UCRAINA: DALLA RIVOLTA DI PIAZZA "MAIDAN" ALLA CRIMEA - CONSIDERAZIONI E PROSPETTIVE
Fare valutazioni categoriche e previsioni definitive e' pressoche' impossibile nell'analisi politica, a maggior ragione a eventi in corso, come nel caso della crisi in Ucraina; e' possibile tuttavia fare ponderate considerazioni su tali eventi e avanzare fondate ipotesi sui possibili sviluppi. A fronte di una trama intricata - come spesso accade -e' necessario quantomeno far emergere le linee direttrici su cui si snodano gli avvenimenti.
e' oramai noto a tutti il ricatto energetico a cui l'Europa deve sottostare da parte della Russia; meno evidente e' la parte attiva che l'Europa ha svolto nel cadere in questa trappola, scavandosi di fatto la fossa con le proprie mani. Infatti, per vincolare la Russia a se' e garantirsi cosi' la sicurezza energetica per il futuro, l'Europa ha pensato bene, negli anni passati, di stringere accordi per le forniture di gas (ma non solo) a lunghissima scadenza con Mosca, peraltro tendenti ad escludere l'intervento di fornitori terzi. Solo piu' tardi l'UE si e' accorta di essersi messa il cappio al collo da sola, perche' l'altro capo della corda ce l'ha in mano la Russia, che puo' tirarlo, a suo piacimento, ogni volta che lo ritiene opportuno, minacciando di soffocare l'UE e riducendola cosi' a piu' miti consigli. In tutto cio', l'Ucraina e' il terreno su cui scorre il gas russo destinato non solo all'Europa, ma all'Ucraina stessa, e questo la presenta come il campo di battaglia tra attori esterni, in cui padrone di casa ha tutto da perdere.
La miopia europea
Dietro gli scontri in corso a Kiev infatti si nasconde il confronto tra Bruxelles e Mosca per le forniture di gas. Il fallito accordo di "Associazione" dell'Ucraina all'UE del 28 novembre 2013 a Vilnius (Lituania) aveva come scopo, da un lato, di svincolare Kiev dalla morsa di Mosca e, dall'altro, di far penetrare (come un cuneo) gli interessi e la politica europea nel cuore della sfera di influenza russa: allora non e' il caso di sorprenderci per la reazione di Mosca.
Ma, come spesso accade all'Europa - e non solo, vedi gli Stati Uniti - si sono fatti i conti senza l'oste (l'oste in questo caso e' Vladimir Putin): l'Europa ha voluto destabilizzare l'Ucraina in funzione anti-russa sobillando la rivolta di piazza Maidan (in rumeno e in ucraino, "maidan" e' lo spazio aperto in cui si mandano i bambini a giocare, perche' non facciano danni in casa; e pertanto, a voler essere pignoli, si dovrebbe indicare il luogo della rivolta ucraina con "Maidan Nezalezhinosti", in italiano, Piazza Indipendenza) senza valutarne le conseguenze; e, di fatto, l'Europa, trovandosi spiazzata di fronte all'energica reazione di Mosca, praticamente ha lanciato il sasso e poi, di fronte alla mala parata, ha nascosto la mano, lasciando gli ucraini filo-europei con le spalle scoperte.
Ma procediamo con ordine. Alla vigilia dell'accordo di Vilnius, l'UE aveva messo sul piatto la modesta cifra di 200 milioni di euro come aiuti all'Ucraina, dando da fare a Kiev «i compiti a casa» (come indicato dal nostro sottosegretario agli Esteri Lapo Pistelli). Il Presidente della Repubblica ucraina Yanukovich, che non sara' un capolavoro di correttezza e onesta', ma sicuramente sa fare bene i propri conti, non aspettava altro pretesto per mandare all'aria questo scomodo accordo.
Cifre alla mano, i veri motivi del cambiamento di rotta del Presidente ucraino appaiono chiari: il Paese, sull'orlo della bancarotta, ha accumulato 2,7 miliardi di dollari di debito con la Russia; se a questo si aggiunge che un altro accordo russo-ucraino del 17 dicembre 2013 prevedeva l'acquisto di titoli di stato ucraini da parte della Russia per 15 miliardi di dollari e contemplava anche una riduzione del prezzo del gas russo del 33%, portandolo a 268,5 dollari per metro cubo invece di 400 ed in virtu' del quale Kiev andava a risparmiare 4 miliardi di dollari all'anno (normalmente importa almeno 30 miliardi di metri cubi di gas ogni anno), si comprende perche' l'opzione filo-russa di Yanukovich non sia stata solo una mera operazione propagandistica, ma un non trascurabile aiuto economico.
L'UE si e' anche impuntata sulla liberazione di Yulia Timoshenko, presentandola come una vera e propria condizione irrinunciabile (cosa che e' avvenuta il 22 febbraio 2014). A proposito della bella Yulia Timoshenko - la "passionaria" della "rivoluzione arancione" del 2004 - dall'Europa e' stata imposta come unico interlocutore nelle relazioni con il governo ucraino, dimostrando, a modesto avviso, miopia politica: paradossalmente (ma neanche tanto) potrebbe diventare l'interlocutore privilegiato del suo acerrimo (solo sulla carta) "nemico" Vladimir Putin. Non va infatti dimenticato che la campionessa dello spirito anti-russo, ex Primo Ministro il 5 agosto 2011, e' finita in galera per "abuso di ufficio" a seguito dei lucrosi e vantaggiosi affari (per lei, ma non per l'Ucraina) fatti con Gazprom nel 2009, in virtu' dei quali lo Stato ucraino si e' trovato a pagare il gas russo a un prezzo decisamente oneroso.
Con questi precedenti, e alla luce della improponibilita' dei leader emergenti sulla scena politica ucraina, e' lecito supporre che sara' proprio la Timoshenko - magari sottobanco - a trattare una resa "dignitosa" con lo "zar" Putin.
Yulia Timoshenko
Gli impresentabili
Facciamo un po' di chiarezza su questa "improponibilita'" degli autori del colpo di Stato - perche' di questo si e' trattato - che ha portato all'allontanamento di Yanukovich: un Presidente eletto con libere elezioni (se pure sospettato di brogli), ma certo non proprio un dittatore e per di piu' il rappresentante di una vasta fetta della popolazione filo-russa, oltre che (e soprattutto) garante degli interessi tutt'altro che puliti di alcuni "oligarchi", veri detentori del potere effettivo in Ucraina.
L'Ucraina non e' una nazione "monolitica", e', per cosi' dire, "una e trina":
- nella parte occidentale che gravita intorno a L'viv, la vecchia Leopoli, si parla l'ucraino (una sorta di russo arcaico); la cultura risente dell'influenza polacca, rumena e "austro-ungarica" e la popolazione si sente "europea" (ma solo a chiacchiere, come vedremo);
- nella parte centrale che gravita intorno alla capitale Kiev e, per un tratto, a cavallo del fiume Dneper, si riscontra la compresenza di ucraini "puri" (si fa per dire) e di cittadini russofoni;
- nella parte orientale e meridionale, in particolare nella penisola di Crimea (Repubblica autonoma dell'Ucraina), si registra una netta maggioranza russofona, molto vicina alla Russia non solo per origini e contiguita' confinarie, ma anche e soprattutto "spiritualmente".
A proposito della presunta "purezza" e dell'identita' ucraina, va ricordato che nel Paese sono presenti ben 40 etnie differenti. Se andiamo a considerare i fatti con un minimo di obiettivita', mettendo da parte la solidarieta' con i "patrioti sulle barricate" di piazza Maidan, ci accorgiamo che l'unico denominatore comune del fronte anti-Yanukovich e' la "russo-fobia".
Definire "eterogeneo" questo fronte, infatti, e' quantomeno eufemistico: dietro improbabili sedicenti "leader" si nascondono parvenu prestati alla politica che sono solo le marionette al soldo degli "oligarchi", veri protagonisti della lotta per il potere che si sta consumando in Ucraina. Il nazionalismo, la religione, l'europeismo, sono solo le facce diverse della stessa russofobia.
Se andiamo a vedere piu' da vicino gli "eroi" di Kiev e di L'viv che hanno cacciato i reparti speciali della polizia, facendo anche dei prigionieri, scopriamo che nella stragrande maggioranza dei casi appartengono a formazioni di estrema destra, come gli ultra-nazionalisti del Partito "Svoboda" e i neo-nazisti del Movimento "Pravy Sektor", che non si limitano ad essere russofobi, ma sono anche, e soprattutto, razzisti, xenofobi e anti-semiti.
A questo proposito, vale la pena ricordare che il 27 gennaio 2014, mentre ad Auschwitz si svolgevano le celebrazioni per la commemorazione dell'Olocausto, a L'viv i neonazisti, che si vantavano di essere la punta di diamante anti-Yanukovich, manifestavano con le svastiche inneggiando ai pogrom contro gli ebrei, ma di questo i media non hanno parlano molto. A costoro non interessa molto l'adesione all'Unione Europea, che anzi guardano con ostilita' e disprezzo, nel nome del precetto «L'Ucraina agli ucraini». Non e' un caso che questi personaggi non siano riusciti a riunirsi intorno a un programma comune e che si presentino, alle prossime elezioni previste per il 25 maggio, ognuno per conto suo.
Un breve inciso, a proposito dell'anti-semitismo conclamato della destra ucraina e dell'atteggiamento ambiguo (ma non sarebbe la prima volta), a questo riguardo, assunto da Israele. In una recente intervista, lo speculatore internazionale George Soros ha rilasciato dichiarazioni non richieste sulla rivolta ucraina, guardandosi bene, pero', dal riconoscere che questa e' stata ampiamente foraggiata proprio da lui. E sempre di recente, un Generale israeliano ha dichiarato senza mezzi termini che si e' occupato personalmente dell'organizzazione e dell'addestramento di 40 ucraini: una sorta di unita' di e'lite da utilizzare contro le forze dell'ordine di Yanukovich.
Questo conferma allora le perplessita' di quanti mettevano in dubbio lo "spontaneismo" dei miliziani (perche' di questo si tratta) in rivolta, di fronte al loro addestramento ed equipaggiamento tipicamente militari che li hanno portati a sconfiggere addirittura i reparti speciali della Polizia ucraina (tutt'altro che "degli sprovveduti"), e i sospetti che la rivolta ucraina fosse - come tante altre, del resto - eterodiretta.
Una costola della Russia
Quanto al "fattore religioso", va osservato che le due Chiese autocefale ortodosse di Ucraina, create esclusivamente in funzione anti-russa e scomunicate dal Patriarcato di Mosca in quanto scismatiche (oltre a non essere riconosciute da nessun altra Chiesa ortodossa), hanno dimostrato tutta la loro malafede nei giorni scorsi quando, in un anacronistico auto da fe', hanno costretto gli agenti di polizia fatti prigionieri dai dimostranti a chiedere scusa in ginocchio davanti alla folla in presenza delle icone e dei crocifissi ortodossi.
E' proprio il "fattore religioso" che ci mostra quanto l'Ucraina sia legata a filo doppio alla Russia: la Chiesa autocefala ortodossa russa, infatti, e' nata nel medioevo a Kiev, per poi trasferirsi a Mosca; proprio la Rus' di Kiev e' considerata la madre dell'identita' russa e, piu' in generale, dell'identita' degli slavi d'Oriente; non a caso l'Impero di Kiev (850-1240) e' stato la prima forma statuale della Russia.
Non dobbiamo stupirci allora se qualcuno si ostina a definire l'Ucraina «la piu' russa di tutte le Russie»; semplificando, in termini matematici, potremmo dire che "l'Ucraina sta alla Russia come il Kossovo sta alla Serbia"; nell'interesse di tutti - e dell'Ucraina (o di cio' che ne resterebbe) in particolare - c'e' da augurarsi che l'Ucraina non segua la stessa sorte del piccolo neo-stato balcanico.
Per non parlare del progetto di adesione dell'Ucraina alla NATO, prudentemente scongiurato dalla Germania (ma anche da Francia e Italia) al vertice NATO di Bucarest del 2008, a cui la Georgia di Sakashvili non ha voluto rinunciare, confidando ingenuamente in un improbabile intervento americano in soccorso della Repubblica caucasica, ma andando incontro alla sconfitta nella guerra contro la Russia, sempre nel 2008; una guerra che per Mosca e' stata poco piu' di un'esercitazione militare, con tanto di lanci di paracadutisti e sbarchi di fucilieri di Marina. Profonde ragioni geostrategiche - oltre al normale buon senso - impediscono all'Ucraina l'ingresso nell'Alleanza Atlantica: per non parlare dell'imponente base navale russa a Sebastopoli, in Crimea.
E, dopo Kiev, proprio la Crimea e' in questi giorni sotto i riflettori dei media e della diplomazia internazionale. Infatti, la Repubblica Autonoma di Crimea e' praticamente una enclave russa in territorio ucraino da quando, 60 anni fa, fu "regalata" da Kruscev (ucraino egli stesso, guarda caso, come Breznev del resto) all'Ucraina, all'epoca una delle 15 Repubblica dell'Unione Sovietica.
Non c'e' da sorprendersi, dunque, se l'escalation della presenza militare russa nella penisola di Crimea (prima blindati e carri russi per le strade, poi 2000 paracadutisti "senza mostrine", saliti a 6000 e ancora dopo a 15000 che hanno preso il controllo dei posti chiave della penisola - aeroporti, palazzo del governo, una base missilistica ecc. - senza contare la sproporzionata "esercitazione militare" dell'Esercito russo al confine con l'Ucraina) sia stata salutata con entusiasmo dalla popolazione russa che vive in Crimea.
e' di questi giorni, tra l'altro, la notizia del passaggio del neo Capo di Stato Maggiore della Marina ucraina ai russi; a proposito di Marina, molte navi della flotta ucraina, all'ancora nella base russa di Sebastopoli, hanno preso il largo - probabilmente per evitare di essere affondate in porto dai russi in caso di guerra conclamata.
Le opzioni sul tavolo
La scissione dell'Ucraina, tra la parte ucrainofona e quella russofona. Ipotesi poco probabile.
Se scissione ci dovesse essere, questa avverrebbe non seguendo una inesistente linea netta, ma molto frammentata: la divisione della ex-Jugoslavia insegna. Non avremmo una netta separazione, ma la perdita, da parte dell'Ucraina, di alcuni territori, come ad esempio la Crimea, la cui separazione dall'Ucraina e conseguente annessione alla Russia non sono da escludere a priori.
Altro tipo di scissione dell'Ucraina, tra la parte occidentale che entrerebbe nell'Unione Europea e la Crimea nella Federazione Russa. Ipotesi meno probabile della precedente. La Russia non accetterebbe un allargamento dell'UE a una parte dell'Ucraina; l'UE non avrebbe nulla da guadagnare attraverso l'acuirsi delle tensioni tra Kiev e Mosca, dal momento che proprio attraverso il territorio ucraino transita buona parte del gas russo da quale l'Europa dipende. La Polonia per prima - che certo non e' sospettabile di simpatie filo-russe - si sta adoperando per evitare una degenerazione della crisi, che comporterebbe una Russia ancora piu' vicina - e, soprattutto, ancora piu' "contrariata" - ai suoi confini.
Una guerra frontale tra Ucraina e Russia sarebbe un suicidio per l'Ucraina. La lezione della Georgia nel 2008 e' - o dovrebbe essere, il condizionale e' d'obbligo vista l'avventatezza degli attori in scena - chiara per tutti: come la Georgia, dopo una "solenne sconfitta" militare, ha perso l'Abkazia e l'Ossezia del Sud che, sotto la parvenza dell'indipendenza, sono diventate di fatto due "protettorati" russi, cosi' l'Ucraina si ritroverebbe annichilita sul piano militare - perche' la posta in gioco e' piu' alta - e fortemente ridimensionata sul piano territoriale, con ampie fette di territorio (soprattutto orientale) che passerebbero, piu' o meno formalmente, sotto il diretto controllo di Mosca. Come gia' detto, questa e' una prospettiva plausibile per quanto riguarda la Crimea, anche in assenza di un scontro militare tra Ucraina e Russia, visto il referendum popolare per chiedere l'indipendenza e/o l'annessione alla Russia, inizialmente indetto dalla nuova dirigenza della Repubblica Autonoma di Crimea in concomitanza con le elezioni politiche ucraine del 25 maggio, e poi anticipato al 31 marzo, per "battere il ferro finche' e' caldo", approfittando dell'ondata di entusiasmo e della presenza dei militari russi sul territorio della penisola di Crimea.
Finora Putin ha utilizzato la politica "del bastone e della carota" nei confronti dell'Ucraina, alternando la minaccia di chiudere i rubinetti del gas e mostrando i muscoli sul piano militare, con gli aiuti economici elargiti senza frapporre indugio. Finora, come si suol dire, la Russia "ha mostrato la forza per evitare di usarla"; sarebbe poco conveniente, per l'Ucraina ma non solo, se Putin dovesse mettere da parte la carota per ricorrere solo al bastone.
Il fatto e' che Putin, nel suo disegno di ricostituire lo spazio sovietico (per non dire "zarista"), ha precisi progetti per l'Ucraina:
-
l'ingresso nell'Unione Doganale, insieme a Bielorussia e Kazakhstan;
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l'ingresso nella piu' ambiziosa Unione Euroasiatica, a guida Mosca per stroncare definitivamente qualunque velleita' europeista e/o atlantista.
Il problema e' che l'Ucraina si trova ad essere il campo di battaglia di una guerra non (del tutto) sua, per la quale interessi di altri paesi si incontrano e si scontrano; un po' come avveniva durante la "guerra fredda" con le "guerre per procura". Questo ha indotto anche alcuni osservatori a parlare di nuova guerra fredda.
Qualcuno ha azzardato addirittura l'ipotesi che dietro la crisi ucraina si nascondano i "bizantinismi" della politica americana, che vorrebbero in realta' indebolire l'Unione Europea, allargandola all'Ucraina e alla Turchia: una prospettiva se pure affascinante dal punto di vista teorico-politico, ma poco probabile dal punto di vista politico-pragmatico, perche' oltre ad essere difficilmente dimostrabile, comporterebbe dei rischi davvero incontrollabili riguardo alle reazioni russe.
Per dirla in parole povere, l'Ucraina "si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato": condannata dalla geografia a rientrare nel campo gravitazionale della Russia, oltretutto in un periodo in cui questa e' guidata da un uomo come Putin che, da bravo ex-Colonnello del KGB, non fa sconti a nessuno. E infatti, le reazioni di Europa e Stati Uniti - nell'improponibilita' di un intervento militare (esattamente come accaduto in Georgia nel 2008) - si sono limitate a minacce di sanzioni e di boicottaggio del prossimo vertice G-8. Di fronte a tali minacce, per dirla alla buona, uno come Putin "continua a fare sogni tranquilli".
Nel frattempo, approfittando del contenzioso tra Occidente e Russia, tenendo il consueto basso profilo, ma badando al sodo, un altro concorrente si sta facendo avanti: l'oramai onnipresente Cina, che ha gia' acquistato, e ha in programma di acquistare ancora, imponenti appezzamenti di terreno (sarebbe piu' appropriato dire "interi territori") nella Repubblica Ucraina; come al solito, senza imporre particolari condizioni pseudo-umanitarie. Come dire: tra i due litiganti, il terzo (la Cina) gode.
L'Europa ha ritardato a scendere in campo se si escludono i tentativi di mediazione, in quanto priva di una strategia comune: appare infatti divisa non solo sul piano politico, ma anche su quello del rifornimento energetico, con i propri Paesi che "tirano l'acqua al proprio mulino". Non dimentichiamo che, in barba al gasdotto Nabucco - forse definitivamente "naufragato" - vari Paesi europei, con l'Italia in testa, partecipano al progetto russo del South Stream.
La cronicizzazione del conflitto russo-ucraino non fa comodo a nessuno dei contendenti, neanche agli attori "terzi" interessati a vario titolo nel contenzioso (eccezion fatta, forse, per Israele). Quella che doveva essere, nei programmi degli "oscuri" (si fa per dire) architetti di questa trappola, la vittima designata della rivolta ucraina, Vladimir Putin, con la sua determinazione, intraprendenza, abilita' nel ribaltare le carte e capacita' di "accelerare" gli eventi, dopo un'augurabile, sperabile, necessaria (per il particolare momento del pianeta) "normalizzazione" della situazione in Ucraina, per lui assai vantaggiosa - con o senza intervento militare, se pure limitato alla sola Crimea - ne potrebbe uscire addirittura piu' forte.
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