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YEMEN: UNA GUERRA PER PROCURA


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Come era facilmente prevedibile (Invisible Dog aveva precorso gli eventi già ad ottobre), lo Yemen è diventato un altro tassello nell'instabilità del precario panorama mediorientale. La situazione interna del Paese, con gli Houthi in controllo di parte del Paese e della capitale Sana'a, le faide tribali, la mancanza di un quadro sociale omogeneo che potesse favorire una qualsivoglia mediazione, la presenza di gruppi di Al Qaeda nella Penisola Arabia (AQAP), il proliferare di armi ed un governo e uno Stato non più in grado di assicurare un controllo del territorio e la sicurezza, non potevano che favorire l’inizio di una guerra civile. Dal 26 marzo scorso però, con l'inizio dei raid aerei sauditi e l'operazione militare lanciata dagli Stati della regione e arabi, la querelle interna allo Yemen si è però presto trasformata in un contenzioso più ampio, regionale ed internazionale.
Come spesso accade, sulla pelle degli yemeniti, Paese socialmente disastrato ed arcaico, si sono scaricate tutte le tensioni, e talvolta le frustrazioni, che oramai percorrono il Medio Oriente.

Gli attori principali


Una prima indicazione sugli attori di questo conflitto si può estrapolare dalla coalizione che combatte gli Houthi nell'operazione “Tempesta Decisiva”, Asifat al Hazm:

- In prima fila c'è l’Arabia Saudita , il Paese maggiormente interessato, anche dal punto di vista della sicurezza, a quello che avviene lungo i suoi confini meridionali;
- ci sono i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, una solidarietà scontata nonostante l’aspetto più importante riguardi la dissociazione dell’Oman. Benché confinante con lo Yemen, non si è accodato a questa avventura militare. I motivi sono essenzialmente due: il sultano Qaboos ha sempre favorito una politica di non interferenza e le aree confinarie con lo Yemen sono zone ad alta presenza terroristica ed un ulteriore decadimento del quadro sociale nello Stato vicino postula un maggior spazio operativo per le milizie di al Qaeda;
- ci sono la Giordania ed il Marocco, due Paesi che hanno chiesto l’adesione al Consiglio di Cooperazione del Golfo e che usufruiscono, spesso e volentieri, delle prebende finanziarie dei Paesi della Penisola Arabica;
- c’è l’Egitto che, dalla restaurazione al potere del regime militare di Abdel Fattah al Sisi, gode di un rapporto privilegiato con Riyad. Al Sisi ha bisogno di recuperare credibilità internazionale dopo il colpo di Stato, guida un Paese di oltre 80 milioni di abitanti con un suo evidente peso demografico e militare, vede nell’avventura militare nello Yemen un ritorno di immagine nel giocare un ruolo centrale nelle vicende arabe. Il Cairo ha anche la necessità di garantire la sicurezza del traffico navale nel Canale di Suez, principale fonte di introiti del suo Paese. Ha bisogno, quindi, che lo Stretto di Bab el-Mandeb non cada in mani ostili ai suoi interessi. Chi controlla lo Yemen controlla l’accesso al Mar Rosso e al canale di Suez e quindi il traffico petrolifero;
- ci sono, infine, il Pakistan, timoroso di un'espansione sciita degli Hazara in Afghanistan con l’appoggio di Teheran e da sempre solidale con Ryad, e il Sudan, che partecipa alla coalizione in forma più simbolica che materiale in nome della solidarietà pan-sunnita e di un più prosaico interesse nei finanziamenti sauditi.

Come emerge, ciascun protagonista di questa avventura militare ha degli interessi diretti, la lotta per il potere all’interno dello Yemen è solo un pretesto.


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Le ragioni saudite


L’Arabia Saudita è la forza motrice dietro l'intervento nella guerra civile yemenita. Oltre alla minaccia per la sua sicurezza, combatte adesso contro l’influenza iraniana nella regione. La lotta tra sciismo e sunnismo è solo l‘aspetto esteriore di un conflitto per il predominio tra i due maggiori Paesi dell’area. Il fatto che lo Yemen sia per il 40% sciita e per il 60% sunnita implicherebbe più una mediazione che una guerra. A buon titolo Ryad teme che Teheran, sottoscrivendo l’accordo sul nucleare con gli USA, possa uscire dall’isolamento internazionale in cui è rimasta confinata per anni e recitare un ruolo centrale ed egemonico nelle vicende arabe. L’influenza esercitata in Libano tramite gli Hezbollah, l’appoggio al regime alawita di Damasco, il coinvolgimento nelle vicende politiche e militari irachene e, adesso, il sostegno agli zaidi in Yemen sono tutti segnali di pericolo per i sauditi.

L'interventismo saudita e questa avventura militare che vede il forte dispiegamento di uomini e mezzi (150.000 unità, aerei e navi) ha anche un'origine interna alla monarchia. E’ il primo atto ufficiale del nuovo re Salman bin Abdulaziz Al Saud, asceso al trono a gennaio, e suona come un monito sul nuovo ruolo strategico che il reame intende giocare nelle vicende regionali. Il suo predecessore, re Abdullah, era un uomo prudente, più portato alla mediazione che non all’azione. Solo nel 2011 in Bahrein aveva smosso per sue truppe, circa mille uomini, per rimettere sul trono un emiro sunnita in un Paese a maggioranza sciita. Salman opta invece per un ruolo più attivo. Non è forse un caso che il neo Ministro della Difesa sia suo figlio, Mohammad bin Salman, che così ha occasione di mettersi in mostra e guadagnare in credibilità nell'ottica di in una futura competizione per accedere anche lui al trono. L’uomo è molto giovane, ma anche molto ambizioso.

Il mondo prende posizione

Anche gli altri attori sulla scena internazionale hanno preso posizione in questa guerra per procura contro gli Houthi. Gli Stati Uniti hanno subito appoggiato Salman e garantito assistenza logistica e intelligence. Francia e Inghilterra hanno dato il loro sostegno politico. La Turchia sfrutta l’occasione per contraddistinguersi nell'ennesima piroetta della sua sempre più incoerente politica estera appoggiando l’iniziativa saudita. Ankara abbandona così la politica di buon vicinato con l’Iran per schierarsi dalla parte della coalizione sunnita dove figura l’Egitto che ha appena condannato a morte i leader dei Fratelli Musulmani a cui Recep Tayyip Erdogan è politicamente e religiosamente legato. Altrettanto sorprendente è la posizione di Hamas, che appoggia anch'essa l’Arabia Saudita trovandosi a fianco di al Sisi, che recentemente ha messo l’organizzazione sulla lista nera dei terroristi, e sul fronte opposto con l’Iran, che, con gli Hezbollah, ha sempre sostenuto la sua lotta contro Israele.

Nelle dichiarazioni del loro leader Hassan Nasrallah, gli Hezbollah, come hanno ovviamente fatto anche l’Iran, la Siria e l’Iraq, hanno mostrato tutta la loro ostilità all'intervento a guida saudita. Un Iran che in questo specifico momento, nel mezzo di un negoziato in fase finale con gli USA, ha forse più interesse a non farsi coinvolgere direttamente nella disputa yemenita. Non sono per ora dimostrate le accuse saudite relative alla presenza di consiglieri ed istruttori militari iraniani al fianco delle milizie Houthi.

Anche Russia e Cina osteggiano l’interventismo saudita. Per la Russia c’è anche un motivo in più: ad Aden operava uno dei maggiori centri di intelligence e di ascolto russi adibito al controllo del traffico nel Mar Rosso ed al monitoraggio delle comunicazioni nella regione. Non casualmente i bombardieri sauditi hanno subito distrutto il consolato russo di Aden, così da impedire a Mosca di raccogliere informazioni a favore dell’Iran.


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AQAP


Un finale da scrivere

L’avventura bellica in Yemen ha un finale scontato, visto anche il divario tra le forze in campo. L’Arabia Saudita ha il controllo assoluto dello spazio aereo e le milizie Houthi non sono in grado di fronteggiare un tale dispiegamento di mezzi e uomini. Ma, come tutte le guerre, siano esse civili o per procura, l’effetto ultimo è l'instabilità e la radicalizzazione. Gli Houthi rappresentano uno spaccato della società yemenita fatto di povertà ed emarginazione da parte del governo centrale. Hanno poco da perdere e molto da guadagnare. Hanno imparato nel corso degli anni a lottare e a sopravvivere nonostante le persecuzioni. Potranno facilmente tramutare la loro guerra in guerriglia.

In questa impresa militare sono sostenuti dalle forze fedeli al deposto presidente Ali Abdullah Saleh, che vede in questa guerra la possibilità di riguadagnare il potere perduto. Saleh e gli Houthi si sono combattuti a più riprese nel recente passato – si contano almeno 6 guerre – ma questo è adesso solo un dettaglio. Nel 2009 gli aerei sauditi erano intervenuti in Yemen in appoggio a Saleh e proprio contro gli Houthi. Adesso invece, nel nome della confusione relazionale che contraddistingue la Penisola Arabica, i due vanno a braccetto. Saleh rappresenta il Nord dello Yemen, dove risiedono anche la maggioranza degli Houthi. Il Presidente deposto fuggito in Arabia Saudita, Abed Rabbo Mansour Hadi, è un esponente del Sud, un dettaglio che riporta indietro nel tempo a quando gli Yemen erano due, prima della riunificazione nel 1992.

Il tentativo di Ryad di rimettere al potere l’estromesso presidente Hadi non ha niente a che vedere con la legalità internazionale, ma è solo il pervicace interesse di molti regimi arabi di mantenere il potere nei termini e nelle condizioni attuali. Le rivendicazioni sociali e la lotta per la libertà all'origine della lotta degli Houthi sono un cattivo esempio da reprimere per dei Paesi che continuano a soggiogare le loro popolazioni.

Non è chiaro a chi convenga questa guerra , ma un potenziale vincitore è già noto ed è l'AQAP, anch'esso in lotta contro gli Houthi. Indeboliti questi ultimi, ne risulterà rafforzata la capacità militare dell'AQAP. Il paradosso è sempre lo stesso: si lotta contro i gruppi sciiti in nome della sicurezza, si avvantaggia una galassia terroristica sunnita altrettanto pericolosa per la monarchia saudita e per la regione. Questo nonostante l'AQAP abbia/aveva due anime al suo interno: una propensa a parteggiare per l'ISIS, l’altra storicamente legata all’Al Qaeda di Ayman al Zawahiri. Il risultato finale non cambia, la pericolosità del gruppo è rimasta intatta come dimostra il recente attacco contro il carcere di al Mukalla, durante il quale sono stati liberati centinaia di affiliati all'organizzazione, inclusi alcuni maggiorenti incarcerati.

L’intervento militare a trazione saudita ha avuto l’effetto, nefasto, di tramutare una guerra civile in un conflitto regionale fra sciiti e sunniti. Abdul Malik al Houthi, le milizie zaidi ed il partito politico Ansar Allah, le rivendicazioni ed istanze delle tribù Houthi alla ricerca di un riscatto frutto di una emarginazione secolare, sono diventati lo strumento di un gioco più grande dei loro diretti interessi. Sul fronte sunnita, come emerso nel recente vertice di Sharm el Sheikh, sono in corso dei tentativi per costituire una forza militare pan-araba che vada al di là dell’intervento in Yemen. La solidarietà militare nelle vicende yemenite è una prova generale del futuro a venire. Una solidarietà, è bene non scordarselo, che trova un comune denominatore nei soldi sauditi e in quelli degli altri emirati.

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