LO ZIMBABWE E LA SOLITA STORIA AFRICANA

In
Africa anche le cose serie tendono sempre a tramutarsi in farsa.
Robert Mugabe, il "Comandante Bob" – a volte definito anche
"Vecchio elefante" – viene defenestrato dopo 37 anni di potere,
prende il posto il suo vice Emmerson Mnangagwa, detto il
"Coccodrillo", ngwena in lingua Shona, mentre la moglie di Bob,
detta "Gucci Grace", ma anche "Dis-Grace", disgrazia, per i danni
creati al Paese ed ultimamente "prolunga", quella extension cord
con cui recentemente colpito una donna di servizio in Sudafrica,
scappa in Namibia.
Bob ha 93 anni. Nonostante sia affetto da qualche problema di
senilità, non demorde dalla sua voglia di mantenere il potere e
trasmetterlo saldamente per via ereditaria. Per farlo esautora il
suo vice per spianare la strada per l’avvento di Grace. Sua
moglie, sua ex segretaria ha/aveva il vizio del lusso, sete di
potere e ben 41 anni meno del marito. Ma questa volta, tra il
Vecchio elefante ed il coccodrillo, ha vinto quest'ultimo. Il
Coccodrillo che oggi lo rimpiazza, quasi analfabeta ai tempi della
rivoluzione, ha adesso 75 di anni.
I tre attori di questa commedia africana sono anche quelli che
hanno trasformato la farsa in una tragedia, perché gli spettatori
di questo melodramma sono il popolo, il più povero dell'Africa,
con un tasso di disoccupazione del 95% ed un tasso di povertà del
70/80%. Il Comandante Bob, primo ed unico presidente
dall’indipendenza dello Zimbabwe nel 1980, lascia un Paese ridotto
in brandelli. Ma chi lo sostituisce è stato al suo fianco per 40
anni condividendone politica, dilapidando di comune accordo le
ricchezze del Paese, facendo un continuo abuso del potere.
Emmerson Mnangagwa è uomo dalle mille risorse, si è saputo muovere
con destrezza nelle vicende del Paese stando sempre dalla parte
del vincitore, almeno fintanto che non si è scontrato con la
moglie del presidente.
La dinastie dei dittatori
Quello che sta avvenendo in Zimbabwe non è una novità in Africa.
Il continente è pieno di dittatori e tutti questi satrapi tendono
ad arricchirsi alle spalle di un popolo povero. Gli stessi
dittatori poi vogliono perpetrare il potere con soluzioni
familiste, tramutandosi così in dinastie monarchiche. Qualcuno di
questi autocrati riesce a morire nel suo letto, come Omar Bongo
del Gabon (e guarda caso il suo posto l'ha poi preso il figlio),
altri fanno una brutta fine, come Muammar Gheddafi. Altri invece,
come Ben Ali presidente in Tunisia dal 1987 al 2011, fuggono a
gambe levate prima che sia troppo tardi. Ed anche in questo caso
c’è una giovane moglie dalle smisurate pretese, Leila Trabelsi, ex
parrucchiera di 21 anni più giovane del marito, alla fonte dei
problemi.
Nella hit parade dei tiranni africani più longevi Robert Mugabe,
con i suoi 37 anni di dominio incontrastato, è in buona compagnia.
Gheddafi era arrivato a 42, eguagliato dal già citato Bongo. Ma
ogni record nasce per essere battuto. E’ sulla buona strada
Teodoro Obiang in Guinea Equatoriale, al potere dal 1979 e con la
nomea di essere uno dei dittatori più efferati. Seguito da Omar
Bashir in Sudan, in sella dal 1987 e oggetto di un mandato di
cattura internazionale emesso dalla CPI che nessuno vuole
applicare. O del sempre utile Idriss Deby, alla guida del Ciad dal
1990. E’ invece uscito di scena José Eduardo Dos Santos, per 30
anni dominus del MPLA in Angola.
Nel teatro della storia africana si è visto di tutto ed il
contrario di tutto, ma il caso di Mugabe è sicuramente uno dei più
emblematici.
Morgan Tsvangirai
Il tradimento degli eroi
Leader della lotta di indipendenza contro il regime razzista della
Rodesia di Ian Smith, Robert Mugabe è stato un rivoluzionario
marxista, oppositore politico che ha lottato, ha fatto il carcere,
prima di evolversi in chiave “moderata” e “democratica”. Queste
premesse sono andate tradite in una progressiva involuzione
repressiva e corrotta, dove i soldi dello Stato sono diventati i
propri, l’impunità è diventata la regola. Culminata nella
delirante ipotesi di farsi succedere dall’ambiziosa mogliettina.
La vera opposizione in Zimbabwe era quella di Morgan Tsvangirai e
del suo Movimento per il Cambiamento Democratico che nel 2008
aveva vinto le elezioni e che poi, complici brogli elettorali,
repressioni nei confronti dei suoi militanti ed il suo partito,
era stato costretto a ritirarsi dalla corsa presidenziale anche
per evitare un bagno di sangue. Il buon Tsvangirai ha assaggiato
la politica di Mugabe sulla sua pelle: arrestato, picchiato,
torturato più volte con l'accusa di tradimento e sfuggito ad un
attentato per eliminarlo. Tutte iniziative che hanno avuto il
pregio di aver riportato Morgan e gli altri oppositori del
presidente a più miti consigli.
Ma adesso che Mugabe è arrivato al capolinea, la situazione per il
povero popolo dello Zimbabwe migliorerà? Fare peggio di Robert
Mugabe sarebbe molto difficile. Ma in Africa, come altrove, al
peggio non c’è mai limite. Le premesse ci sono tutte.
Il successore di Mugabe, Emmerson Mnangagwa, ha ricoperto ogni
incarico possibile sotto la dittatura del suo predecessore:
ministro della Sicurezza, ministro della Difesa, ministro della.
Giustizia, ministro dell'Edilizia Popolare, presidente del
Parlamento, segretario amministrativo e segretario legale del
partito al potere (ZANU-PF, Zimbabwe African Patriotic Union –
Popular Front) ed infine, dal 2014, vice presidente dello
Zimbabwe. Politicamente guidava una fazione denominata "Team
Lacoste", forse per meglio enfatizzare il suo ruolo di
coccodrillo.
Pensare che l'arrivo di Mnangagwa possa far cambiare le cose al
Paese appare onestamente difficile. Il regime dispotico e
autoritario di Mugabe lo ha visto per troppi anni consenziente e
connivente. È verosimile che ne condividesse anche le modalità di
gestione del potere. Ed è forse significativo che sia stata
promessa a Mugabe l'immunità e il mantenimento delle sue
proprietà. Un gesto magnanimo o solo una prudenza, perché in
Africa la ruota gira e un domani potrebbe toccare a te. Tutti si
chiedono cosa ne sarà della Rolls Royce recentemente acquistata da
Gucci Grace in Sudafrica: rimarrà nella disponibilità dei coniugi
Mugabe?

Ian Smith
L’ascesa del coccodrillo
Quello che ha portato al potere Emmerson Mnangagwa non è stato
però un plebiscito democratico, ma il risultato di una faida
interna al partito di potere, lo ZANU-PF. Da un lato l’antipatia
nei confronti di Gucci Grace, dall’altra i buoni rapporti di
Mnangagwa con i vertici militari e dei servizi di intelligence,
coltivati in anni di incarichi ministeriali. Sullo sfondo la
questione tribale: il Coccodrillo appartiene al clan dei Karanga
che rappresentano circa un terzo della popolazione del Paese, il
Comandante Bob agli Zezuru che invece assommano solo al 25% della
popolazione.
Anche Emmerson Mnangagwa è un reduce della guerra di liberazione;
finito agli arresti e torturato dagli aguzzini di Ian Smith per
contro, si sarebbe macchiato di eccidi e massacri, ovviamente
sempre negati. Quindi, all'occorrenza, saprà come azzerare ogni
forma di opposizione, con le buone o con le cattive. Lo sa bene
Blessing Chebundo, deputato del MDC che ha sconfitto Mnangagwa
nella circoscrizione di Kwekwe Central, che deve la sua
sopravvivenza al fatto che ai sicari inviatigli dal Coccodrillo
abbia fatto cilecca l’accendino dopo averlo inzuppato di petrolio.
Emmerson Mnangagwa è considerato un uomo senza scrupoli. Si muove
silenzioso e colpisce all'improvviso. Ha la fama di essere
peraltro un personaggio crudele. Anche nel caso della sua recente
defenestrazione che lo aveva costretto a riparare all'estero per
sfuggire alle minacce di Gucci Grace, la circostanza ha assunto
aspetti farseschi: si vociferava che fosse stato avvelenato da un
gelato e per questo sia fuggito in Sud Africa. Robert Mugabe lo
aveva esautorato dalla carica di vice presidente con l'accusa di
slealtà, mancanza di rispetto, inaffidabilità, disonestà e
falsità. Ed aveva aggiunto che il serpente bisogna colpirlo alla
testa prima che sia troppo tardi. Ma evidentemente aveva sbagliato
animale. Tutti sanno in Africa che il coccodrillo è più difficile
da eliminare di un serpente.
Grazie a Mugabe il Paese ha una inflazione tra le più alte del
mondo. Il primato se lo gioca con il Venezuela. L'isolamento
internazionale dello Zimbabwe ha anche prodotto ripetute crisi
alimentari. In altre parole, la gente rischia di morire di fame.
In Zimbabwe l’aspettativa di vita si ferma a 60 anni, la mortalità
infantile è intorno al 33 %, l'AIDS colpisce circa il 14% della
popolazione, il sistema sanitario e ospedaliero è tra i più
disastrati in Africa. E non vi è dubbio che il popolo dello
Zimbabwe meriterebbe qualcosa di più e di meglio di un
Coccodrillo.