STATI UNITI: TORTURE E BUGIE

Il
17 settembre 2001, sei giorni dopo l’attentato alle Torri Gemelle,
il Presidente americano George W. Bush firmava un "Memorandum of
Notification" in cui venivano concesse alla CIA tutta una serie di
facoltà operative nella lotta al terrorismo. Tra queste vi era la
cattura segreta di individui e la loro detenzione senza
restrizioni. Quel Memorandum però non contemplava le eventuali
tecniche di interrogatorio.
Esportatori di democrazia
Sei mesi dopo, l'11 marzo del 2002, il Presidente Bush ordinava
l’apertura di un campo di prigionia all’interno della base navale
di Guantanamo, a Cuba. Per impedire l’applicazione della
Convenzione di Ginevra ai prigionieri, i detenuti vengono
catalogati come "fuorilegge". Dopo pochi mesi iniziano a trapelare
le prime notizie di abusi nei confronti dei reclusi. Passa un
altro anno, siamo nel giugno del 2003. La guerra in Iraq era
iniziata da appena tre mesi e scoppiava lo scandalo di Abu Ghraib.
Foto e testimonianze di torture e abusi sui detenuti.
Cambia lo scenario, ma non la sostanza. A Bagram, in Afghanistan,
nel maggio 2005 due detenuti muoiono a seguito di torture in una
delle prigioni segrete delle CIA. Erano stati attaccati con delle
catene al soffitto e ripetutamente picchiati.
Qualche giorno dopo, il 25 maggio, durante una conferenza stampa
alla Casa Bianca, un giornalista chiede: "Amnesty International ha
affermato oggi che gli Stati Uniti sono uno dei maggiori
trasgressori dei diritti umani. La Casa Bianca come risponde?" .
Dura la risposta dell'allora portavoce della presidenza, Scott
McClellan: "Ritengo che le accuse siano ridicole e non supportate
dai fatti. Gli Stati Uniti sono tra i Paesi che guidano il mondo
quando si tratta di protezione dei diritti umani e nella
promozione della dignità umana. Abbiamo liberato 50 milioni di
persone in Iraq e Afghanistan. Abbiamo lavorato per fare avanzare
la democrazia nel mondo, il rispetto della legge, la tutela dei
diritti delle minoranze, i diritti delle donne…".
Ma non finisce qui. Il 30 maggio un giornalista chiede lumi
all'allora Segretario di Stato, Condoleezza Rice, sulle
indiscrezioni dell’FBI circa la dissacrazione del Corano a
Guantanamo. La Rice non entra nel merito dell’episodio affermando
di non conoscerne i particolari, ma poi si lancia in un commento
su Guantanamo: "Voglio dire qualcosa sul trattamento delle persone
e della religione musulmana a Guantanamo. Siamo una nazione che
rispetta la fede religiosa e le differenze religiose. I detenuti
sono in grado di praticare la loro fede religiosa. A Guantanamo
sono disponibili i tappeti per pregare, ci sono frecce che
indicano la direzione de La Mecca così che possono pregare nella
direzione giusta".
Nel mondo degli esportatori di democrazia ci sono però alcuni
buchi neri. Uno di questi è l'Iraq. Il 19 giugno 2005 il Los
Angeles Times pubblica un resoconto sulle carceri irachene, dove
12mila detenuti subiscono intimidazioni, pestaggi, torture,
talvolta letali. Un dato trionfa nel nuovo Iraq: il 90% dei
detenuti ammette di aver confessato sotto tortura. Sarà anche il
lascito dei tempi di Saddam Hussein, ma il tutto avviene con la
benevola disattenzione delle truppe americane che controllano le
attività del Ministero dell’Interno e della Difesa e che sono
implicate nell’addestramento dei quadri dei due dicasteri.
La settimana successiva, il 26 giugno 2005, giornata mondiale
dell'Onu in supporto delle vittime della tortura, il presidente
Bush afferma che la libertà dalla tortura è un "diritto umano
inalienabile". Quello stesso giorno, dalla Casa Bianca, il
presidente USA dichiara che gli Stati Uniti "sono determinati a
costruire un mondo dove i diritti umani sono rispettati e protetti
dalla legge".

George W Bush e Dick Cheney
Un
rapporto scomodo
Tra ricorrenti accuse e smentite, siamo arrivati al documento sul
fenomeno delle torture a Guantanamo ed altrove che la Commissione
Intelligence del Senato americano, guidata dalla senatrice
democratica Dianne Feinstein, ha diffuso il 2 dicembre 2014. Un
documento complesso (6000 pagine, con un sommario di oltre 500
pagine, le altre rimangono al momento coperte dal segreto),
elaborato solo dai componenti democratici della Commissione (i
repubblicani si erano rifiutati di parteciparvi) e dopo aver
consultato 6 milioni di documenti della CIA nell’arco di 4 anni
(2009-2013). Un rapporto costato allo Stato americano 40 milioni
di dollari.
Ma cosa dicono i findings del Senato americano. In primo luogo che
le "enhanced interrogation techniques", le torture, non sono state
efficaci nel raccogliere le informazioni per le quali erano state
autorizzate. A questo si aggiungono le bugie della CIA, ai
politici, al Dipartimento di Giustizia, al Congresso ed alla Casa
Bianca su quanto stessero effettivamente facendo. E chi finiva nel
buco nero delle carceri private della CIA, era in balia di un
sistema senza controlli, supervisioni ed inibizioni, visto che
nessuno controllava gli aguzzini a stelle e strisce, che in alcuni
casi appaltavano a ditte esterne o servizi stranieri il lavoro
sporco.
Il documento è stato completato nel dicembre 2012 e poi dato in
visione alla CIA, che ne aveva inizialmente respinto le risultanze
della Commissione, bollate come "inesatte". Nel 2013 la
Commissione ha accusato Langley di aver spiato i lavori
dell’organismo e di aver violato i computer dove venivano raccolti
i dati. Il capo della CIA, John Brennan, si è dovuto scusare
pubblicamente; parimenti è stato respinto dalla Commissione il
rapporto diffuso dalla stessa Agenzia di intelligence in quanto
"troppe notizie sono state cancellate".
Prevedibile da parte dei mandanti politici dell'operazione, il
Presidente George W. Bush ed il suo Vice, Dick Cheney, la difesa
dell'indifendibile. Cheney ha dichiarato che gli interrogatori con
tortura erano "totalmente giustificati" e che "gli uomini della
CIA dovrebbero essere lodati". Messo sul banco degli accusati,
l’ex Presidente Bush, dopo alcuni giorni di silenzio, ha optato
per la difesa dell’operato dell’Agenzia e dichiarato che gli
agenti della CIA sono dei "patrioti".
La CIA, da parte sua, ha tenuto a ribadire che i suoi
interrogatori, benché brutali, non fossero delle torture.
Equilibrismi linguistici a parte, le accuse formulate nel rapporto
non produrranno alcuna conseguenza legale per nessun funzionario
coinvolto, dalla Casa Bianca in giù. I due ex Direttori della CIA
in carica ai tempi delle torture, John Tenet ed il Gen. Michael
Hayden, hanno ribadito la linea: "Non siamo qui a difendere le
torture, ma ha difendere la storia".

John McCain con Richard Nixon
Agli
storici l'ardua sentenza
Il dibattito tuttora in corso si svolge su piani diversi. Su
quello politico si tendono a giustificare alcune misure nel
contesto dell’emergenza sicurezza dopo l’11 settembre 2001; sul
piano della liceità giuridica di tali iniziative si dibatte sul
fatto se possano configurarsi o meno come torture; infine, sul
piano pratico, il rapporto del Senato americano mette in dubbio
addirittura l’utilità delle torture nell'estorcere confessioni ai
terroristi che si possano rivelare utili per salvare altre vite
umane.
Sullo sfondo di tutta questa storia c'è una questione etica,
particolarmente ingombrante per una nazione come gli Stati Uniti,
auto-proclamatasi paladina del mondo civile e dei diritti umani.
Possono gli USA essere accusati di violazione dei tanto
sbandierati diritti? Poteva un'emergenza ed un attacco criminale
giustificare l'autorizzazione e l'utilizzo di torture? Se il
terrorismo conduce una guerra non convenzionale, questo potrebbe
farci pensare che altrettanto deve essere la risposta. A ciascuno,
secondo la propria cultura e sensibilità, l'ardua sentenza.
Il lato più discutibile dell’intera vicenda è che queste attività,
oggi inequivocabilmente definite come "illegali", sono state
negate finché è stato possibile farlo. Per Cheney le torture non
esistevano, mentre oggi difende gli aguzzini. Lo stesso ha fatto
Bush. Le bugie, la disinformazione hanno preparato il terreno per
la guerra contro Saddam Hussein. Quelle stesse menzogne ne hanno
alimentato l'invasione e l'occupazione alla presunta ricerca di un
nemico al quale era stato appena offerto un nuovo terreno di
battaglia.
La risposta migliore alla pubblicazione del rapporto del Senato
americano l'ha data il Senatore John McCain. Catturato dai nord
vietnamiti nel 1967 e tenuto prigioniero fino al 1973, durante la
detenzione ha subito ripetute torture, pestaggi, rifiuto di cure,
isolamento per due anni, percosse con costole rotte. Era ospite
della peggiore prigione di Hanoi, la Hoa Lo, meglio nota come
"Hanoi Hilton", dove aveva tentato il suicidio per affrancarsi
dalle sevizie. Nel suo discorso al Senato, e dopo aver ricordato
cosa sia disposto a dire e a fare qualsiasi prigioniero pure di
mettere fine alle proprie sofferenze, ha detto: "In definitiva, il
fallimento delle torture nel raggiungere il loro scopo non è il
motivo principale per esservi contrari. Come ho detto spesso, e
continuerò a dirlo, la questione non riguarda i nostri nemici;
riguarda noi. Riguarda chi eravamo, chi siamo e chi aspiriamo di
diventare. Riguarda come ci presentiamo al resto del mondo".