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TUNISIA: L'UNICA VERA PRIMAVERA ARABA

mohamed bouazizi
Muhammed Buazizi

La cosiddetta primavera araba era nata in Tunisia il 17 dicembre 2010 quando un venditore abusivo di verdure si era dato fuoco di fronte al governatorato di Sidi Buazid, a fronte delle vessazioni della polizia, e dà lì aveva preso spunto la rivolta popolare e la cacciata di Ben Ali il 14 gennaio successivo. Poi, nel tempo, con un effetto trainante, altre primavere arabe si erano realizzate in altre parti del Medio Oriente.

Ma la primavera tunisina, a differenza di altre, si indirizzava verso una nuova forma di democrazia, magari un po’ traballante, assicurata da quel mix talvolta dirompente - ma questa volta coagulante – tra una società fortemente laica ed un partito islamico come l’Ennahda, legittimato da anni di opposizione al dittatore e guidata da un personaggio, considerato a suo tempo un terrorista ma poi rivelatosi un uomo col senso dello Stato, come Rashid Ghannouchi.

Le elezioni

Ennahda vinceva le elezioni, non riusciva comunque a tramutare una fede nel Corano in un sistema economico che producesse quel benessere che era nelle aspettative di chi aveva votato il partito, cercava un po’ maldestramente di islamizzare la società ma in questo contesto – ed era stato l’errore più grande – forniva spazio di idee e di manovra, nonché alibi a tutta una serie di frange islamiche radicali tra le quali quell’Ansar al Sharia messa comunque la bando nell’agosto del 2012.

Le uccisioni

A due anni di distanza, il 6 febbraio del 2013, tutto questo rischiava di finire a seguito dell’omicidio di un leader politico dell’opposizione come Chokri Belaid. Quattro proiettili sparati al collo da distanza ravvicinata e quindi una vera e propria esecuzione. E più tardi, dopo altri cinque mesi, il 25 luglio, un altro leader politico del fronte laico, Mohamed Brahmi, veniva eliminato in un agguato. Stessa arma, stessa tecnica, stessa modalità di esecuzione. Il tramonto delle speranze di un popolo che per primo aveva avuto il coraggio di sbarazzarsi di una dittatura corrotta, un sogno di libertà e di un mondo migliore si era infranto di fronte alle intransigenze di un Islam fatto di intolleranza ed odio che sicuramente aveva armato e motivato la mano di quei sicari che avevano sparato a Belaid e Brahmi. Ma questo ennesimo duplice crimine, che metteva in luce tutte le contraddizioni di un percorso accidentato verso nuove forme di democrazia, ha dato la forza al popolo tunisino di ritrovare quella voglia di cambiamento verso un futuro migliore

Chokri Belaid era il leader del Partito dei Patrioti Democratici, una formazione laica di sinistra che alle elezioni parlamentari aveva ottenuto circa l’1% dei suffragi. Era un avvocato, molto impegnato nel sociale insieme alla moglie Basma (anche lei avvocato), ateo, ma al di là del suo consenso al suo partito, lui raffigurava nell’immaginario popolare la voglia di cambiamento e di dedizione politica. Belaid, ora sepolto nell’area dei martiri del cimitero di Djellaz, aveva denunciato, pochi giorni prima di morire che all’interno di Ennahda c’erano dei gruppi che incitavano alla violenza, accusando Ghannouchi di difendere queste squadracce. Si riferiva alla Lega per la Salvaguardia della Rivoluzione, gruppi di autodifesa di Ennahda sorti subito dopo la rivoluzione. Non è forse il caso che pochi mesi dopo, nell’ottobre dello stesso anno, Lofti Naguedh, segretario generale del “Nida Tiunis”, nonché segretario dell’Unione degli agricoltori di Tataouine, era stato aggredito e linciato nell’ambito di una manifestazione indetta dalla citata Lega a cui si erano aggregati estremisti islamici.

Anche Brahmi veniva da Sidi Buazid, famiglia contadina, lui aveva studiato economia, era socialista e laico ma comunque un fervente musulmano, faceva parte dell’Assemblea costituente per redigere una nuova costituzione, aveva un suo partitino di sinistra appena fondato: “Corrente popolare”.

belaid brahmi
Chokri Belaid e Mohamed Brahmi

I simboli del cambiamento

Entrambi erano un simbolo e come tutti i simboli erano portatori di un messaggio sociale forte, suadente, sicuramente importante in questa fase storica del Paese. Per questo la loro morte, come quella del venditore ambulante Muhammed Buazizi due anni prima, ha avuto un impatto sociale molto più ampio di quello che in realtà i tre personaggi rappresentavano socialmente o politicamente.

Comunque la morte dei due esponenti politici; l’onda di commozione dell’opinione pubblica; il crescente risentimento verso l’inefficacia di Ennahda al governo e verso una presunta collusione; indulgenza o lassismo di questi verso il radicalismo islamico; la paura di questo radicalismo islamico che si trasformava in terrorismo, hanno fatto sì che l’indignazione si spostasse dalle sommosse di piazza ad una iniziativa politica. Si è votata una nuova Costituzione (e guarda caso, non è stata introdotta la sharia), si è dato spazio ad un ricorso alle urne. E questo, almeno in Medio Oriente e Nord Africa, rappresenta un’eccezione. La democrazia tunisina che rischiava di deragliare verso forme di guerra civile si è invece rafforzata.

E’ pur chiaro che nelle vicende tunisine hanno influito anche i cattivi esempi e le circostanze che si sono verificati in altri Paesi vicini: la guerra civile in Siria, la restaurazione militare in Egitto, la diffusione dell’ISIS nella penisola arabica, il caos libico. La stessa Ennahda ha comunque subito un calo di popolarità direttamente proporzionale a quello dei Fratelli Musulmani, a cui il movimento di Ghannouchi è affiliato. C’erano poi stati scandali come quello del genero di Ghannouchi, Rafik Abdessalam, ministro degli esteri che si era fatto pagare dallo Stato l’albergo dove stava con l’amante.

Ma Ennahda e Ghannouchi (che comunque nell’ambito del partito guida l’ala più radicale) hanno avuto anche il merito di saper fare un passo indietro nel momento in cui ci si è resi conto che il consenso al proprio partito era in declino ed hanno favorito il ritorno alle urne.

La vittoria di Nida Tunis

Il 16 ottobre scorso, nel corso delle elezioni parlamentari tenutesi in modo corretto (anche qui corre il confronto positivo con altri paesi limitrofi), il verdetto popolare ha premiato una formazione laica, fondata nel giugno del 2012, la “Nida Tunis” (“chiama Tunisi”) con 85 seggi (sui 217 disponibili) ed ha ridimensionato Ennahda che dai suoi precedenti 89 seggi è scesa adesso a 69.

Il fatto più eclatante è che nelle varie opzioni che aveva a disposizione l’elettorato tunisino ,alla fine sia stata premiata non solo una formazione laica ma anche una dirigenza legata a diverso titolo con il passato politico del paese. Il leader di “Nida Tunis” , Beji Caid Essebsi è infatti un vecchio politico di lungo corso, già attivo nella lotta per l’indipendenza contro i francesi, più volte ministro ai tempi di Boughiba ed infine transitato indenne sotto la dittatura di Ben Ali, ricoprendo anche l’incarico di Presidente del Parlamento. Comunque Essebsi, in ogni transizione politica pregressa, ha avuto il pregio di dissociarsi quando i regimi inasprivano il loro potere e diventavano socialmente invisi.

Nel suo partito ricompaiono uomini d’affari e politici che comunque avevano spazio e prestigio sotto il precedente regime. Il “Nida Tunis” è comunque un partito moderato, d'ispirazione laica e riformista, nazionalista e comunque riprende molti temi della politica di Bourghiba. Compreso il fatto che la religione deve essere tenuta lontana dalle istituzioni.

Questo significa una riabilitazione del passato? Non necessariamente, ma sicuramente i tunisini si sono resi conto che demonizzare il passato a fronte di un futuro incerto era un rischio inutile.

Comunque, il 23 novembre, nella successiva tornata elettorale per la nomina del Presidente della Repubblica, dove la partecipazione popolare è stata notevole, lo stesso Essebsi ha ottenuto la votazione più alta ed andrà al ballottaggio con il secondo classificato, l’attuale presidente ad interim Moncef Marzouki (comunque anche lui un laico di sinistra) il 28 dicembre.

Non è importante, nelle vicende tunisine, se il “Nida Tunis” formerà un governo con o senza l’appoggio di Ennahda visto comunque che il sistema politico è oggi nel Paese sostanzialmente bipolare. Non è neanche importante se Essebsi diventerà Presidente con i suoi 88 anni di età. Comunque nelle vicende politiche del Paese, Ennahda – è bene ricordarlo - ha ancora peso e capacità di condizionamento.

La cosa più importante è che la democrazia, in Tunisia, ha iniziato a funzionare ad avere i suoi rituali ma soprattutto a far confrontare i politici con la volontà ed il consenso popolare.

E i terroristi?

Rimane però un problema irrisolto, e cioè che in questo processo di democratizzazione non siano rappresentate le frange più estreme e radicali dei gruppi islamici. C’è il paese legale da una parte, dall’altra c’è il terrorismo. Tra i volontari stranieri che affollano le milizie dell’ISIS, i tunisini sono i più numerosi. Si parla di circa 2500 combattenti, alcuni dei quali – si stima circa 400 – rientrati in patria con una specifica esperienza militare.

Ci sono zone del Paese, al confine con l‘Algeria, dove si sono installati gruppi di terroristi. Dalla Libia transitano armi e arriva il contagio dell’instabilità. Ansar al Sharia, coinvolta nell’attentato all’ambasciata americana il 14 settembre 2012, ha ancora il suo capo, Abu Iyad (nome di battaglia di Saifullah bin Hassine), in clandestinità e fuggitivo (probabilmente scappato in Libia). Il suo gruppo conta circa 3000 militanti attivi che arrivano a 10.000 con i simpatizzanti. E non bisogna dimenticare che Abu Iyad aveva militato da giovane nelle file del Movimento di tendenza islamica di Ghannouchi in clandestinità. Nel febbraio del 2011, dopo l’inizio della rivoluzione, era stato liberato dalle prigioni tunisine dove stava scontando una pena di 43 anni per terrorismo.

C ’è l’AQIM di Abdelmalik Droukdel che ha adesso alcune basi operative nel Paese ed ha recentemente nominato addirittura un suo rappresentante della branca tunisina nella persona di Khaled Chaieb (alias Lokman Abu Sakhr). Ci sono altre formazioni meno conosciute ma altrettanto pericolose come la Katibah (brigata) Uqba ibn Nafi (dal nome di un condottiero arabo che aveva conquistato il nord africa) che conta alcune centinaia di militanti. E ci sono anche quei radicali che all’interno di Ennahda coltivano teorie estremiste.

Poi ci sono le scuole coraniche finanziate dai wahabiti sauditi, i predicatori del Golfo che scorrazzano nel paese espandendo l’ideologia radicale.

Tutto questo è in parte dovuto alla condiscendenza di Ennahda verso i gruppi radicali. Dal 2011, nonostante vari arresti, nessuno è stato ancora condannato per terrorismo. Lo stesso Ghannouchi, nei suoi interventi pubblici, difficilmente si è espresso contro la violenza. Sono stati distrutti circa 40 mausolei di santi sufi. Ogni volta che si generano condizioni di caos sociale nei Paesi, si fornisce spazio operativo al terrorismo.

rachid ghannouchi
Rachid Ghannouchi

Le sfide da affrontare

Ci sono quindi, davanti alla Tunisia, nel futuro prossimo, delle grosse sfide da fronteggiare. Il ministero delle Finanze, in ottobre, ha pianificato un aumento del bugdet della difesa che passerà dai 110 milioni di dollari del 2014 ai 280 milioni dell’anno prossimo. Con gli U.S.A. sono in corso accordi per forniture di elicotteri, radar, armamenti, addestramenti antiterrorismo. La stabilità del Paese deve essere tutelata da un rafforzamento delle forze di sicurezza.

C’è la riforma della polizia, che oggi conta circa 35.000 uomini, che ancora risulta troppo legata alla pregressa dittatura e che continua ad applicare gli stessi metodi violenti dei tempi di Ben Ali. Aggressioni contro giornalisti e attivisti politici, arresti arbitrari, torture e corruzione. Famose sono diventate le forze speciali, qui chiamati Ninja, che intervengono in moto per colpire i manifestanti. Sotto questo aspetto, nel campo dei diritti umani, per la Tunisia democratica c’è ancora molta strada da fare. Chi è oggi maggiormente affidabile al fianco della rivoluzione tunisina è l’esercito che conta anch’esso 40.000 effettivi.

Il calo verticale delle risorse del turismo ha messo in ginocchio l’economia del paese. Questo crea disoccupazione, frustrazione ed alla fine instabilità. La Tunisia ha ricevuto promesse di 500 milioni di dollari dall'FMI e altrettanti dagli Stati Uniti, ma ne servirebbero almeno dieci volte tanti per risollevare le sorti economiche del paese.

Ma c’è soprattutto in atto una lotta culturale che vede le forze laiche che si riconoscono nel marxismo panarabo di Bourghiba confrontarsi con quelle islamiche ed all’interno di quest’ultime tra moderati e salafiti. E, sotto quest’ultimo aspetto, c’è il destino politico futuro di Ennahda, oggi schiacciata tra l’opposizione laica esterna ed il radicalismo di alcune frange al suo interno. Dovrà scegliere nel corso dei prossimi eventi nazionali senza equivoci se ancora una volta onorerà la sua adesione alla democrazia ed al pluralismo. Dovrà scegliere tra le regole della politica e i condizionamenti della ideologia religiosa. Si tratta poi in ultima analisi del fatto che all’interno del partito si accomunano due esperienze e percorsi di vita: quelli che sono scappati ed andati in esilio – come lo stesso Ghannouchi - e quelli che invece sono rimasti, ai tempi della dittatura nel paese, passando da un carcere all’altro, subendo torture e abusi, come Hammadi Jebali, Segretario generale di Ennahda. Il primo più incline alle suggestioni eversive della lotta militare, il secondo più incline ad una lotta politica.