IL
PERCHE' DI UN INTERVENTO AEREO AMERICANO IN LIBIA
L'intervento
aereo degli Stati Uniti su Sirte agli inizi di agosto non ha
soltanto una valenza militare. Anzi, a differenza dell’allarmismo
internazionale, gli uomini dell'ISIS asserragliati in un quartiere
della città natale di Muammar Gheddafi non rappresentavano più un
pericolo immanente. Dall'inizio delle operazioni militari delle
milizie di Misurata, quelle che operano per nome e per conto del
premier Fayez al Sarraj – nominato a seguito di un processo
alquanto lungo e contorto di riconciliazione nazionale e su
sponsorizzazione internazionale – le fortune militari dello Stato
Islamico a Sirte erano in continuo declino. Molti jihadisti erano
già scappati verso il sud della Libia, mentre il rimanente, circa
500/700 uomini, era stato circondato e quindi non più in grado di
costituire un pericolo per la già precaria situazione sociale e
militare libica.
Tuttavia, come tutti i combattimenti negli abitati – una forma di
guerra non convenzionale che si trasforma in guerriglia – i
difensori (in questo caso gli uomini dell'ISIS) sono avvantaggiati
e questo implica grosse perdite per gli attaccanti. Nel caso
libico, i miliziani islamici si sono dimostrati essere combattenti
esperti; conducono la guerra con il disprezzo della propria vita e
di quella degli altri (nel caso specifico la popolazione in
ostaggio); impiegano sistemi alquanto spregiudicati di difesa
(intenso utilizzo di trappole esplosive e mine); fanno frequente
ricorso a kamikaze e non fanno prigionieri. Questo ha portato
quindi a delle grosse perdite nelle fila dei miliziani di Misurata
e ad uno stallo nella riconquista della città.
E’ stato quindi giustificato l’intervento aereo statunitense,
peraltro in deroga alla politica di disimpegno americano dalle
vicende mediorientali?
Pur considerando che non è la prima volta che i caccia americani
colpiscono le basi dell'ISIS in Libia, a febbraio gli aerei USA
hanno bombardato Sabratha senza consultare nessuno, questa volta
l'intervento militare risponde a logiche di altra natura.
La prima esigenza, quella principale, è di ordine politico. Da
quando, nel marzo scorso, Fayez al Sarraj si è insediato a Tripoli
per cercare di creare un consenso popolare intorno al governo di
riconciliazione nazionale, i progressi politici sono stati
alquanto deludenti. Alcuni esponenti dell’ex governo islamista di
Tripoli, mai riconosciuto dalla comunità internazionale, lo hanno
osteggiato. Lo stesso dicasi del parlamento e governo di Tobruk,
internazionalmente "legittimo", dove ci sono tuttora forti
resistenze ad accettare il nuovo governo di riconciliazione
nazionale.
Fayez al Serraj
Chiaramente un governo, per essere credibile, deve avere
l'autorità per svolgere il suo ruolo, ovvero il controllo delle
finanze, dell'ordine pubblico e delle forze armate. Sugli aspetti
finanziari è stato fatto qualche progresso. E’ stato ripristinato
un certo controllo sulla Banca Centrale libica e vi è stata la
parziale riattivazione della produzione di petrolio, fonte
primaria di entrate per la Libia. Dopo una riunificazione delle
branche della società petrolifera statale, la National Oil
Corporation, Sarraj è dovuto scendere a patti con le milizie note
come Petrolium Facility Guards (PFG) di Ibrahim Jadhran. Il
personaggio, alquanto discutibile sia per i suoi trascorsi
islamici – il fratello Usama è stato ucciso assieme ad altri
estremisti nei pressi di Benghazi – sia per aver tentato in
passato di commercializzare privatamente il petrolio libico, si è
arrogato l'esclusivo diritto di proteggere le strutture di
produzione.
Con i suoi presunti 25mila uomini – stime ufficiose vogliono che
in realtà siano 12 mila, di cui tremila a pieno organico – Jadhran
offre un sostegno insperato al traballante premier libico, che
ricambia pagando gli stipendi della sua milizia. Il leader delle
PFG è un nemico giurato del generale Khalifa Haftar, i cui soldati
hanno peraltro ucciso il fratello, a sua volta ostile al governo
di Fayez al Sarraj.
Haftar non vuole cedere il comando del suo “Esercito Nazionale
Libico”, considerata la forza armata governativa prima
dell’insediamento del nuovo esecutivo di unità nazionale. Il
generale non ha peraltro alcuna intenzione di accettare incarichi
alternativi – era stata ventilata l'ipotesi di creare dei comandi
regionali e di affidargli il comando delle sue truppe in Cirenaica
– né di assecondare l'idea che un suo ex comandante di unità carri
come Madhi al Barghati, peraltro vicino allo stesso Ibrahim
Jadhran, eserciti il ruolo di Ministro della Difesa.
L'ostilità di Haftar sul piano militare e quella di Tobruk sul
piano politico hanno obbligato il premier Sarraj a trovare una sua
legittimazione attraverso una vittoria militare sul terreno. Chi
meglio della minaccia dello Stato Islamico a Sirte?
Dopo i primi successi però le milizie di Misurata sono state
fermate dalla resistenza dei jihadisti dell'ISIS, subendo forti
perdite e ritardando la tanto agognata vittoria. Le perdite subite
dalle milizie di Misurata indebolivano anche la limitata struttura
militare che oggi agisce in nome e per conto del premier libico.
L'accordo a suo tempo sottoscritto sotto l'egida dell'ONU
prevedeva che in Libia si insediasse un governo di riconciliazione
nazionale e che, se quest’ultimo lo avesse richiesto, sarebbero
potute intervenire forze militari internazionali. Anche se
attualmente il pre-requisito dell'insediamento di un governo di
riconciliazione nazionale effettivo è più un fatto virtuale che
reale, Fayez al Sarraj ha richiesto ed ottenuto – ovvero si è
arrivati consensualmente a convincere gli americani – un
intervento militare straniero.
Una vittoria sull'ISIS a Sirte, anche se sminuita dal supporto
aereo statunitense, dà comunque a Sarraj quella minima
legittimazione sul terreno che altrimenti non riuscirebbe ad
ottenere. Il premier libico dimostra che con il "suo" esercito
riesce a sconfiggere il terrorismo islamico, mentre il generale
Haftar ha difficoltà nel fare altrettanto a Bengasi e Derna.
Questo è quello che serve oggi per cercare di portare a compimento
quell’iniziativa di riconciliazione nazionale sponsorizzata
internazionalmente a detrimento di altre aspirazioni di segno
contrario.
Fayez al Sarraj ha dovuto spesso ribadire come la richiesta da lui
formulata riguardasse soltanto un intervento aereo e che non ci
sarà l'impiego di truppe di terra straniere. Il primo ministro
deve infatti accreditare l'ipotesi che sia a capo di un governo
libico e non una pedina in mano ad interessi internazionali. Ha
anche interesse a salvaguardare quel senso di orgoglio nazionale
comunque dominante nella società libica. Quindi nessuna ingerenza
e nessuna violazione dell’integrità nazionale. Anche sulla
questione della non presenza di forze terrestri straniere sul
territorio nazionale si è volutamente sorvolato sul fatto che,
comunque, vi sono in Libia militari americani, francesi, inglesi
ed italiani (e forse anche giordani) con funzioni addestrative (e
di sminamento, come nel caso degli italiani), di consulenza e non
di combattimento.
Chiaramente l'intervento armato in Libia risponde anche a logiche
di politica interna americana. L'amministrazione Obama è sempre
stata restia a farsi coinvolgere militarmente nelle vicende
mediorientali. Avendo ricevuto in eredità da George W. Bush i
pantani iracheni ed afghani, nei suoi otto anni di mandato il
Presidente Barack Obama ha cercato di circoscrivere gli impegni
militari nella regione. L'interventismo militare è stato sempre un
cavallo di battaglia del partito Repubblicano ed oggi, derogando
alle sue idee con l'intervento in Libia, Obama dà sostegno alla
candidatura presidenziale del suo ex Segretario di Stato, quella
Hillary Clinton che era nei fatti strumento politico di questo
tipo di approccio politico-militare. L'imminenza delle elezioni
presidenziali americane hanno avuto il loro peso nella decisione
di Obama, il quale ha peraltro spesso espresso rammarico per
l'intervento armato contro Gheddafi nel 2011, ritenuto un errore
commesso anche su "istigazione" francese.
Oltre alle questioni di politica interna americana bisogna anche
considerare la rinnovata competizione con la Russia. Il disimpegno
militare americano in Medio Oriente non ha solo incontrato le
critiche negli Stati Uniti, ma ha anche deluso le aspettative di
molti alleati arabi. Tutto questo ha favorito un crescente ruolo
russo nell'area, come evidenziato dalla centralità di Mosca nella
soluzione della crisi siriana. E' la Russia che adesso dialoga con
Israele, è la Russia che sostiene militarmente Damasco, è la
Russia che adesso viene guardata con interesse da molti paesi
arabi e che sta diventando oggetto di un riavvicinamento anche da
parte della Turchia.
Khalifa Haftar
Sinora Mosca aveva tenuto un basso profilo nelle vicende libiche.
Tuttavia non si era esentata dal sostenere in forma limitata il
generale Khalifa Haftar. Una scelta non molto reclamizzata anche
perché avrebbe contraddetto il sostegno dato alla risoluzione
dell'ONU ed al governo Sarraj. Tuttavia, Haftar ha frequentato
scuole militari russe, è sostenuto dall'Egitto e dagli Emirati
Arabi Uniti e, in modo altrettanto discreto, dalla Francia, è
sicuramente uno strumento nella lotta contro l'integralismo
islamico. E non è un caso che sia la Russia che Haftar abbiano
subito contestato la legittimità dell'intervento aereo americano.
La Russia ha affermato che un intervento militare americano
avrebbe dovuto essere approvato dal Consiglio di Sicurezza
dell'ONU visto che oggi Sarraj non rappresenta ancora un governo
di riconciliazione nazionale nel pieno dei suoi poteri. Haftar ne
ha fatto invece una questione di legittimazione nazionale: per
insediarsi il governo di Tripoli avrebbe dovuto ottenere
l'approvazione dell'unico parlamento libico legittimo, cioè quello
di Tobruk. Questo passaggio parlamentare non è ancora avvenuto –
ovviamente perché Khalifa Haftar ha fatto di tutto perché ciò non
avvenisse – e quindi Sarraj non è ancora un premier legittimo.
Inoltre, è emblematico che le critiche all'intervento militare USA
arrivino anche da un personaggio considerato molto vicino
all'estremismo islamico, simpatizzante dell'ISIS come Sadiq al
Ghariani. Avversario di Haftar e Sarraj, ha dichiarato da Tripoli
che l'intervento americano è "illegittimo" perché diretto contro
fedeli musulmani.
A prescindere da ogni distinguo, non è sicuro che l'intervento
aereo americano sulle postazioni dell'ISIS a Sirte possa
determinare un miglioramento significativo della situazione
politico-militare libica, ancora contraddistinta da instabilità e
disgregazione sociale. Né è così certo che alla fine Sarraj ne
tragga un guadagno politico diretto nell'esercizio della sua
funzione governativa o nella legittimazione intrinseca del suo
operato.
E’ evidente che un governo senza un proprio esercito, alla mercé
delle varie milizie, non potrà durare a lungo a prescindere dal
sostegno armato, seppur temporaneo, degli aerei americani. Ai
tempi di Muammar Gheddafi l'esercito libico era in buona parte
costituito sulla base di quelle tribù (“kabile” in Libia) fedeli
al regime. Adesso sono invece quelle stesse tribù, ora emarginate
e senza voce in capitolo nella ricostruzione delle forze armate
libiche, ad opporsi ai tentativi di riconciliazione. La
ricostituzione di un nuovo esercito libico passa quindi
necessariamente attraverso un processo di rappacificazione
nazionale inclusivo che comprenda anche dei quadri del vecchio
regime. Non è casuale che alcuni ex militari lealisti stiano
combattendo assieme all'ISIS a Sirte.
Ai tempi di Gheddafi non esisteva un Ministero della Difesa e
mancava quindi una struttura centrale di comando. Oggi la realtà
militare libica è fatta di due "eserciti" principali: uno a
Tripoli ed uno a Bengasi in competizione ed in reciproca ostilità.
Dopodiché vi sono varie milizie che rispondono a criteri tribali o
privati o talvolta criminali.
La ricostruzione di un esercito libico propriamente detto è un
processo che richiede tempo e che deve necessariamente tenere
conto del fatto che oggi vi sono sul terreno più uomini armati di
quanti ne servirebbero per ricostruire le forze armate. Muammar
Gheddafi non aveva mai permesso che l'esercito libico diventasse
uno strumento efficace perché, molto semplicemente, non si fidava.
Del resto erano stati militari come lui ad aver compiuto il colpo
di Stato del 1969. Ed era quindi chiaro che temesse che un’altra
iniziativa speculare lo avrebbe potuto detronizzare.
Dopo il fallimento dei tentativi del 2012 di demilitarizzare,
smobilitare e reintegrare le varie milizie in un esercito
nazionale, appare difficile che possa adesso riuscirvi Fayez al
Sarraj se non coadiuvato da una specifica assistenza
internazionale. Quindi, se fosse valido questo assunto,
l'intervento aereo americano potrebbe essere solo l'inizio di una
invadenza/presenza militare straniera magari diversamente
articolata.