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I TANTI CALIFFATI DEL MONDO


caliphate

La nascita di un califfato, come proposto da Abu Bakr al Baghdadi, discende dalla storia dell’Islam dopo la morte di Maometto. Il califfo o “successore” era colui che costituiva guida politica e religiosa, un abbinamento di potere spirituale e temporale. Portava avanti il disegno del Profeta nell’espansione dell’Islam nel mondo. Ed il tempo dei califfi corrisponde, anche storicamente, ad un periodo di conquiste territoriali.

Zarqawi vs Baghdadi

Non casualmente Ibrahim Awwad Ibrahim al Badri al Samarrai, questo il vero nome di Abu Bakr al Baghdadi, nelle sua conquiste territoriali tende a identificarsi con questa parte della storia dell’Islam. Ha preso il nome di Abu Bakr non casualmente visto che è il primo califfo della storia, nonché suocero di Maometto. Al suo nome ha poi aggiunto l’epiteto di “Al Baghdadi” per identificare il suo luogo di provenienza o forse per rendere palese l'obiettivo ultimo delle sue conquiste. In alternativa, essendo stato preceduto in questa lotta contro la dirigenza sciita irachena da un illustre predecessore oramai defunto come Ahmad Fadeel al-Nazal al-Khalayleh, noto ai più con il nome di Abu Musab al Zarqawi (dal nome della sua città di origine, Zarqa, in Giordania), è probabile che il citato Abu Bakr abbia voluto emulare questo riferimento toponomastico nel suo cognome. Il riferimento al califfo Abu Bakr ha anche il significato di riferirsi ad un califfato che, sebbene temporalmente breve, è stato contraddistinto da vittorie contro l’apostasia, dall’allargamento della “Umma”, la comunità islamica, e da un uomo passato alla storia come integerrimo e che ha vissuto umilmente benché ricco. L’ultimo califfato presente sulla Terra è stato quello ottomano, iniziato nel quattordicesimo secolo ed abolito, dopo la dissoluzione dell’impero, nel 1924.

Se Zarqawi voleva la caduta del regime sciita di Baghdad e lottava contro la presenza americana a seguito dell'invasione dell'Iraq del 2003, un obiettivo quindi territorialmente limitato, Al Baghdadi ha invece mire molto più impegnative: vuole costituire uno Stato islamico che vada oltre i confini iracheni e, più che alla lotta contro gli infedeli (rappresentati dagli Stati Uniti e dalle altre nazioni della coalizione internazionale), è maggiormente dedicato alla lotta contro gli apostati, siano essi sciiti o sunniti che non aderiscono al suo progetto. Entrambi hanno utilizzato il terrorismo come mezzo o come fine ed hanno sicuramente delle affinità anche nella gestione del terrore. Ma a parte la constatazione che la Jama’at al Tawhid wal Jihad (Associazione per l’unicità e la guerra santa) di Zarqawi fosse un fenomeno terroristico confinato nelle vicende irachene di quel tempo, l’ISIS di Baghdadi nasce soprattutto dalla guerra in Siria e poi, successivamente, tracima nelle questioni irachene.

Il franchising del califfo


Il progetto di Al Baghdadi è sicuramente ambizioso, con tonalità messianiche, un sogno come quelli che sapeva interpretare il califfo Abu Bakr, noto anche come oniromante. Ed è proprio l’organizzazione dell’autoproclamato califfo, in virtù di questo mistico riferimento agli splendori militari dell’Islam degli albori ed al fatto che – a differenza di altre esperienze negative pregresse – l’ISIS persegue l’obiettivo di creare una propria entità territoriale, abbinato ad innegabili risultati militari, ad aver innescato una proliferazioni di autoproclamati califfati in altre parti del mondo.

E’ un po’ l’effetto franchising e di emulazione che si era già manifestato con Al Qaeda quando, sotto la guida di Osama bin Laden, l'organizzazione era circondata dal fascino del successo. E’ chiaro che i califfati, o presunti tali, sono nati nella maggior parte dei casi da preesistenti conflitti regionali. La loro affiliazione all'ISIS è stata dichiarata soltanto successivamente. Cambia talvolta la denominazione di ogni singola lotta, ma non la sostanza e gli obiettivi di ogni azione rivoluzionaria. Questa circostanza qualifica che la nascita di nuovi califfati ha più un valore propagandistico, come un marchio di fabbrica, che pratico. L’esposizione mediatica che l’ISIS ha oggi nel mondo, grazie anche alle efferatezze di cui si rende responsabile, ha prodotto questo effetto trainante. Fornisce, inoltre, a tutti quei soggetti provenienti da varie parti del pianeta, il fascino e l’infatuazione di una sfida globale, fatta in nome della religione, per la quale vale la pena di combattere o morire.

Il filo che lega l’ISIS ed il califfato originale di Baghdadi agli altri califfati è costituito soprattutto dalla transumanza di terroristi che si spostano da un’area di crisi all’altra, in ogni qual dove si determinano le condizioni per esercitare la loro attività destabilizzante. Ed è questa una circostanza che ricorre spesso in Medio Oriente e in Africa. In questo gioco al proselitismo, il brand dell’ISIS gode oggi di una particolare celebrità e pubblicità, correlata anche alle vittorie militari sul terreno, che va a scapito di altri marchi un tempo più prestigiosi come Al Qaeda.


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Abu Sayyaf nelle Filippine


Un brand in espansione

Esiste infatti nel mondo dell’integralismo islamico ancora un certo dualismo che mette in competizione questi due brand. Nello stesso teatro operativo siriano, per esempio, Jabhat al Nusra (Fronte della vittoria), Ahrar al Sham (Uomini liberi della Siria) e Khorasan (dal nome storico con cui si indicavano i musulmani dell’Estremo Oriente) si ritengono legati ad Al Qaeda; Harakat Sham al Islam (Movimento Islamico della Siria) e Suqour al Izz (I Falconi della forza) si sono invece affiliati all’ISIS; Ansar al Islam (ex Ansar al Sunna, ovvero I Partigiani dell’Islam) mantiene, dopo iniziali conflitti con l’ISIS, una posizione equidistante.

Comunque sembra che i due brand possano in un prossimo futuro passare dalla rivalità alla convivenza o fusione, anche se permangono diversità di intenti e di modalità esecutive. Rimane il fatto che per pubblicità, emulazione o aspirazione, adesso ci sono tanti sedicenti califfati nel mondo, anche se talvolta il tutto si riduce solo a rendere pubblica l’affiliazione di varie cellule jihadiste all’ISIS. Eccoli allora i califfati: ci sono i cosiddetti “Talibani del Pakistan” (Tehrik e Taliban Pakistan) che hanno aderito dal Belucistan pakistano, bandiere dell’ISIS sono comparse nel Kashmir (sotto controllo indiano) e nel Waziristan (area tribale tra Pakistan e Afghanistan). Un recente attentato nei pressi di Jalalabad, in Afghanistan, che ha prodotto 34 morti ed un centinaio di feriti è stato rivendicato dall’ISIS.

E in questo effetto domino dei consensi nel continente asiatico bisogna aggiungere le adesioni, probabilmente di cellule singole, in Indonesia, Malesia, Maldive, Cecenia e nella regione cinese dello Xinjiang. Anche un gruppo storico in attività dal 1991 come quello di Abu Sayaf – Harakat al Islamiyah – che opera nelle isole meridionali delle Filippine si è affiliato. Il forte legame di questo mondo con le vicende dell’ISIS è la diretta conseguenza della presenza di veterani afghani e pakistani nelle milizie di al Baghdadi.

Ma il pericolo maggiore di una diffusione dell’ISIS o, meglio, della sua ideologia e modus operandi, risiede soprattutto nella regione mediorientale ed in Africa. Nella fascia saheliana due fazioni di AQIM, una facente capo al Jund al Khalifa (L’esercito del Califfo) di Abdelmalek Gouri, ucciso ai primi di gennaio 2015, e l’altra a Mokhtar Belmokhtar hanno recentemente aderito all’ISIS. Lo stesso hanno poi fatto gli Shabaab in Somalia e, soprattutto, i Boko Haram in Nigeria. La povertà endemica, l’indigenza, la mancanza di libertà civili e di aspettative per una vita migliore fanno del continente africano un potenziale bacino di consensi per l’ISIS.

In Medio Oriente e Nord Africa, aree più prossime a quelle operative dell’ISIS, la presenza più significativa è quella dell'Ansar Beit al Maqdis egiziano che ha annunciato la creazione di un califfato nel Sinai. Tuttavia, il Beit al Maqdis, più che con l’ISIS di al Baghdadi, sembra aver instaurato legami operativi con altri gruppi terroristici dell’Egitto, quali una neo-formazione apparsa il 24 gennaio scorso chiamata Agnad Misr (Soldati di Egitto), probabilmente una scheggia della Jihad Islamiyah di antica memoria. Accanto all'affiliazione del Beit, compaiono anche le Brigate al Furqan.

Altrettanto sta cercando di fare in Tunisia Ansar al Sharia, mentre la branca yemenita dell’organizzazione ha ufficializzato i suoi legami con al Baghdadi. In Marocco e Giordania l’adesione è venuta da singole cellule. Ma, come abbiamo specificato, tutte queste organizzazioni terroristiche che combattono nel mondo il più delle volte si sono limitate ad una adesione o affiliazione all’ISIS soprattutto dal punto di vista politico.

La Libia fa un po’ caso a sé perché il califfato che si è auto-proclamato a Derna nasce in un momento successivo all’ISIS e, a differenza di altri casi, non era pre-esistente. Sicuramente la presenza di combattenti dell’Ansar al Sharia, insieme al loro capo Mohammed al Zahawi, recentemente eliminato, ha aiutato in questo salto di qualità. Così come è stato decisivo l’arrivo di una brigata di veterani libici rientrati dalla Siria ed inquadrati nella Brigata al Battar. Nel caso libico la mano operativa e fattiva dell’ISIS appare molto più accentuata nella creazione del califfato locale. E la comparsa dell’ISIS anche a Sirte ne è la conferma indiretta.


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Polisario in Marocco


Sviluppi futuri

Ma la domanda forse più importante da porsi è quella di verificare se esista un nesso operativo, oltre al comune nominativo, che leghi l’ISIS ai vari altri califfati comparsi nel mondo. Sul piano pratico questo nesso sembra oggi non esistere. Come ha recentemente spiegato un comandante del Beit al Maqdis egiziano, i contatti con l’ISIS avvengono via web; sicuramente c’è uno scambio di idee, metodologie, comportamenti, pur mantenendo ciascun gruppo una propria autonomia operativa legata alle circostanze ambientali. Lo stesso approccio è impiegato per rendere mediaticamente appetibili le proprie imprese pubblicizzandone le efferatezze come se questo costituisse oramai un marchio di fabbrica.

Ma il vero pericolo che circonda l’espansione del fascino dell’ISIS nel mondo islamico non è tanto la creazione dei califfati, ma l’effetto trainante che l’ideologia associata alle conquiste militari potrà avere nel prossimo futuro sulle decisioni di altri movimenti della galassia radicale islamica. Potrebbe esser il caso dei Fratelli Musulmani che oggi sono oppressi in Egitto, subiscono l’ostracismo del regime saudita, sono emarginati in molti Paesi del Golfo e quindi potrebbero un domani condividere degli obiettivi con il Beit al Maqdis e quindi con l’ISIS. Nella Striscia di Gaza è già comparsa una Brigata filo-ISIS denominata “Sheykh Abu al Nur al Maqdisi”. Una saldatura fra causa palestinese e ISIS sarebbe oggettivamente pericolosa. Ed ancora più lontano, nei campi del Polisario a Tindouf la frustrazione per una soluzione politica che non appare all’orizzonte per la popolazione saharawi sta facendo crescere forti simpatie per l’ISIS.

L’ISIS potrà acquistare un vero spessore internazionale solo se queste saldature vedranno la luce. Ed il tempo gioca comunque a suo favore. Più passa il tempo e più l’ISIS acquista le caratteristiche di una realtà statuale e non di un fenomeno transitorio. E qui si inserisce la recente dichiarazione dell'ex Ministro degli Esteri saudita, Saud bin Faisal bin Abdulaziz Al Saud che ha previsto un tempo tecnico di circa 10 anni per eliminare l’organizzazione di Abu Bakr al Baghdadi. Una previsione che non tiene conto del pericolo di queste saldature.

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