con scarso controllo del territorio – tutti elementi che favoriscono il fenomeno eversivo – sono fortemente diffusi. E in prima istanza e' il pericolo di una saldatura geografica tra il nord del Mali ed aree instabili alquanto contigue: il nord della Nigeria e la Somalia. Nella sostanza, quindi, le vicende maliane sono solo il segnale piu' evidente ed inquietante di quello che potrebbe accadere altrove.
Se verra' creato un contingente militare internazionale, sotto l'egida dell'ONU, per riportare il nord del Mali sotto il controllo di Bamako, ma soprattutto per debellare i vari gruppi di terroristi, cio' potra' avvenire solo con la fattiva assistenza (non partecipazione diretta) di Paesi occidentali che dovranno fornire intelligence, logistica, addestramento, soldi. Pensare che questa emergenza politico-militare possa essere risolta dal Mali o da un contingente africano da solo significa sotto stimare la minaccia e nel contempo accreditare agli interventi di pace delle forze militari del continente un'efficacia che non si e' mai manifestata precedentemente.
Il contingente africano, in realta', sarebbe dedicato al "peace enforcement" e non al "peace keeping". In altre parole, l'uso delle armi sarebbe prioritario e ricorrente. Il problema principale sono i tempi per mettere in atto questo contingente militare (gia' si prospetta un'adesione della Nigeria e del Sudafrica): il Mali non ha infrastrutture adeguate, i Paesi partecipanti non hanno mezzi adeguati, qualcuno li deve ampiamente finanziare. Il timore e' che occorra troppo tempo, dando ai ribelli tuareg e alle varie fazioni di AQIM il tempo di consolidarsi. Comunque il contingente dovrebbe essere composto di 6.000 uomini di cui la meta' maliani e il rimanente di Paesi dell'ECOWAS (o alternativamente anche dell'African Union).
L'Italia, in linea di principio, avrebbe gia' dato la sua adesione a fornire assistenza. Altrettanto avrebbe fatto la Spagna. Francia e U.S.A. gia' stanno addestrando reparti maliani in loco. Ma la forza di dissuasione (e all'occorrenza di imposizione), qualora effettivamente ce ne fosse bisogno, sarebbe comunque costituita dai reparti francesi della regione, dall'Africom americano di stanza a Gibuti, dai drones che partono dal Burkina Faso e stanno gia' monitorando la zona.
Ma a parte il preminente problema di terrorismo, vale anche ricordare che nella regione a nord del Mali e nelle aree limitrofe dell'Algeria e Mauritania sono stati scoperti giacimenti di petrolio. Il Mali e' peraltro il terzo esportatore al mondo di oro. Quindi interessi di sicurezza, ma anche interessi economici. Ed e' un altro elemento che sicuramente fa crescere l'attenzione internazionale.