LA PROSSIMA AREA DI CRISI: LO YEMEN E LA GUERRA DEGLI HOUTHI

C’è una guerra di cui nessuno parla. Un conflitto che si trascina da anni, conta molte vittime, è collegato al terrorismo e incide sulla stabilità della Penisola Arabica. Una guerra che mette contro, ancora una volta, sunniti e sciiti e, per interposta persona, l’Iran e l’Arabia Saudita. Stiamo parlando dello Yemen e della lotta degli Houthi, gruppo insurrezionalista di ispirazione sciita che può contare su una forza stimata di centomila uomini.
Il silenzio che avvolge questo conflitto è determinato dal fatto che avviene in un Paese arcaico e povero come lo Yemen, situato ai margini delle maggiori tensioni che oggi coinvolgono la regione. Il Paese che si estende sul Golfo di Aden è però geograficamente strategico. La sua instabilità cronica, un governo centrale debole, una faida continua di tipo tribale ed una povertà assoluta hanno creato le premesse per lo sviluppo di una locale branca di Al Qaeda, Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP). La guerra degli Houthi contro il governo centrale è però il pericolo maggiore che incombe sulla sorte dello Yemen.
Il “comandante martire”
Questa comunità di fede sciita prende il nome dal suo leader, Hussein Badreddin al Houthi, ucciso il 10 settembre 2004 in uno scontro a fuoco con l’esercito yemenita. Gli Houthi appartengono ad una setta minoritaria dello sciismo, gli zaidi, nome che discende da Zayd bin Ali, pronipote di Maometto, a cui riconoscono il titolo di quinto imam (in contrapposizione agli sciiti duodecimali dominanti). Gli zaidi applicano una loro giurisprudenza o scuola di pensiero teologica e, nell’ambito delle sette sciite, sono quella ritenuta più vicina al sunnismo. La loro variante teologica e le dispute ad essa connesse vanno avanti dall’anno 740. Gli zaidi sono presenti in vari Paesi (Iran, Pakistan, Iraq), ma in Yemen rappresentano circa il 30% della popolazione. Sono sulle 400 le tribù yemenite formate esclusivamente da zaidi. Se si tiene conto che la popolazione dello Yemen è di circa 25 milioni di abitanti si può facilmente evincere quale possa essere la loro forza militare.
Hussein Badreddin al Houthi, già parlamentare in rappresentanza di un partito islamico (Al Haqq ) nel periodo dal 1993-1997, aveva dato inizio e capeggiato un'insurrezione armata nell’area di Saada fin dal 18 giugno 2004. La sua lotta era caratterizzata da connotati religiosi sciiti contro il governo centrale ed Hussein si era anche appropriato del titolo di imam. Questo non era il primo movimento Houthi ad affacciarsi in Yemen. Il padre di Hussein, Badreddin, nel 1992 aveva dato vita ad “Ansarullah” e si era opposto al presidente Ali Abdullah Saleh. Le sue idee secessioniste lo avevano costretto alla fuga in Iran ed infine alla morte insieme ad uno dei suoi figli.
La morte di Hussein al Houthi non ha messo fine alla rivolta che è continuata sotto la guida dei suoi fratelli: Abdul al Malik, Yahia e Abdul Karim. La sua figura è oggi venerata come quella del “comandante martire”. Nell'ultimo decennio i rapporti degli Houthi con le autorità centrali sono sempre stati contraddistinti da ripetuti scontri armati alternati a brevissimi periodi di tregua. Nel 2011, nel periodo della cosiddetta Primavera Araba, gli Houthi hanno dato un forte contributo alla cacciata del presidente Saleh.
Hussein
al Houthi
Un gioco più grande
In un Paese come lo Yemen la lotta armata contro il regime centrale ha quasi sempre connotati tribali o talvolta – come nel caso degli Houthi – religiosi. Ampie aree del Paese non rispondono a nessuna autorità se non a quella delle tribù o milizie locali. A parte il terrorismo, ci sono anche le faide e gli scontri che tuttora costellano la convivenza tra l’attuale presidente, Abd Rabbo Mansour Hadi (che viene dal sud), ed il suo predecessore, Ali Abdullah Saleh (che viene dal nord).
Le continue tensioni hanno di fatto annullato qualsiasi spazio per qualsivoglia forma di democrazia facendo dello Yemen un Paese cronicamente instabile, con un alto livello di conflittualità interna, pericoloso e povero. A Sana'a la politica non la fanno i partiti, che almeno formalmente esistono, ma i vari sheykh delle rispettive tribù in un intrigo di relazioni, alleanze e contrasti a livello territoriale. Ciascuno di essi usa il proprio potere per interessi di parte, non risponde del proprio operato al governo centrale e risolve le proprie controversie il più delle volte con la forza delle armi.
Ma la vera novità della rivolta Houthi, rispetto a tante altre con cui si confronta il Paese, è che questa lotta, per le sue connotazioni religiose, si inserisce nello scontro in atto nel mondo islamico fra sunniti e sciiti. Questo fa sì che la ribellione Houthi sia non solo un elemento del mosaico interno yemenita, ma anche una pedina nel gioco regionale. Dietro agli Houthi è infatti comparsa la longa manus iraniana, scatenando la reazione dei sauditi. Del resto, la vicinanza delle regioni Houthi con il confine saudita ha fatto sì che parte di questa ribellione trasbordasse spesso nella contigua provincia saudita del Jizan.
Gli Houthi, infatti, controllano da sempre una parte delle regioni nel nord dello Yemen ed particolare le aree confinarie nei governatorati di Saa’dah, al Jawf, Hajjah e Amran, conquistata recentemente manu militari. Nelle aree sotto controllo dei ribelli Houthi non viene tollerata la presenza di forze armate nazionali. Gli insorti hanno il loro esercito, la loro polizia, la loro amministrazione e, ovviamente, non riconoscono le autorità centrali di Sana’a. Proprio nell'Amran dal giugno del 2013 si combatte una guerra che contrappone gli Houthi alla potente tribù degli Al Ahmar. Il tutto è nato per l’uccisione di una famiglia di Houthi in un ristorante, la cui colpa è stata attribuita proprio a questa tribù.
Con i sauditi c’è da tempo un problema di convivenza. Già nel 2009 c’era stata una breve guerra tra Houthi e truppe saudite. Ultimamente si è aggiunta la questione dell’espulsione forzata di centinaia di migliaia di lavoratori yemeniti dal regno dei Saud a seguito di una nuova legge sul lavoro approvata nel 2013. In un Paese povero come lo Yemen questa iniziativa ha creato forti risentimenti. Nei primi mesi del 2014 moltissimi yemeniti sono stati deportati e fatti rientrare in patria (in Arabia Saudita lavoravano mediamente circa due milioni di yemeniti su circa 9 milioni di lavoratori espatriati).
Il presidente Hadi conta molto sul sostegno saudita per la propria sopravvivenza politica e finanziaria. Infatti, l’economia yemenita è dipendente non solo dalle rimesse degli espatriati, ma anche dalle donazioni di altri Paesi arabi. E tra questi l’Arabia Saudita è il maggiore contribuente. Anche qui si è però innescata la lotta tra Doha e Ryad con il Qatar che, per accattivarsi le simpatie yemenite a scapito dell’Arabia Saudita, ha promesso più soldi ed offerto la propria disponibilità ad impiegare manodopera yemenita, garantendo accesso al sistema educativo e sanitario agli espatriati.
Abd
Rabbo Mansur Hadi
La linea del fronte a Sana'a
Ultimamente la lotta tra gli Houthi ed il regime si è trasferita per le strade di Sana’a. Non è più una rivolta alla periferia del Paese, ma un vero e proprio assalto al potere centrale.
Gli Houthi sono arrivati nella capitale yemenita sconfiggendo varie tribù ostili e costellando il loro cammino con oltre un migliaio di morti. Tra i loro maggiori avversari si annoverano le tribù sunnite legate ai Fratelli Musulmani locali che militano nel Partito Al Islah (“La Riforma”). Un altro nemico degli Houthi è rappresentato dalle tribù del nord (compresi i citati Ahmar) che appoggiano (o appoggiavano) l’ex presidente Ali Abdullah Saleh ed il suo partito, il Congresso Popolare Generale. E poi ci sono i gruppi salafiti vicini ad Al Qaeda che ovviamente vedono negli zaidi un nemico teologico.
In questo intrigo di tutti contro tutti, gli Houthi hanno però incontrato anche tribù favorevoli ad un ricambio di un potere corrotto ed inefficace trovando poi la solidarietà della popolazione a seguito dell’aumento governativo del prezzo dei carburanti. Il presidente Hadi è chiamato a trovare una soluzione politica alle pretese degli Houthi sotto la minaccia delle armi. Attualmente la capitale yemenita è presidiata da posti di blocco degli zaidi che controllano gli edifici governativi e la televisione di Stato.
Nonostante i tentativi di tenere una conferenza nazionale di riconciliazione, non vi è stato alcun progresso nel dialogo tra gli Houthi ed il regime. Gli Houthi, insieme al Partito Socialista yemenita e ad alcune forze politiche del sud, sono favorevoli alla creazione di uno stato federale composto da due regioni: il nord (dove loro avrebbero il sopravvento) ed il sud. Trattandosi però di uno schema che ricorda l'assetto dei due stati indipendenti riunificatisi soltanto nel 1990 dopo decenni di conflitti, la proposta è osteggiata dal presidente Hadi che opterebbe piuttosto per una suddivisione dello Yemen in cinque o sei regioni.
L'opzione federale rappresenta però nelle intenzioni degli Houthi il primo passo verso la secessione e l'indipendenza. Per circa mille anni nelle aree montagnose del nord dello Yemen è esistito fino al 1962 un regno guidato dagli zaidi. La marginalizzazione dal potere subita negli ultimi decenni non ha fatto che acuire la voglia di un ritorno al passato. E se l'autonomia statuale può essere difficile da ottenere, gli Houthi puntano quantomeno ad un'ampia discrezionalità nel gestire i propri affari in maniera indipendente dal governo di Sana'a.
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