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L’UCRAINA E LA CRISI…SENZA FINE?

ukraine crisis


1. La situazione in atto

La crisi ucraina (di fatto un conflitto armato) iniziata il 21 novembre 2013, ha fatto registrare nello scorso mese di dicembre 2014 un’ennesima tregua che potrebbe preludere, si spera, ad un “cessate il fuoco”; e questo mentre nella Federazione Russa (principale fonte di supporto ai separatisti filo-russi dell’Ucraina orientale) si riaffacciano il malumore e la voglia di ritornare in “piazza” da parte della gente comune, della piccola borghesia, dell’”intellighenzia” e perfino da parte di alcuni oligarchi che avevano acclamato le operazioni “recupero della Crimea e delle Repubbliche ucraine” autoproclamatesi indipendenti di Donetsk e Lugansk, in vista dell’istituzione dello Stato del Donbass in Ucraina Orientale.
Tutto questo anche in relazione alla caduta del rublo sulle principali piazze finanziarie internazionali, a partire dall’estate 2014.
Le cause del “crollo del rublo” sono la conseguenza, per la Federazione Russa, delle “sanzioni” poste in atto da Unione Europea e Stati Uniti e della caduta del prezzo del petrolio sui mercati dei Paesi OPEC e non-OPEC, tanto che non sono mancati i riferimenti ad una “Seconda Guerra Fredda” tra le due ex-superpotenze, il cui potenziale strategico non viene più contabilizzato attraverso il numero di testate nucleari e dei relativi vettori (missili e bombardieri strategici), bensì attraverso la disponibilità di risorse energetiche (gas, petrolio) e di relativi mercati.

Prima di entrare nel merito del tema in esame che chiede, con un punto di domanda nel titolo, se si tratti di una crisi senza fine, si ritiene necessario un cenno:
ai criteri adottati dal Presidente russo Putin nei confronti dei Paesi ex-sovietici, che insistono nelle aree d’interesse della Federazione Russa;
ai principali avvenimenti che hanno portato alla situazione in atto in Ucraina.

La politica estera della Federazione Russa nei confronti dei Paesi ex-sovietici è ispirata, come si è detto, ai criteri del Presidente della Repubblica Vladimir Putin, il quale:
non ha mai “digerito” lo scavalcamento su un piano globale da parte degli Stati Uniti alla fine della “guerra fredda” e sogna il ripristino della superpotenza ex sovietica;
ha ereditato un sistema economico non competitivo a causa della carenza tecnologica da recuperare (fatta eccezione per l’industria bellica, tuttora competitiva specie nel settore missilistico). Nell’attesa, Putin fonda la propria strategia sulle risorse energetiche, che manovra con accortezza e tempestività in prima persona; in particolare, la rete del rifornimento del gas ai Paesi europei: 140 miliardi di metri cubi che, al momento, passano attraverso il “North Stream” (55 miliardi di metri cubi) e il gasdotto “Yamal” (35 miliardi di metri cubi); il rimanente quantitativo attraverso l’Ucraina, impattando sui seguenti aspetti connessi con la crisi:
pagamento anticipato dei rifornimenti alla Russia;
possibilità dell’Ucraina di deviare sulla propria rete il gas destinato all’Europa occidentale;
proprietà dell’Ucraina dei tubi del gasdotto che “insistono” sul territorio ucraino, ricavandone le relative le royalties dalla Russia;

Putin si contrappone agli Stati Uniti, impedendone l’”avvicinamento” alle aree di influenza di suo interesse (russo-file e russo-fone, per intenderci), rispondendo, come in anni precedenti, “colpo su colpo” alle provocazioni, come si è visto con la reazione allo “scudo spaziale” voluto dagli Stati Uniti e con l’”Unione Euroasiatica” (UEA), fatta da Mosca ad immagine dell’Unione Europea (sul piano istituzionale), nell’intento di aggiungervi l’Ucraina che ha una percentuale di popolazione russo-fona e russo-fila crescente da ovest verso est (specie in Crimea e nel Donbass; quest’ultima area denominata, non a caso Novorossoija, in base ad aspirazioni del tipo “imperiale”), nonché di mantenere il controllo “ad ogni costo” di aree di possibile interesse – vedasi Abkazia e Ossezia del Sud, in Georgia; la Transnistria nella Repubblica Moldava e lo stesso Azerbaijan, se pure a maggioranza musulmano, a scapito dell’Armenia cristiano-ortodossa.
Per quanto si riferisce agli avvenimenti, si evidenzia che risultano alquanto complessi e che la comprensione potrebbe essere agevolata tenendo presente quanto segue:
la dimensione della piattaforma di svolgimento degli avvenimenti si amplia nel tempo, passando da locale a regionale e, per certi aspetti, anche globale.

Il “gioco al rialzo” di Putin è stato basato spesso sull’alternanza tra provocazioni/minacce (soprattutto militari) e gesti di pacificazione, allo scopo di riportare l’Ucraina nella sua sfera di influenza e di recuperare il ruolo di “superpotenza”, perduto con la fine della “guerra fredda”.


putin
Vladimir Putin


2. Gli avvenimenti che hanno determinato la situazione in atto.

a. La crisi ucraina, comunemente, si fa iniziare con la decisione del Presidente allora in carica, il filorusso Viktor Janukovich, il quale il 21 novembre 2013 ha sospeso la firma dell’”Accordo di libero scambio” sottoscritto con l’Unione Europea, preferendo un’offerta in aiuti finanziari più remunerativa di Mosca ai fini dell’adesione all’Unione Euroasiatica (UEA), caldeggiata dal Presidente Putin, di prevista istituzione nell’anno 2015 tra Federazione Russa, Bielorussia, Kazakistan ed altri Paesi ex-sovietici, all’occorrenza.
Grande, la delusione della popolazione ucraina filo-europea che è scesa in “Piazza Majdan” per dimostrare il proprio dissenso, mantenendone il controllo e, a somiglianza della “primavera araba”, è passata all’occupazione del Palazzo presidenziale, costringendo Janukovich ad allontanarsi dal potere.
Il 22 febbraio 2014 Janukovich, abbandonato il Palazzo presidenziale di Kiev, si trasferisce nella più ospitale Ucraina orientale, a maggioranza filorussa, in prossimità del confine Ucraina-Russia.

b. L’avvenimento che formalizza il passaggio dalla contrapposizione locale (ovvero, in Ucraina) a quella regionale, è la decisione del Parlamento della Federazione Russa (1° marzo 2014) di autorizzare il Presidente Putin all’uso della forza per la difesa degli interessi nazionali russi: questi interessi vengono “giustificati” come difesa delle minoranze russofone specie jn Crimea, come già avvenuto in Georgia nel 2004 (in Abkhazia e Ossezia meridionale) e come facilmente ipotizzabile in Ucraina (Crimea e Province autonome di Donetsk e Lugansk) ed anche in Moldova (Transnistria).
Il 16 marzo 2014 infatti, dopo l’occupazione dei palazzi istituzionali e delle basi militari da parte dei secessionisti filorussi, supportati dai militari russi “camuffati” da volontari (cioè senza alcuna mostreggiatura di grado e di reparto di appartenenza), la Crimea, “regalata” nel 1954 dalla Russia di Krushov (Primo Segretario del Comitato Centrale) all’Ucraina, vota la propria annessione alla Federazione Russa.
Si tratta del cosiddetto “modello Crimea”, una strategia che viene estesa alle citate due province orientali dell’Ucraina, Donetsk e Lugansk (indicate anche come Donbass), le quali:
si dichiarano indipendenti da Kiev;
si costituiscono in “autoproclamate Repubbliche di Donetsk e di Lugansk, in vista della successiva formazione dello Stato del Donbass, detto anche “Novorossija” nel lessico “imperiale”, caro a Putin;
richiedono aiuto e supporto alla Russia: appello che si concretizza con lo schieramento di 40-50 mila militari russi alla frontiera Russia-Ucraina, fatto passare per esercitazione periodica, programmata da tempo!
Il “modello Crimea” dovrebbe portare al frazionamento dell’Ucraina, al controllo, da parte della Russia, dell’area Crimea-Donbass e, se del caso, anche dell’Ucraina occidentale, a premessa della federalizzazione di tutta l’Ucraina (in pratica, il controllo di Mosca su tutto il Paese).
L’Occidente (UE, USA) reagisce alla provocazione, se pure in ritardo:
sul piano economico-finanziario con le sanzioni, quelle di 2ª fase, rivolte cioè agli “oligarchi” più vicini alla Dirigenza russa (la 1ª fase, si ricorda per completezza ( meno specifica per la sua destinazione) è stata attuata a seguito dell’annessione della Crimea);
sul piano militare, a seguito anche di richieste di supporto da parte dei Paesi UE prossimi alla Federazione Russa, i provvedimenti si sono concretizzati attraverso il rafforzamento del controllo dello spazio aereo dei Paesi Baltici e delle Polonia (schieramento di una quindicina di aerei) e dei confini terrestri (una compagnia “di terra”): il tutto a premessa di uno specifico dispositivo da definire in sede di successivo vertice NATO.

c. Si perviene così alla “configurazione globale” della crisi ucraina, che ha inizio con il “patto storico sull’energia” tra Russia e Cina, sottoscritto a Pechino il 21 maggio 2014.

Il patto impegna Mosca, a partire dal 2018 per 30 anni, a fornire alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas l’anno: non sono tantissimi, specie se si pensa al fabbisogno di gas dell’Italia che si aggira sugli 80 miliardi di metri cubi; ma è il caso di rilevare che:
questo contratto consente alla Russia di diventare la prima “azionista” della Cina, superando l’Europa;
non sono da escludere effetti negativi per i Paesi dell’Europa occidentale in termini di riduzione dei rifornimenti e/o di aumenti del prezzo del gas.
le elezioni politiche del 25 maggio in Ucraina fanno registrare la vittoria al primo turno di Petro Poroshenko (55% dei voti), un oligarca noto come “re del cioccolato”, nominato Presidente ad interim della Repubblica (la carica abbandonata da Janukovich a febbraio scorso), e confermano Arsenij Jatseniuk quale Primo Ministro, che già occupava tale carica ad interim.
Significativi i contenuti del discorso (all’atto della cerimonia del giuramento) di Poroshenko, il quale si presenta con lo “scettro dei cosacchi” (simbolo del potere da più di 500 anni), annunciando quanto segue:
“la Crimea è nostra, tornerà all’Ucraina”;
“è esclusa ogni soluzione di tipo federale”;
“l’Ucraina accelererà i tempi dell’integrazione europea”;
“i ribelli filorussi accetteranno la resa incondizionata”.

Questa dichiarazione d’intenti del Presidente ucraino, oltre al gradimento dei filo-europei, ha incontrato quello dei nazionalisti e degli estremisti di destra della zona occidentale, i quali, dal 21 novembre 2013, presidiavano Piazza Majdan, rifiutandosi di abbandonarla in relazione ai loro intendimenti politici (né con l’Unione Europea, né con Mosca);
altro avvenimento significativo risale al 28 giugno, quando l’Ucraina, unitamente a Georgia e Moldova, ha firmato l’Accordo di Associazione all’Unione Europea (lo stesso accordo che, il 21 novembre 2013, Yanukovich si era rifiutato di firmare, dando inizio alla crisi).

Quest’ultimo avvenimento, come è facile immaginare, “tocca un nervo scoperto” di Putin; peraltro, a gettare ulteriore benzina sul fuoco, il 17 luglio si registra l’abbattimento del boeing della Malaysia Airlines MH17, in volo da Amsterdam a Kuala Lumpur, con 298 persone a bordo (nessun superstite); questo avveniva nei cieli dell’Ucraina orientale, in prossimità del confine russo.
Secondo fonti ufficiali, fortemente sostenute dal governo di Kiev, l’aereo sarebbe stato abbattuto da un missile terra-aria “Buk” di fabbricazione russa (codice NATO, SA-11), lanciato dai miliziani filo-russi con l’intenzione di impedire i rifornimenti alle truppe di Kiev, impegnate nell’Ucraina orientale. Inizia così la “caccia” ai responsabili del lancio del missile!

Washington accusa i ribelli-separatisti, filorussi, dell’Ucraina orientale i quali, nella circostanza, avrebbero fruito dell’assistenza logistica e operativa di tecnici russi; per Mosca si tratta di un attacco di un caccia ucraino ( F.A. di Kiev) al boeing malese (scambiato per aereo militare, in operazione di rifornimento ai secessionisti dell’Ucraina orientale).
In Occidente, viene presa in considerazione l’applicazione della 3^fase delle sanzioni.
La contromossa del Presidente russo si concretizza il 21 agosto, con il blocco delle importazioni di generi alimentari dai Paesi europei, ad intensificazione dell’offensiva “autarchica” contro le sanzioni degli Stati Uniti e dei Paesi dell’UE (produzione sul territorio della Federazione Russa dei generi in precedenza importati dall’Occidente). Ci si avvicina così all’operazione “invasione” dell’Ucraina orientale!

Il 22 agosto, un’autocolonna con gli “aiuti umanitari” della Federazione Russa, destinati alla popolazione delle autoproclamate Repubbliche dell’Ucraina orientale, ferma al confine Russia-Ucraina da alcuni giorni per la verifica/controllo di eventuali carichi “non pertinenti” da parte del personale della Croce Rossa; l’autocolonna, d’iniziativa e senza aver completato la procedura di controllo, entra in territorio ucraina, provocando ripetute reazioni della Comunità Internazionale: si tratta della violazione del territorio ucraino e si presuppone un rifornimento di armi e munizioni ai secessionisti dell’Ucraina orientale!

Dopo mesi di conflitto e di guerra civile iniziati il 21 novembre del 2013, si riaffaccia, a questo punto, il sogno di conferire “pace” al territorio ucraino con il vertice di Minsk da parte del “gruppo di contatto per la pace in Ucraina”, per una tregua del conflitto nelle province ribelli di Donetsk e Lugansk, a premessa di un “cessate il fuoco”: il conflitto aveva già fatto registrare più di 3000 vittime!
Il vertice fa registrare un lungo incontro e una stretta di mano tra Putin e Poroshenko, che facevano sperare in una possibile pacificazione, ma il 25 agosto, si registra il “colpo di scena” che conferma la programmata alternanza alla quale Vladimir Putin ci ha abituati, e cioè: un segnale di pacificazione seguito da una sfida/minaccia, sul piano militare!

Infatti elementi della 31ª Divisione aviotrasportata russa vengono catturati, in veste di mercenari-volontari, dalle F.A. di Kiev, a pochi chilometri da Donetsk, mentre più a sud viene individuata una consistente autocolonna di invasione (numerosi mezzi militari russi, al solito senza insegne di appartenenza): è chiaro a questo punto l’intendimento di Mosca di aprire un nuovo fronte lungo le coste del Mar d’Azov, tra il confine russo e la Crimea: è il fallimento pertanto del vertice di Minsk e del “gruppo di contatto per la pacificazione dell’Ucraina”.
Al governo di Kiev, a questo punto, non resta che chiedere “aiuto e supporto” all’Alleanza Atlantica, in vista del vertice NATO in Galles, del 4-5 settembre: l’Ucraina orientale è chiusa nella morsa delle milizie filo-russe, con il determinante supporto delle forze russe.
Le conclusioni del vertice NATO portano alla costituzione di una “Forza di Intervento Rapido” della NATO su 4000-5000 effettivi (unità terrestri, marittime ed aeree) da impiegare con un preavviso di 2-5 giorni, con truppe di stanza in Polonia, più la costituzione di 5 basi/deposito, una in ciascuno dei tre Paesi baltici, le altre due rispettivamente in Polonia e in Romania; sarà ulteriormente rafforzato il pattugliamento aereo NATO sui Paesi baltici.

Completano gli eventi descritti:
sul piano interno, le elezioni politiche del 26 ottobre cui ha preso parte la popolazione dell’Ucraina ad eccezione del Donbass (dove gli scontri continuano) che hanno fatto registrare una modesta affermazione delle due formazioni dei due esponenti di vertice, ciascuna intorno al 20%:
“Blocco Solidarietà”, del Presidente Poroshenko;
“Fronte Popolare”, del Premier Jatseniuk,
risultati che, se anche sommati, non raggiungevano il 51%, obbligandoli al ricorso ad una terza lista (quella del Sindaco di Kiev), che aveva ottenuto il 13%, ai fini di una conferma dei due “esponenti di vertice” nelle cariche appena indicate.
I secessionisti-filorussi, per contro, il 2 novembre successivo hanno effettuato elezioni “in proprio” (in autonomia cioè, rispetto al governo di Kiev) con il risultato di un’ampia percentuale di voti favorevoli alle formazioni filo-russe.
La consultazione del Donbass è stata ovviamente accolta con favore da Mosca, mentre il Ministro degli Esteri Lavrov si è “rifiutato” di riconoscere il risultato elettorale di Kiev del precedente 26 ottobre, tacciandolo di brogli elettorali.
In Ucraina orientale, per concludere, continuano gli scontri tra forze governative di Kiev e ribelli secessionisti filo-russi; come pure continua la politica di Putin nell’intento di conseguire la federalizzazione dell’Ucraina e di riportarla sotto il controllo di Mosca.
Putin peraltro tende a dividere i Paesi europei dell’Unione Europea, come dimostra anche il prestito del dicembre scorso al Fronte Nazionale di Marine Le Pen (l’operazione “bancomat per i nazionalisti europei”) di 9 milioni di euro, senza peraltro trascurare le forze di destra di altri Paesi europei, sulla stessa lunghezza d’onda del citato Fronte francese (Austria, Ungheria, Bulgaria, Olanda ecc.) che si oppongono alla globalizzazione, all’eliminazione delle “patrie”, agli Stati Uniti e soprattutto all’immigrazione e all’euro.


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Petro Poroshenko


3. Recenti avvenimenti

Si riferiscono al periodo dicembre 2014-gennaio 2015 che viene trattato “a parte”, rispetto ai precedenti avvenimenti, perché vi si ravvisano indicazioni che potrebbero (o quanto meno si spera) offrire qualche opportunità ai fini del dialogo tra Washington e Mosca per la crisi ucraina; in particolare:
Obama, dopo il risultato negativo delle elezioni di “mid term”, ha concluso il 2014 con il “disgelo” nei confronti di Cuba; accarezza altresì il sogno di aggiungere, prima della conclusione del suo secondo (e ultimo) mandato, analoga “operazione” anche nei confronti di Teheran e di Mosca;
Putin, da parte sua, in un messaggio per il nuovo Anno, ha auspicato che le relazioni “Washington-Mosca” nel 2015 si svolgano su un piano di parità: questo viene interpretato come richiesta di alleggerimento delle sanzioni (USA,UE) nei confronti di Mosca, in cambio, da parte della Federazione Russa, della cessazione del supporto ai secessionisti dell’Ucraina orientale.
E a proposito dell’avvicinamento a Mosca, sebbene sia già “in pista” il Segretario di Stato John Kerry per contatti diplomatici con il Ministro russo Lavrov, Obama non trascura la “carta” dell’anziano Henry Kissinger (91 anni).
In questo contesto è il caso di tener presente la difficile situazione economica della Federazione Russa nonostante la donazione al Fronte francese; tutto questo, mentre continuano i sorvoli di aerei russi sul territorio ucraino e la tregua del dicembre scorso non si è ancora concretizzata in un “cessate il fuoco” (un proietto di artiglieria, il 12 gennaio scorso, ha colpito un autobus 35 km a sud-est di Donetsk, provocando 10 morti e 13 feriti gravi ed anche scontri nei giorni successivi sono stati registrati nella Provincia indicata).

Per quanto si riferisce alla situazione economica della Federazione Russa, incentrata sulle risorse energetiche (petrolio e gas), questa è fortemente condizionata dalle “sanzioni” (USA, UE) e dalla caduta del prezzo del petrolio che, dall’estate scorsa, è passato da 110 dollari al barile a 50 dollari (peraltro dal gennaio 2015, anche al di sotto di tale quota), a causa dell’immissione sul mercato, da parte degli Stati Uniti, di fracking(petrolio cioè, estratto da rocce scistose, con un procedimento tecnologico USA, non immune da critiche da parte degli ambientalisti).
Al riguardo, un tentativo del vertice dei Paesi OPEC per la riduzione della produzione di petrolio (26-30 novembre 2014) da parte dell’Arabia Saudita, non ha avuto esito e, per il 2015, la Banca di investimenti “Goldman Sachs” prevede un prezzo di 50,4 dollari al barile che, aggiunto aggiunto al prezzo del trasporto, significa 55 dollari “alla consegna” (un risparmio di 20 miliardi di dollari l’anno per l’Italia, che acquista ogni giorno 1.150.000 barili di petrolio).
Nel settore della fornitura di gas ai Paesi europei, la Federazione Russa ha sospeso il progetto “South Stream” il 1° dicembre 2014, per mancata autorizzazione della Bulgaria all’attraversamento del gasdotto sul territorio bulgaro; si possono immaginare le gravi conseguenze per la SAIPEM, società controllata dall’ENI e per le maestranze impegnate nel progetto, in conseguenza della sospensione della relativa commessa ( 2,4 miliardi di dollari) .
Circa la fornitura di gas ai Paesi interessati dal gasdotto “South Stream”, l’A.D. di Gazprom, Alexei Miller, ha comunque annunciato la costruzione di un nuovo gasdotto che dalla Russia (partendo dalla stessa stazione di compressione , Russkaya, già prevista per il “South Stream”), attraverso il territorio turco, raggiungerà l’abitato di Kipoi in Grecia; da qui, attraverso il Mare Adriatico (canale d’Otranto) raggiungerà Santa Foca di Lecce, per congiungersi alla rete italiana del gas.
L’alimentazione di questo nuovo gasdotto (capacità 63 miliardi di metri cubi, di cui 14 per l’Italia) avverrà a mezzo del giacimento di “Shah Denitz” in Azerbaijan.
L’Italia, si ricorda, ha un fabbisogno di 73,2 miliardi di metri cubi di gas l’anno e una produzione di soli 8,4 miliardi di metri; importa pertanto 64,8 miliardi di metri cubi che sono stati forniti finora dai seguenti Paesi:
Algeria (gasdotto “Transmed”): 20,6;
Russia (gasdotto “Trans Austria Gas”): 19;
Olanda e Norvegia (gasdotto “Transitgas”): 9;
Libia (gasdotto “Greenstream”): 6,5;
altri Paesi (tra i quali, il Qatar): 10.
In questa circostanza (sospensione cioè del “South Stream”) non si sono registrate eccessive preoccupazioni delle Autorità italiane, in relazione all’annunciata costruzione del nuovo gasdotto di Gazprom ed anche per la dichiarata disponibilità dell’Algeria a incrementare la propria fornitura di gas all’Italia.

4. Considerazioni conclusive

La crisi ucraina sembra sfuggita di mano ai principali protagonisti:
Obama intende “riportare” Putin al suo ruolo, avendo preso troppo spazio in importanti dossier internazionali (Egitto, Siria ed anche il caso Snowden di spionaggio internazionale);
Putin, colto di sorpresa dalla fuga di Janukovich da Kiev, ha cercato di rimediare, rimettendo “le mani” sulla Crimea ed alimentando il conflitto nell’Ucraina orientale; peraltro, mal sopporta il ruolo di superpotenza degli Stati Uniti, dopo il collasso dell’Unione Sovietica e cerca di recuperare la posizione dominante anche attraverso l’aggressione (Crimea e Ucraina orientale ed altre aree, specie nei territori, come si è detto, di Paesi con minoranze russofone e russofile);
a tale riguardo:
sussistono, come si è visto, motivazioni e contenziosi per i quali la “fragile tregua” possa cedere il posto a una nuova conflittualità, dal momento che è continuato il “gioco al rialzo” di Putin, dopo l’annessione della Crimea;
da considerare altresì che scontri tra manifestanti filo-russi e forze di sicurezza di Kiev si sono verificati anche a Odessa (maggio 2014) e che si profila anche l’apertura di negoziati sulla Transnistria, regione secessionista della Moldova, per l’unificazione alla Russia: a tale proposito, la Russia mantiene in Transnistria un contingente militare di 1200-1500 uomini (il “Gruppo Operativo Forze Russe in Moldova”): una forza dalla consistenza, di per sé, non preoccupante, ma che può costituire la prospettiva per un possibile incremento dell’organico, come strumento di pressione anche sul lato occidentale dell’Ucraina, in caso di degenerazione della crisi sul piano militare (una manovra “a tenaglia”, per intenderci, da est e da ovest);
la situazione interna dell’Ucraina, infine, evidenzia un deciso peggioramento, anche in termini di frazionamento, a seguito della crisi iniziata a novembre 2013 (si ricorda che Gazprom non darà più corso a forniture di gas all’Ucraina se non dopo pagamento anticipato);
le forze politiche della destra ultra-nazionalista (Partito Svoboda e Pravij Sektor) tendono a mantenersi distaccate dai principali schieramenti (né con i filo-europeisti né con i filo-russi, è in sostanza la loro ideologia politica ) e, come tali, non dimenticano il ruolo avuto a “Piazza Majdan” (contrariamente all’orientamento del Presidente Poroshenko), dove gli stessi sono state determinanti in occasione dell’allontanamento dal potere di Yanukovich;
la tregua in Ucraina orientale è tale solo “sulla carta”!

In merito ai possibili sviluppi della crisi ucraina che, come è risultato nel corso dell’esame fin qui svolto, “nasconde” il confronto tra Bruxelles e Washington da una parte e Mosca dall’altra, sono da tener ben presenti le seguenti considerazioni:
a. l’accordo di “Associazione” dell’Ucraina all’UE, fallito in precedenza (21 nov. 2013) e firmato il 27 giugno 2014, si propone di svincolare Kiev dalla morsa di Mosca e far entrare interessi e politica europei nel cuore della sfera di influenza russa.
Ragioni strategiche, peraltro, fanno ritenere politicamente artificioso l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica, visto che il progetto di adesione dell’Ucraina alla NATO fu prudentemente scongiurato dalla Germania (ma anche da Francia e Italia) al vertice NATO di Bucarest del 2008.

Kiev si ritrova ad essere il “campo di battaglia” di una guerra verosimilmente non del tutto sua, in cui interessi di altri Paesi si incontrano e si scontrano; un po’ come avveniva durante la “guerra fredda”, con le “guerre per procura”. Ciò ha indotto alcuni osservatori a parlare di una “nuova” guerra fredda: certo, alcune modalità richiamano quel periodo storico, ma il panorama politico internazionale è mutato radicalmente e non esiste più un mondo bipolare, fondato sull’equilibrio del terrore nucleare.

Nel frattempo, sfruttando il contenzioso tra Occidente e Russia, con il consueto basso profilo, un altro concorrente si è fatto avanti: l’oramai onnipresente Cina, che – oltre all’accordo sul gas con la Russia – ha acquistato e ha in animo di “incamerare” (ulteriormente) imponenti appezzamenti di terreno nella Repubblica Ucraina.

b. L’eventuale cronicizzazione della crisi (o meglio) il conflitto russo-ucraino non fa comodo a nessuno, neanche agli attori terzi interessati a vario titolo nel contenzioso (anche se tutti sembrano volerlo “cavalcare”). L’Ucraina “si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato”: è condannata dalla geografia a rientrare nel campo gravitazionale della Russia di Putin; l’Occidente si è limitato prudentemente alle sanzioni sinora , mentre continua l’alternanza, di sfide/minacce e segnali di pacificazione da parte di Putin, sempre in direzione dell’obiettivo strategico del Presidente russo, e cioè verso la federalizzazione dell’Ucraina e il controllo delle aree russo-file e russo-fone d’interesse.

c. E, infine, per rispondere all’interrogativo di apertura (L’Ucraina… e la crisi senza fine?), Putin non si lascia sfuggire la benché minima occasione per disarticolare l’Unione Europea – vedasi la recente operazione “bancomat per i nazionalisti d’Europa”, ovvero 9 milioni di euro prestati dalla “First Czech Russian Bank” al Fronte Nazionale di Marine Le Pen; c’è anche da osservare la reazione del Presidente russo alle sanzioni che impedisce l’import di Mosca nei settori agro-alimentare e del vestiario-calzaturiero, per i quali Putin sprona la produzione “autarchica” e invita ad appoggiarsi (specie per il settore agro-alimentare) ai mercati della Turchia e della Polonia.

La cronicizzazione del conflitto, pertanto, appare destinata a durare, a meno di concessioni significative, così sintetizzabili:
la cessazione delle sanzioni che non danneggiano solamente Mosca;
la fine dell’avvicinamento, da parte dell’Occidente, alle aree strategiche d’interesse della Federazione Russa la quale, ai fini della sicurezza nazionale, tuttora considera indispensabile una fascia di “Stati cuscinetto” a sud (Transnistria , Donbass, Abkhazia e Ossezia del Sud…. tra questi).

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