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LA TURCHIA E LE  SUE NOSTALGIE DI UN IMPERO OTTOMANO


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Recep Tayyip Erdogan


Dall’inizio della primavera araba la Turchia sta riscoprendo la sua vocazione ad una politica egemonica in Medio Oriente e nel nord Africa. Forte della sua forza militare/economica, forte della  sua connotazione musulmana , forte dei suoi retaggi storici. E’ una scelta che parte dalle sue difficolt� ad entrare in Europa, trova terreno fertile nelle instabilit� politiche della regione, � favorita dalla guida governativa di un leader di un partito islamico come Recep  Erdogan, � adesso affrancata da un controverso rapporto stretto con Israele. Da una posizione politica subalterna nei rapporti europei e transatlantici Ankara diventa ora interlocutore centrale per le vicende  mediorientali nei consessi internazionali.

La Turchia gioca adesso a tutto campo : rimane inizialmente ostile e poi diventa neutrale sull’intervento armato in Libia (nella speranza di ritagliarsi un ruolo di mediazione che poi non avr� seguito), ospita sul proprio territorio l’opposizione politica e armata siriana mentre negozia opzioni diplomatiche o sanzioni con gli USA e la Lega Araba pur osteggiando un intervento armato, il suo Primo Ministro effettua visite in  Egitto, Tunisia , Libia, Lega Araba in un crescendo di relazioni e proposte, accresce la sua influenza in ambito NATO, sviluppa incontrastata operazioni militari contro i curdi in Iraq e nel contempo colonizza economicamente il Kurdistan iracheno, si appropria politicamente del processo di democratizzazione del Medio Oriente instaurando rapporti stretti con le nuove leadership, rompe le relazioni con Israele,  decide di autorizzare l’installazione di un sistema radar anti-Iran sul proprio territorio su richiesta americana, ma nel contempo collabora con Teheran per la lotta contro i curdi (si � parlato anche di possibili operazioni militari congiunte nel Kurdistan iracheno),  coopera con la Francia per  la questione siriana, ma poi entra in collisione con Parigi per la storia del genocidio armeno.

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Ataturk Mustafa Kemal

Neo-ottomanesimo

Dietro tutto questo attivismo c’� la volont� turca di essere protagonista di un nuovo ordine politico e sociale che sta investendo la Penisola arabica ed il nord Africa. C’� anche la convinzione turca  – avvalorata dalla dichiarazione degli aventi causa – che l’importanza strategica che gli USA, la NATO e l’Europa attribuiscono adesso ad Ankara � fondamentale per qualsiasi equilibrio nella regione. Se a questo si aggiunge, sempre da parte turca, un nazionalismo alimentato negli anni dal ruolo dei militari, il mal celato orgoglio di essere una potenza militare ed economica (la Turchia � al 13mo posto nella classifica economica mondiale), il desiderio – meglio detta ambizione -  di tornare ai fasti e al prestigio del passato, si arriva alla conclusione di poter definire questa fase di espansionismo politico-militare-economico turco come un “neo-ottomanesimo”.

Nel dettaglio analizziamo questo trend della politica turca attraverso le circostanze che ne hanno determinato la realizzazione :

Il congelamento delle relazioni tra Tel Aviv e Ankara � avvenuto a seguito dell’incidente  della motonave turca “Marvi Marmara” attaccata dalle forze israeliane il 31 maggio del 2010, per impedirle di raggiungere Gaza con la conseguente uccisione di 9 cittadini turchi. Situazione poi aggravata dalle mancate scuse da parte del governo israeliano e dal parere controverso della Commissione Palmer che ha portato alla rottura delle relazioni diplomatiche bilaterali (comunque gi� nel 2006 la Turchia aveva condannato l’attacco israeliano in Libano e nel 2009 l’embargo contro Gaza). La circostanza, abbinata ad una successiva e conclamata dichiarazione dei diritti dei palestinesi (compresa la richiesta del riconoscimento dello Stato palestinese all’ONU) ha portato forti simpatie ad Ankara nel mondo arabo. Ma si � anche spostato un asse di alleanze tra Israele che si � avvicinata a Cipro, Grecia  e Armenia mentre la Turchia si � avvicinata ai palestinesi e all’Egitto post-Mubarak. Nel sottofondo la prossima guerra per il controllo dei giacimenti di idrocarburi nel Mediterraneo meridionale;

L’indebolimento dell'asse strategico tra Egitto  e Arabia Saudita dopo la caduta di Mubarak ha consentito ad Ankara di esercitato il ruolo di Paese leader nella regione in assenza di concorrenti adeguati. Gi� nel febbraio del 2011, all’inizio delle prime manifestazioni al Cairo, Erdogan si era rivolto a Mubarak per invitarlo a non portare avanti la repressione. Dopo la caduta del Rais, il premier turco ha poi intrapreso un viaggio trionfale al Cairo con circa 200 imprenditori al seguito sia per rinsaldare i rapporti economici (la Turchia esporta circa 3 miliardi di dollari di prodotti l’anno alla controparte), sia per formalizzare una relazione strategica (ha proposto la creazione di un Consiglio strategico bilaterale) che per esportare in questa parte di mondo quell’islamismo secolare di cui � propugnatrice (in questo caso entrando in apparente rotta di collisione con i Fratelli Musulmani). La creazione di un asse, adesso solo politico ed economico, ma domani auspicabilmente militare, tra il Paese pi� forte della regione (Turchia) e quello pi� influente del mondo arabo (Egitto) � un elemento fondamentale della penetrazione turca nella regione;

L’importanza strategica della Turchia come ponte e crocevia fra Asia e Europa, ora geograficamente ancor pi�  enfatizzata dall’instabilit� nella regione mediorientale, � stata subito trasformata da Ankara in un elemento contrattuale di maggior peso politico nei riguardi degli Stati Uniti e dell’Europa. La Turchia vuole essere il referente della politica americana nell’area – ovviamente con margini di discrezionalit� per i propri interessi – a  detrimento dell’analogo ruolo esercitato da Israele. Ed intende farlo con il prestigio di chi pu� adesso dialogare e negoziare a pari dignit� con i grandi del mondo, senza complessi e perseguendo comunque i propri obiettivi egemonici. Un po’ una vendetta a latere anche contro le perplessit� europee a vedere Ankara all’interno dell’Unione.

La penetrazione politica turca nella regione toglie spazio e potere anche all’Arabia Saudita nel suo ruolo di Paese egemonico nella Penisola arabica. Ryadh durante le varie primavere arabe ha dedicato sinergie nell’appoggio di gruppi religiosi estremisti, al contrario di quanto fatto da Ankara a favore delle istanza popolari pi� moderate. La Turchia opera nella regione fuori dagli schemi di una contrapposizione fra sunniti e sciiti e fuori da una logica di ortodossia religiosa. Ankara ha quindi maggiori margini di manovra. Inoltre, il secolarismo islamico turco rispetto al wahabismo integralista saudita � un approccio pi� gradito alle potenze occidentali. Nel contempo, le iniziative di Ryadh sono anche condizionate da un paventato pericolo di contagio che pu� nascere da queste ventate libertarie che spirano nella regione, mentre le preoccupazioni turche in tal senso sono limitate. Democrazia e diritti umani sono veicolo di penetrazione per l’uno e di desistenza per l’altro;

Le vittorie di Erdogan sul piano interno e il successo nel contingentare il ruolo dei militari ha permesso al leader del AKP di dare seguito ad una politica estera pi� islamico-centrica. In questa nuova configurazione la Turchia ha la possibilit� di esportare il suo modello di islamismo secolare che si contrappone ad altri approcci religiosi pi� estremisti;

La Turchia gode al momento anche di altre circostanze favorevoli esogene rispetto alle problematiche mediorientali: l’instabilit� economica della Grecia eterna rivale e concorrente (l’una in recessione, l’altra in crescita economica a due zeri), la collocazione geografica per un eventuale transito di gasdotti verso l’Europa dai giacimenti asiatici, la sua crescente influenza nel Caucaso.

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Manifestazione in Palestina

Nuove sfide

Il problema della Turchia � adesso quello di tramutare una serie di situazioni congiunturali favorevoli in una stabile sfera di influenza politica ed economica a livello regionale e possibilmente  continentale.

Dopo la caduta dell’impero ottomano, la politica estera turca aveva subito una involuzione nei riguardi degli ex territori del suo dominio. Una fase di rigetto, forse determinata da un non mai sopito nazionalismo, che portava Ankara a non accettare psicologicamente di dialogare a pari dignit� con le nuove entit� regionali. Da l� una politica estera improntata sull’isolazionismo e sulle differenze (ceppo turco e non arabo) che non sulle comunanze (la religione poi diventata elemento di contrapposizione ideologica nei confronti del laicismo islamico di Ataturk).

Con la Turchia di Erdogan si sono invertiti i termini dell’approccio nella politica estera del Paese. La religione � diventata un veicolo di penetrazione, il modello politico turco � ora offerto come esempio da imitare e non come strumento per differenziarsi.

Rimangono comunque una serie di questioni insolute. La prima riguarda quelle che sono le vere aspirazioni strategiche della politica estera turca. Essere il Paese pi� importante della regione mediorientale – elemento prima teorico ed ora pratico con l’avvento della primavera araba -  � considerato dalla dirigenza turca un fatto scontato – e non solo per i suoi retaggi storici - e quindi potrebbe costituire solo mossa tattica in direzione di maggiori obiettivi futuri di politica estera. Il reiterato desiderio turco di entrare nell’Unione Europea pu� essere letto come elemento di conferma.

Vi � poi il problema della instabilit� regionale che accresce s�, l’importanza strategica della Turchia, ma che potrebbe anche determinarne, con un effetto contagio, delle potenziali debolezze. Da non dimenticare al riguardo il problema curdo con la recrudescenza degli attentati del PKK negli ultimi mesi. Una problematica che si riferisce al 15% della popolazione turca e che geograficamente investe aree transfrontaliere (Turchia, Iraq, Siria , Iran).

 La crisi siriana, il ritiro americano dall’Iraq, l’intenzione di Erdogan ad un dialogo (che vede l’opposizione dei militari ma anche dell’ala pi� oltranzista del PKK), potrebbe innescare una escalation di atti di terrorismo.

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Recep Tayyip Erdogan e Barack Obama


Infine, non bisogna trascurare le reazioni di altri attori politici nell’area mediorientale. Se da un lato la Turchia percepisce come acquisito il proprio primato nelle vicende mediorientali, non � scontato che tale approccio sia gradito agli altri Paesi arabi. Sicuramente c’� una collisione tra gli interessi egemonici turchi e quelli sauditi nell’area del Golfo. L’Egitto oggi non ha ancora la forza per esercitare il proprio primato culturale nel mondo arabo, ma questo non implica che domani possa accettare una sudditanza de facto a seguito dell’espansionismo turco. Inoltre l’Egitto di adesso – con il ruolo ancora immutato della dirigenza militare – potrebbe essere diverso dall’Egitto di domani sotto la guida dei Fratelli Musulmani (che certo non hanno niente in comune con l’Islam turco) e/o dei salafiti del Nour (non casualmente finanziati da Ryadh). Poi c’� l’attivismo del Qatar, che al pari della Turchia, si � ritagliato un ruolo nelle varie primavere arabe. Lo ha fatto con la partecipazione militare alle operazioni in Libia, continua a farlo con la forza persuasiva di al Jazeera. Il fatto che si tratti di un Paese piccolo viene bilanciato dal suo peso economico e dalla valenza strategica che gli attribuiscono gli americani. Poi c’� l’Iran e le sue velleit� nucleari. Preoccupano Israele, l’Arabia Saudita, gli USA, ma anche la Turchia. Quello che oggi � diffidenza o indifferenza bilaterale domani potrebbe diventare ostilit� aperta.

In estrema sintesi la Turchia e la sua attuale politica mediorientale possono fornire opportunit� alle intenzioni espansionistiche di Ankara, ma possono altrettanto divenare fonte di problemi. Non basta essere forti militarmente, avere un grosso peso economico per ritenere scontato un risultato politico in una zona dove l’instabilit� � endemica, la democrazia latente e la conflittualit� altissima. Non basta essere forti di un retaggio storico per rivendicare primati su di un’area geografica. L’impero ottomano non pu� essere riproposto nei rapporti di forza e nelle ascendenze di allora con la realt� di oggi. E non � ancora chiaro se questo concetto la Turchia lo abbia effettivamente assimilato.