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GLI UIGURI E LA CINA


uighur


L'ISIS, al pari di altri marchi, è oramai un brand internazionale applicabile ad ogni situazione in cui una comunità islamica, come nel caso degli Uiguri in Cina, sono sotto continua discriminazione e persecuzione.

Popolazione di fede islamica, quindi minoranza religiosa ma anche etnica (ceppo linguistico turcofono), è concentrata nella regione autonoma dello Xinjiang dove rappresenta circa il 42/45% della popolazione. Questa circostanza, abbinata alla diversità linguistica, culturale e religiosa ha alimentata negli Uiguri anche spinte indipendentistiche e separatiste peraltro represse nel sangue. Nel luglio del 2009, a seguito di incidenti etnici tra Uiguri e gli Han, l'etnia predominante in Cina, la persecuzione ha assunto caratteristiche di sistematicità con circa 200 morti e oltre 1800 feriti nelle varie sommosse popolari. Da allora continua la repressione delle forze di polizia cinesi con tutta una serie di misure restrittive che hanno esasperato i rapporti con le etnie cinesi degenerando spesso in scontri.

Come nel caso del Tibet, le autorità di Pechino hanno cercato di annacquare il peso demografico degli Uiguri nello Xinjiang immettendo e trasferendo nell'area popolazione di etnia Han. Gli Han nel 1949 rappresentavano solo il 6% della popolazione, mentre oggi sono oltre il 55%. Non esiste un censimento recente di questa popolazione – cosa che la Cina evita volutamente di divulgare – ma gli Uiguri solo solo circa 9 milioni in un Paese che ha oltre un 1,4 miliardi di abitanti. Basta questo a ridimensionarne la potenziale minaccia all’ordine sociale cinese? Probabilmente sì se fosse stata attuata dalle autorità cinesi una politica di integrazione di questa minoranza nel rispetto delle sue specificità culturali. Ma ciò non è avvenuto.

Ecco allora emergere la simpatia per i messaggi del califfo Abu Bakr al Baghdadi. Lo Xinjiang si colloca geograficamente al crocevia con diversi Paesi della ex URSS a maggioranza musulmana: Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan ed in prossimità dell'Afghanistan. Zone quindi dove è già avvenuto il contagio del radicalismo islamico e dove la presenza dell'ISIS viene già segnalata. La repressione cinese non fa altro che soffiare sul fuoco delle rivendicazioni degli Uiguri, alimentando la causa comune dell’estremismo militante.

Nelle file dell'ISIS sono arrivati oltre 100 volontari Uiguri, inquadrati nelle unità combattenti formate da volontari provenienti dalla stessa parte di mondo (uzbeki, tagiki, turkmeni). In prospettiva quindi, a prescindere da quella che potrà essere la sorte dell'ISIS in Siria e Iraq, si è già creata una sinergia con i gruppi radicali islamici operanti nei Paesi limitrofi allo Xinjiang. Ad esempio, in Afghanistan gli Uiguri hanno trovato rifugio nelle aree sotto controllo dei talebani.

Con le sue azioni la Cina ha consegnato all'ISIS le rivendicazioni della popolazione Uiguri. A marzo 2017 un video diffuso dalla propaganda del califfo ha minacciato Pechino con attacchi e stragi in rappresaglia per l'oppressione che sta subendo questo popolo. Una formazione di separatisti Uiguri, il Turkestan Islamic Party, citata e criticata dal video diffuso dall'ISIS sembra abbia invece preso contatti con Al Qaeda. Quindi parte della dissidenza Uiguri starebbe con l'ISIS e parte con Al Qaeda, anche se è molto probabile che nella lotta contro la Cina le due sigle terroristiche agiscano insieme. E' un dettaglio che deriva dal fatto che recentemente sia al Baghdadi che al Zawahiri hanno citato la Cina come proprio nemico.

I legami esterni preoccupano le autorità di Pechino al pari di quelli interni. I cinesi temono l'effetto contagio su altri gruppi islamici presenti nel Paese laddove i musulmani in Cina sono oltre 22 milioni. Inoltre, lo Xinjiang è una regione ricca di petrolio e uranio e lo sfruttamento di queste risorse postula la presenza di una pace sociale che oggi non c'è. E' inoltre un'area centrale per i traffici commerciali tra nord e sud dell'Asia e per quelli da est a ovest.

Nel valutare la minaccia potenziale posta dagli Uiguri non bisogna poi dimenticare la diaspora di questo popolo, presente in molti altri Paesi islamici e soprattutto in Turchia per questioni etniche e linguistiche. In passato è stata proprio al diaspora a finanziare le rivendicazioni separatiste.



chinese in urumqi
Forze di sicurezza cinesi in un mercato di Urumqi


La repressione cinese

Negazione di ogni libertà di opinione, di religione e di movimento. Agli Uiguri non vengono concessi passaporti e viene quindi negata la possibilità di espatriare. Anche nei movimenti interni alla Cina sono soggetti a continui controlli stradali. Dei giovani che viaggiano in gruppo posso essere a rischio di imprigionamento.

Sul piano religioso, la Cina vieta la celebrazione del Ramadan e di altre festività islamiche, così come viene osteggiato anche il diritto al digiuno nel mese sacro. Solo chi ha più di 60 anni può andare in pellegrinaggio alla Mecca, viaggio seguito da vicino dagli uomini della sicurezza cinesi per ogni eventuale movimento o contatto sospetto. Ma soprattutto, prima della partenza ai pellegrini vengono impartiti corsi speciali di indottrinamento come sistema di lavaggio del cervello.

Inoltre, è proibito sia lo studio dell'arabo che del Corano. Anche i nomi della tradizione araba e islamica sono proibiti nelle generalità degli Uiguri, mentre alle donne non è concesso di indossare veli o di vestirsi di nero (considerato un colore sovversivo) né tantomeno di indossare tuniche che arrivino sotto il ginocchio. Agli uomini è impedito portare la barba. Ai bambini è vietato l'accesso alle moschee ed alle donne Uiguri vengono imposte delle stesse restrizioni sul numero dei figli costringendole, all'occorrenza, all'aborto.

Le restrizioni arrivano al congelamento dei beni fino all'obbligo di avere un solo coltello in casa.
Nella capitale dello Xinjiang, Urumqi, è operante un sistema di video sorveglianza su tutte le strade, stazioni ferroviarie comprese, e la delazione e lo spionaggio sono fortemente incoraggiati. Arresti indiscriminati sono all'ordine del giorno, così come lo sono voci di torture. Del resto, ogni indizio di religiosità è considerato eversivo.


Xi Jinping
Il presidente cinese Xi Jinping


Gli errori di Pechino

La politica cinese di negazione dell’identità degli Uiguri e la repressione ad essa associata ha creato il terreno fertile per la diffusione del terrorismo. Li hanno trattati come terroristi senza che lo fossero e molti lo sono poi diventati, o sono in procinto di farlo. Rimasti emarginati, oppressi dalle restrizioni delle autorità cinesi, il loro senso di appartenenza ha alimentato la voglia di separarsi o rendersi autonomi.

Tuttavia, l'idea che gli Uiguri siano comunque dei potenziali terroristi è stata propagandata dai cinesi anche in occidente. E questo ha inficiato il sostegno dell'opinione pubblica internazionale. Ventidue Uiguri, solo per essere tali, sono stati detenuti per molti anni a Guantanamo e gli Stati Uniti hanno inserito ben quattro organizzazioni Uiguri nella lista nera dei terroristi. Tutto ciò è avvenuto soprattutto per ottenere il consenso cinese nel corso della guerra in Afghanistan.

Le pressioni cinesi verso i paesi musulmani dell'Asia e adesso soprattutto verso la Turchia sta rendendo difficile la possibilità che gli Uiguri possano trovare rifugio all'estero. Tuttavia, la minaccia costituita dalla dissidenza Uiguri è oggi più forte per gli interessi cinesi all'estero che non in patria, dove il sistema repressivo è molto efficace. E se dietro agli Uiguri c'è il sostegno dell'ISIS e di Al Qaeda la loro capacità di colpire e uccidere è sicuramente molto alta. In una recente riunione della Shanghai Cooperation Organization il presidente cinese Xi Jinping ha citato i tre "mali" da combattere: separatismo, terrorismo e estremismo. Gli Uiguri vi rientrano a pieno titolo.

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